Dichiarazione del Cardinal Kasper al Summit di Mosca

“Non ci può essere pace senza una giustizia fondata sul rispetto reciproco”

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MOSCA, giovedì, 6 luglio 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la dichiarazione del Cardinale Walter Kasper al Summit dei Leader Religiosi Mondiali a Mosca. Il Cardinal Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha guidato la delegazione della Santa Sede all’incontro.

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La delegazione della Chiesa cattolica inviata da Sua Santità Papa Benedetto XVI esprime il suo profondo apprezzamento e la sua gratitudine per l’iniziativa presa da Sua Santità il Patriarca Alessio II; siamo grati per l’invito a questo incontro che è stato esteso a noi e ad altri leader religiosi mondiali.

1. Riteniamo che questo incontro sia importante, urgente e molto opportuno visti i tanti problemi, conflitti, sfide e situazioni drammatiche nel mondo di oggi:

– Siamo preoccupati per il problema della pace. Siamo minacciati da tensioni e conflitti etnici, culturali, nazionali e purtroppo anche religiosi; dobbiamo affrontare il problema del terrorismo internazionale, che usa in modo scorretto gli ideali religiosi per perversi scopi ideologici, uccide indiscriminatamente persone innocenti e diffonde paura e orrore tra la popolazione.

– Siamo preoccupati per il problema della giustizia nel nostro mondo, in cui più di due terzi della popolazione vive in condizioni disumane di povertà e miseria, mentre altri vivono nella prosperità e nel benessere. Oltre a questo, ci sono situazioni di sfruttamento, di discriminazione e di oppressione della libertà umana e dei diritti umani fondamentali.

– Siamo preoccupati per la situazione del secolarismo, soprattutto nel mondo occidentale, che svilisce i valori umani, sia personali che sociali, e il loro orientamento a base religiosa. Come conseguenza, sono emarginati e relativizzati al punto che il relativismo e la tolleranza stessi diventano intolleranti e oppressivi. Lamentiamo soprattutto il declino dei valori familiari.

Il secolarismo, infine, distrugge le tradizioni culturali basate sulla religione e lascia la gente, soprattutto i giovani, senza orientamento morale e religioso in un mondo privo di un significato più profondo ma pieno di offerte per sentimenti superficiali e deludenti di felicità momentanea. L’alcool e le droghe sono spesso usati come sostegno alla vita in un mondo senza significato come questo, e come sostituto dell’autentica felicità.

Ovviamente, questi sono solo alcuni aspetti, ma sottolineano chiaramente la responsabilità di tutti i leader, politici e religiosi; ci rendono consapevoli della particolare responsabilità che i leader religiosi hanno in questa situazione, e aggiungerei che ci rendono consapevoli di quanto sia urgente la responsabilità condivisa che i leader religiosi hanno in merito alla restaurazione dell’ordine morale e sociale, per la giustizia e per la pace.

Il contributo cristiano

2. Qual è il contributo che noi come cristiani e Chiesa cattolica siamo chiamati ad offrire? Non c’è una ricetta. Una cosa del genere non esiste, ma ci sono dei principi, che non sono stati inventati ieri o oggi, ma sono stati sperimentati dalla nostra esperienza umana e dalla nostra tradizione millenaria, e che sono alla fine basati sulla rivelazione divina.

Primo: rispetto per la persona umana, e aggiungerei rispetto per ogni persona umana. I cristiani sono convinti che Dio abbia creato l’essere umano, maschio e femmina, a sua immagine e somiglianza così che ogni essere umano, indipendentemente dalla sua appartenenza etnica, culturale, religiosa o nazionale, ha un valore incommensurabile e merita il rispetto incondizionato da parte degli altri esseri umani.

Ogni individuo ha il diritto fondamentale di vivere in modo degno in base alla sua cultura e alle sue convinzioni. Tale rispetto per ogni persona umana è la base della giustizia, e la giustizia è la base della pace. Non ci può essere pace senza giustizia basata sul rispetto reciproco.

