Firmato un accordo che porrà fine alla guerra in Sudan

KHARTOUM, giovedì, 27 maggio 2004 (ZENIT.org).- Ieri, 26 maggio, è stato firmato l’accordo che porrà fine al conflitto tra esercito governativo e guerriglia dell’ SPLA (Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan), che dal 1983 insanguina la parte meridionale del Sudan, con un bilancio di oltre 2 milioni di vittime e un numero imprecisato di profughi.

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La cerimonia della firma, riferisce il Mail&Guardian on line è avvenuta a Naivasha, località a circa 70 km da Nairobi, alla presenza di delegazioni estere, diplomatici e mediatori. L’intesa è stata sottoscritta da John Garang, capo dell’SPLA, e dal vicepresidente sudanese Ali Osman Mohamad Taha.

La firma del trattato di pace sarebbe avvenuta con 10 ore di ritardo, rispetto a quanto inizialmente previsto, a causa dei lunghi negoziati sui punti rimasti irrisolti, che sono: l’equilibrio dei poteri nel periodo di transizione con un governo di unità nazionale (sei anni e mezzo) e lo statuto speciale relativo a tre regioni del nord (monti Nuba, Abiey, Nilo Blu Meridionale), contese dalle due fazioni perché geograficamente situate nel Nord ma da sempre legate al Sud.

I tre protocolli d’intesa sanciscono che dopo 3 anni dall’inizio del periodo di transizione, sono previste libere elezioni. Mentre al termine dei sei anni e mezzo, le popolazioni del sud potranno decidere, mediante referendum, se vorranno rimanere all’interno di uno stato federale o se vorranno abbracciare la piena indipendenza.

Tuttavia mentre rimangono da risolvere alcune questioni procedurali, occorrerà attendere dei mesi per stabilire se l’accordo diplomatico potrà tradursi sul terreno nella fine effettiva della guerra.

Secondo quanto riferito dall’agenzia “Fides”, Omar el Bashir, il presidente golpista sudanese, rimarrà al suo posto, mentre il colonnello John Garang, leader dell’Spla assumerà la carica di vice presidente. Si è stabilito che il presidente dovrà essere espressione del governo di Khartoum, mentre il primo vicepresidente rispecchierà le volontà dell’Spla.

Il primo vicepresidente sarà però privo dei pieni poteri in caso di assenza del presidente. Un secondo vicepresidente sarà chiamato a rappresentare il nord. Le cariche a livello nazionale (governo, parlamento) verranno così distribuite: 70 per cento al nord, 30 per cento agli indipendentisti.

Per le regioni speciali, spiega ancora l’agenzia, il ruolo fondamentale di governatore andrà ai leader legati all’Spla, ma il 60 per cento delle altre cariche politiche a uomini di Khartoum.

Un altro punto molto dibattuto è stato quello relativo all’applicazione della Sharia (legge coranica). Secondo le intese la Sharia sarà applicata nel nord ma non nel sud.

Per quanto riguarda la capitale, Khartoum, dove vivono numerosi cristiani e animisti provenienti dal sud, è stato raggiunto un compromesso: durante il periodo di transizione, la Sharia verrà applicata nella capitale, ma ai non musulmani saranno garantite misure di protezione e di esenzione dalla legge coranica per le pene più inumane (amputazioni e lapidazioni).

Rimane escluso dagli accordi il Darfur, regione dell’ovest confinante con il Ciad, dove dal febbraio 2003 si verificano violenti scontri tra due gruppi ribelli – il “Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza” (JEM) e l’“Esercito-Movimento di liberazione del Sudan” (SLA-M) – e l’esercito regolare sudanese.

Secondo alcune dichiarazioni rilasciate dallo “Human Rights Watch” (HRW): “Il Porre fine alla guerra nel sud del Paese è un immenso passo avanti, ma nella parte occidentale del paese, il governo sudanese sta compiendo un terribile passo indietro”.

“La campagna governativa di pulizia etnica in Darfur solleva questioni concrete sul fatto se Khartoum sia veramente intenzionata ad aderire all’accordo di pace nel sud”, ha poi aggiunto.

Riprova ne sono i fatti accaduti questo martedì, quando delle milizie arabe, i cosiddetti “Janjaweed”, accompagnati da alcuni soldati governativi, “hanno attaccato cinque villaggi situati a 15 km a sud di Nyala in Darfur, uccidendo 46 civili e ferendone almeno altri nove”, ha riferito la stessa associazione citando fonti locali.

Nel rispondere ai dubbi su un reale passo avanti nella pacificazione del paese africano, monsignor Cesare Mazzolari, vescovo della diocesi di Rumbek, posta a sud del Sudan, ha rilasciato alcune dichiarazioni alla Radio Vaticana sottolineando che si tratta di “un’intesa molto delicata che dovrà essere finalizzata anzitutto politicamente nelle prossime settimane o mesi”.

“Questo trattato di pace è avvenuto in tempi diversi. Le prime quattro parti sono state firmate negli ultimi mesi e ieri notte hanno firmato gli ultimi due negoziati”, ha aggiunto.

Nel riconoscere però che in questo trattato di pace “ci sono piaghe non sanate” fra cui quella del Darfur, ha poi accennato alla situazione al sud: “Non abbiamo infrastrutture per la salute, per l’educazione, per l’acqua potabile. Quindi, per noi è indispensabile, perchè l’accordo regga, che ci sia l’intervento, l’assistenza, l’accompagnamento della comunità internazionale”.

“Le vere cause della guerra sono state camuffate da questo trattato di pace”, ha poi commentato affermando che alla base della guerra vi sono: “Vecchie ingiustizie commesse dal governo o da rappresentanti del governo che non sono mai state risolte con giustizia dai magistrati”.

Vecchie ingiustizie e ragioni economiche: “C’è da vedere come la condivisione delle risorse veramente si realizzerà”, ha affermato. Secondo gli accordi, infatti, i proventi delle risorse petrolifere, che sono concentrate per lo più nel sud, saranno divisi a metà, tra il governo centrale e l’amministrazione delle regioni meridionali.

Il monsignore ha, infine, commentato “al sud possiamo vedere i risultati del 50 per cento di condivisione del petrolio. Se ciò non avvenisse il nostro popolo reagirà e speriamo non violentemente”.

Per leggere quanto scritto in precedenza sulla situazione nel Darfur: ZENIT, Servizio Giornaliero, 10 maggio 2004

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ZENIT Staff

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