A parlare di questo conflitto le migliaia di vittime che già si sono registrate in una zona come quella del Darfur dove il vescovo sudanese di El Obeid - che comprende anche il Darfur -, Macram Max Gassis, afferma che è in atto “un processo di arabizzazione” (cfr. ZENIT, Servizio Giornaliero, 10 maggio 2004).

Secondo quanto scritto in un comunicato giunto alla redazione di ZENIT il Segretario Generale della Caritas Duncan MacLaren, che di recente fatto visita ai campi profughi allestiti nel Ciad per far fronte alla tragica vicenda che si aggrava di ora in ora, ha commentato che “la situazione umanitaria sta deteriorando rapidamente”.

La malnutrizione e la carenza di cibo sono i primi problemi contro cui ci si trova a combattere: il segretario generale MacLaren ha definito la situazione “atroce” ed ha addirittura assistito a casi in cui i rifugiati, spinti dai morsi della fame, si sono visti costretti a mangiare le foglie strappate dagli alberi.

Secondo i dati riportati dalla Caritas si stima che 150,000 sono le persone fuggite nel Ciad mentre vi è un milione di sfollati nel Sudan. Le istituzioni internazionali incaricate di prestare assistenza ai profughi hanno fatto appello per la creazione di un corridoio umanitario per il Darfur, al fine di recare soccorso alle persone colpite dalla nuova ondata di violenza.

Una donna sudanese scappata 5 mesi fa con suo marito e quattro bambini ha detto alla Caritas di essere fuggita a piedi nel cuore della notte, portando con sè solamente un “sacchetto di miglio e alcune cose per cucinare”, dopo che, si legge nel comunicato, “alcuni predoni avevano rubato tutto il loro bestiame, lasciando loro solamente un vitello”, prima di dare fuoco e radere al suolo tutto il villaggio.

Nel comunicato si legge ancora che nel frattempo la “Caritas Ciad sta facendo organizzare alla Confederazione una risposta alla crisi allestendo tre campi profughi, ognuno dei quali è in grado di ospitare all’incirca 10,000 persone, mentre ogni giorno che passa ne arrivano sempre di più”.

“Le scorte alimentari sono una preoccupazione costante, almeno 2,700 tonnellate di cibo devono raggiungere i campi per alimentare i 60,000 rifugiati nei prossimi tre mesi”, si legge nel comunicato nel quale si accenna anche all’altro problema urgente del trasporto di acqua pulita laddove non è possibile trovarla.

“In un mese, comincerà nel Ciad la stagione delle piogge, ponendo ulteriori ostacoli agli operatori impegnati a prestare soccorso poichè le strade e i ponti verranno inevitabilmente spazzati via e gli accessi verranno violentemente bloccati”. Per questa ragione la Caritas si sta mobilitando prontamente per assicurare altre scorte da utilizzare una volta iniziate le piogge.

Nel frattempo altre organizzazioni umanitarie si stanno operando in favore dei profughi sudanesi in Ciad.. Secondo quanto riferito dal “Jesuit Refugee Service” (JRS) in un notizia del 4 maggio scorso su richiesta dell'Arcivescovo di N'Djaména, capitale del Ciad, il JRS “ha inviato un team per analizzare i bisogni dei rifugiati al fine di inviare nei campi uno staff specializzato per fornire servizi sociali e istruzione”.

Inoltre l’organismo fondato dai gesuiti ha detto di aver “accettato di inserire le sue valutazioni e proposte nel documento della Caritas Internazionale e della SECADEV (Caritas Ciad) e di utilizzare la loro struttura se sarà presa la decisione di inviare un'équipe in Ciad. Un approccio simile è applicato attualmente nei campi per i rifugiati bhutanesi in Nepal, dove il JRS garantisce diversi servizi educativi".

Nel dispaccio è scritto inoltre che: “Ci si aspetta che la raccolta delle informazioni finisca agli inizi di maggio e che un progetto possa essere avviato nel mese di giugno".