CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 28 febbraio 2006 (ZENIT.org).- Il microcredito, inteso come forma di collaborazione allo sviluppo, è una delle forme finanziarie che potrebbe contribuire a sconfiggere la povertà. Questo è quanto è emerso nel Convegno su “Microcredito e lotta alla povertà”, organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nei giorni 27 e 28 febbraio a Roma.

Nel suo intervento, la signora Marilou Uy, Direttrice della sezione finanziaria della Banca Mondiale, ha tracciato un breve excursus della storia del microcredito nei diversi contesti storici e sociali.

In particolare, ha ricordato che forme simili al microcredito per combattere la povertà e sostenere le piccole attività esistevano già nel Medio Evo ed erano praticate dai frati italiani. Una forma finanziaria questa autorizzata dal Pontefice Leone X nel 1462.

Inoltre, ha continuato, tra il 1700 e il 1800 fu creato l’Irish Loan Fund System per fornire piccoli crediti agli agricoltori. Mentre nel 1800 cooperative finanziarie crebbero e si svilupparono in Europa e Nord America, e nel 1900 forme di microcredito apparvero nelle zone rurali dell’America Latina.

Nei primi anni Settanta vennero applicati programmi sperimentali per fornire piccoli crediti alle donne, fra cui risaltarono l’esperienza della Grameen Bank e ACCION, come l’International and the Self Employed Association (SEWA) Bank in India.

Arrivando ai nostri giorni, la Uy ha quindi citato il lavoro della BANSEFI messicana che fornisce 5.000 punti di accesso di cui il 50 per cento in aree rurali, godendo anche di una assistenza tecnica chiamata “la red de la gente”.

La Direttrice della sezione finanziaria della Banca Mondiale ha sottolineato come “la disponibilità di finanziamenti, anche piccoli è fondamentale per far nascere e diffondere opportunità economiche in contrasto con la povertà”.

Dal punto di vista sociale, ha poi sottolineato, questo significa “rafforzamento del ruolo delle donne, possibilità di iniziare processi di scolarizzazione, accesso alla cure mediche, diffusione di attività commerciali, agricola e di piccola impresa”.

La Uy ha concluso affermando però che il microcredito è solo l’inizio di un processo: “La sfida vera è quella di incrementare gli introiti per le persone e le famiglie, sostenere l’assistenza sociale e l’accesso all’abitazione, attraverso politiche che promuovono crescita ed eguaglianza”.

Dello stesso avviso anche Giuseppe Deodato, Direttore Generale della Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri Italiano, il quale ha ribadito che “il ruolo della microfinanza sta nello sradicamento della povertà”, ed ha ricordato che a questo scopo lo scorso anno “è stato riconosciuto a livello mondiale dall’ONU con la dichiarazione del 2005 come Anno Internazionale del Microcredito”.

Il Ministro plenipotenziario ha precisato che “la realtà ha però mostrato che sostenere politiche di sviluppo è più complesso, soprattutto in quei Paesi dove è limitata la presenza e disponibilità di banche e istituti di credito”.

“Il microcredito finalizzato non all’acquisto di beni di consumo, bensì al sostegno di attività lavorative – ha affermato Deodato –, può risultare uno strumento efficace in particolare per le fasce della popolazione dove è maggiore il rischio di esclusione e povertà”.

L’alto funzionario del Ministero degli Esteri ha messo in guardia dal rischio rappresentato “da quegli istituti finanziari che intendono utilizzare il microcredito essenzialmente a scopo lucrativo con alti tassi di interesse”.

A questo proposito, Deodato ha spiegato che la Cooperazione italiana è fortemente interessata a queste forme di finanziamenti perché si è consapevoli “che il microcredito si configura come uno dei temi più interessanti tra gli attuali strumenti innovativi delle politiche di cooperazione e può rappresentare una delle chiavi principali per il raggiungimento della riduzione della povertà nel mondo”.

Illustrando la prospettiva morale del tema oggetto del Convegno, la professoressa Margareth Pfeill dell’Università statunitense di Notre Dame (Indiana), ha sottolineato l’esigenza che i programmi di microcredito tendano allo sviluppo integrale di ciascun partecipante e in particolare della “persona”, che è soggetto dell’attività economica.

“A questo scopo – ha detto la Pfeill – le iniziative di microcredito possono al meglio realizzarsi come strumenti di finanza etica coltivando l’ ethos della solidarietà, uno spirito di condivisione dei beni della creazione e le proprie capacità in risposta di gratitudine agli abbondanti frutti dell’amore di Dio, facendo sì che l’amore dia forma alle esigenze di giustizia in attuazione del bene comune”.

Le testimonianze provenienti dall’Etiopia, dal Rwanda, dal Perù, dall’India, dalla Cambogia, dalla Germania e dall’Italia hanno ribadito che “l’accesso al credito è oggi una imprescindibile esigenza di giustizia a favore dei più poveri”.

Nelle conclusioni, il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il Cardinale Renato Raffaele Martino, ha denunciato “il rischio, che il microcredito venga considerato da alcuni come una ghiotta opportunità di allargare i propri mercati finanziari, guidati unicamente dall’idea della massimizzazione del profitto”.

Per ovviare a questo, il porporato ha affermato che il microcredito “va concepito come uno strumento finanziario per inserire i poveri dentro processi virtuosi di sviluppo, caratterizzati da uno cultura della partecipazione e dell’esperienza solidale, del protagonismo dei poveri stessi nel dare risposte adeguate ai loro problemi”.