Al cuore della vera natura della persona umana c’è la coscienza religiosa di ciascuno. Conseguenza di ciò è il dovere morale di seguire la propria vocazione religiosa e cercare la verità, e quindi anche il bisogno di avere libera volontà in questioni religiose, inclusa la possibilità di cambiare la propria religione o anche di professarsi ateo.

L’apertura da parte degli Stati, delle autorità religiose e dei leader civili a questo proposito porta all’effettivo rispetto della libertà religiosa, che, con la Provvidenza Divina, è alla base della pace tra le Nazioni, e tra i vari gruppi etnici e religiosi che vivono fianco a fianco in pace e cooperazione.

Non ci possono essere, però, diritti umani solo per l’individuo, senza responsabilità per gli altri e per il bene comune. Non c’è libertà senza responsabilità personale e sociale; la libertà della persona individuale è possibile solo nel contesto di una solidarietà che abbracci tutti.

Critichiamo una visione collettivistica come critichiamo un approccio individualistico unilaterale ai diritti umani. L’individualità e la solidarietà sono le due facce della stessa medaglia. Questo ci porta a concludere che accanto al senso della dignità di ogni persona umana dobbiamo promuovere il senso di solidarietà tra la gente, tra i gruppi etnici, tra le Nazioni e tra le religioni.

Rispetto reciproco

Questo mi porta al secondo punto: il rispetto reciproco tra le religioni. Come è stato detto spesso, non ci può essere pace al mondo senza la pace tra le religioni. Ovviamente, le religioni non sono tutte uguali; al contrario, ci sono differenze fondamentali tra loro.

Nonostante questo, c’è una cosa che hanno in comune, che manca in una concezione meramente secolarizzata del mondo e della vita umana: le religioni ispirano l’apertura alla trascendenza e molti credono in una realtà divina che sia la base e il destino di tutta la realtà; chiedono quindi rispetto per ciò che è santo contro il diffuso atteggiamento odierno di cinismo e mancanza di rispetto nei confronti della natura e degli esseri umani. Dove manca il rispetto per il trascendente, è in pericolo anche il rispetto per la persona umana.

La Chiesa cattolica, e il Concilio Vaticano II, ha dichiarato ufficialmente che “la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino” (Nostra Aetate, 1).

La Chiesa cattolica si sente particolarmente vicina all’ebraismo, che appartiene alle radici del cristianesimo. Condanniamo ogni forma di antisemitismo. Dopo una storia difficile e complessa abbiamo sviluppato, a partire dal Concilio Vaticano II, un rapporto nuovo e più amichevole sulla base di un’effettiva partnership (cfr. Nostra Aetate, 4).

In modo analogo, il Concilio esprime “stima” nei confronti dei musulmani (Nostra Aetate, 3). Con loro condividiamo il monoteismo. Ebrei, cristiani e musulmani chiamano Abramo loro padre comune. Per questo desideriamo rapporti amichevoli e di buon vicinato anche con i musulmani.

Non dovremmo neanche dimenticare il grande rispetto che la Chiesa cattolica nutre per i seguaci di altre religioni. Il giorno dopo l’inizio del suo ministero, Benedetto XVI ha ricevuto i leader delle altre religioni, che con le parole del Concilio Vaticano II “si sforzano di superare, in vari modi, l’inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri” (Nostra Aetate, 2).

Rispettando le altre religioni, dobbiamo rifiutare categoricamente lo sfruttamento, l’abuso e l’uso scorretto della religione, soprattutto quando viene usata come pretesto per l’odio, l’oppress
ione e il terrorismo. Dio è un nome di pace e non può essere usato come argomento per uccidere persone innocenti. Come ha affermato Papa Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002, “il terrorismo strumentalizza non solo l’uomo, ma anche Dio, finendo per farne un idolo di cui si serve per i propri scopi”.

