CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 24 febbraio 2006 (ZENIT.org).- “Beati gli operatori di pace”. Con queste parole Benedetto XVI ha accolto venerdì i Vescovi della Conferenza Episcopale della Bosnia ed Erzegovina, giunti a Roma per la loro quinquennale visita “ad limina Apostolorum”.

La visita dei presuli al Santo Padre e ai suoi colleghi della Curia romana ha luogo a dieci anni di distanza dalla firma degli accordi di Dayton (21 novembre 1995), che sancirono la integrità e la sovranità di questa Repubblica, seppure divisa in due "entità" – la Federazione della Bosnia-Erzegovina (croato-musulmana) e la Repubblica Serba o Srpska (49%) –, ponendo anche fine al conflitto armato con la ex Yugoslavia.

In risposta all’indirizzo di saluto rivoltogli a nome degli altri Vescovi dal CardinaleVinko Puljic, Arcivescovo di Vrhbosna (Sarajevo), il Papa ha da subito riconosciuto che “dopo gli anni tristi della recente guerra, voi oggi, quali operatori di pace, siete chiamati a rinsaldare la comunione e a diffondere la misericordia, la comprensione e il perdono nel nome di Cristo sia all’interno delle comunità cristiane che nel complesso tessuto sociale della Bosnia ed Erzegovina”.

“L’amore – ha chiarito –, per essere fecondo sul piano spirituale, non deve semplicemente seguire leggi terrene, ma lasciarsi illuminare dalla verità che è Dio e tradursi in quella superiore misura della giustizia che è la misericordia”.

“Se opererete con questo spirito, voi potrete felicemente portare avanti la missione affidatavi, contribuendo a rimarginare ferite tuttora aperte e a risolvere contrasti e divisioni, retaggio di anni passati”, ha affermato.

Fra gli “assillanti problemi che vi incalzano”, il Papa ha quindi menzionato la “situazione degli esuli” per i quali ha auspicato “la conclusione di opportuni accordi che assicurino il rispetto dei diritti di tutti”.

Il Vescovo di Roma ha poi invocato la “necessaria uguaglianza fra i cittadini di diversa religione”, e “misure che provvedano alla crescente mancanza di lavoro per i giovani”, oltre all’ “attenuazione delle minacciose tensioni fra etnie, retaggio delle complesse vicende storiche vissute dalle vostre terre”.

“Voi potete contare sull’orante, concreta ed affettuosa solidarietà della Santa Sede e dell’intera Chiesa cattolica”, ha assicurato loro il Papa.

In seguito, il Santo Padre li ha incoraggiati a realizzare l’unità all’interno della comunità ecclesiale poiché, il Vescovo, ha ricordato, “è pontefice, cioè ‘costruttore di ponti’ tra le diverse esigenze della comunità ecclesiale”.

“E questo costituisce un aspetto del ministero episcopale particolarmente importante nel presente momento storico, che vede la Bosnia ed Erzegovina riprendere il cammino della collaborazione per costruire il proprio futuro di sviluppo sociale e di pace”, ha quindi concluso.

Anche la Chiesa ha patito duramente la guerra civile, secondo quanto ricordato questo venerdì da “Radio Vaticano”. Nella sola Sarajevo, i cattolici sono passati da mezzo milione a 125 mila e in tutta la Bosnia ed Erzegovina il bollettino degli anni della violenza è stato drammatico: nove sacerdoti e una suora uccisi, 99 chiese distrutte e 127 danneggiate, senza contare altre dozzine di attacchi a monasteri e strutture diocesane. Si valuta in 450 mila il numero dei cattolici costretti ad abbandonare le proprie case.

Dieci anni dopo la cessazione delle ostilità, i Vescovi della Bosnia-Erzegovina non hanno dubbi: “Dayton ha interrotto la guerra ma non ha portato la pace”, hanno affermato mercoledì a Roma, durante l’incontro tenutosi nella Sala Stampa Estera e organizzato in occasione del decennale della firma di questi Accordi per la pace nell’ex Jugoslavia.

Tra i presuli hanno preso la parola, monsignor Franjo Komarica, Vescovo di Banja Luka, e monsignor Pero Sudar, Vescovo ausiliare di Vrhbosna Sarajevo. Quest’ultimo ha definito Dayton un accordo “schizofrenico” perché “ha diviso la Bosnia-Erzegovina secondo il criterio etnico, dicendo, cioè, che in Bosnia-Erzegovina, essendo presenti diversi popoli, questo Paese andasse diviso”.

“Se volevano, però, seguire questa chiave dovevano dividerlo in tre” (croati, serbi e bosniaci). Ed ha aggiunto: “Loro, invece, lo hanno diviso in due, prolungando questa tensione che è scoppiata durante la guerra”.