Dialogo

Terzo ed ultimo punto. La sola alternativa a quello che spesso viene citato come “scontro di civiltà” è il dialogo tra le civiltà e le religioni. Oggi viviamo in un mondo dove le religioni non sono isolate le une dalle altre; nel processo attuale della cosiddetta globalizzazione popoli di religioni diverse vengono riuniti insieme e spesso convivono fianco a fianco.

Perciò, le religioni sono chiamate non solo alla tolleranza e al rispetto reciproco, che non sono in sé cose di poco conto, ma devono compiere ancora un passo in avanti: le religioni devono continuare a dialogare e a cooperare per la restaurazione dei valori morali e sociali, per la giustizia e la pace nel mondo.

Per dialogo non si intende in nessun modo il sincretismo, ovvero una mescolanza e confusione di religioni o un accordo sul minimo comun denominatore. Il dialogo si costruisce sulla verità e sul rispetto della verità, come spesso enfatizzato da Papa Benedetto XVI (cfr. Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace 2006). Per dialogo si intende la condivisione di valori comuni e la loro trasmissione ad un mondo che ne ha urgentemente bisogno. Un dialogo di questo tipo nella verità e nel rispetto reciproco implica diversi aspetti:

–Purificazione delle memorie. Ogni religione può identificare le azioni malvagie compiute delle altre; ma sulle nostre azioni malvagi siamo generalmente meno propensi a parlare. Siamo onesti e guardiamo con occhi rinnovati al passato, dal punto di vista di ciò che abbiamo in comune e di ciò che siamo chiamati a fare insieme oggi e domani.

–Coscienza del nostro patrimonio comune. Se escludiamo tutte le nostre differenze, abbiamo dei valori in comune. Il mondo avrebbe un aspetto molto diverso se riuscissimo a prendere coscienza di ciò che abbiamo in comune. Non penso solo al senso del sacro ma anche alla “regola d’oro”, che può essere rintracciata in tutte le principali tradizioni religiose: “Non fare agli altri ciò che non vorresti gli altri facessero a te”, oppure nella sua formulazione positiva “Fai agli altri tutto ciò che vorresti gli altri facessero a te”.

Abbiamo anche in comune la missione ad essere testimoni credibili del trascendente. Questo è il nocciolo del nostro interesse condiviso, e necessita collaborazione, in particolar modo riguardo alla cultura contemporanea e alle strutture socio-politiche, così che anche esser potranno aprirsi al trascendente.

— Educazione delle giovani generazioni. Questo punto è a mio avviso la maggiore priorità per la costruzione di un futuro pacifico insieme. Non dovremmo instillare disprezzo e odio verso gli altri nei cuori dei giovani, ma dovremmo farli maturare nello spirito della tolleranza, del rispetto reciproco, della solidarietà e della responsabilità per il bene comune.

— Azione comune. E’ giunto il momento di dare vita ad una azione comune contro l’oppressione e la discriminazione, contro la proliferazione delle armi e delle droghe, e per la promozione della tolleranza e della libertà religiosa, per la giustizia e la pace, per i valori familiari, per la cooperazione nel campo della salute, o nella battaglia contro l’epidemia dell’AIDS, nell’attenzione ai rifugiati e immigrati, nella cooperazione anche in tempi di disastri e tragedie (tsunami, terremoti, etc.) e in molti altri settori.

Vorrei concludere con una osservazione, che a mio parere è fondamentale: da bambino sono cresciuto durante gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. A partire da questa esperienza traumatica vi esorto a dire a tutti coloro che hanno la responsabilità di prendere le decisioni che la guerra non potrà mai essere uno strumento per risolvere i problemi; la guerra crea sempre nuovi problemi; la guerra è malvagia, e, fino a che spetterà a noi la decisione, dovremo fare tutto ciò che è nelle nostre facoltà per evitarla e per bandirla dalla faccia della terra.

Diciamo al mondo: noi come religiosi siamo favorevoli alla pace: la pace del cuore, la pace delle nostre nazioni e tra le nazioni; la pace tra le religioni e a partire da adesso la pace nel mondo.

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ZENIT Staff

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