Chiesa Cattolica e GIFT: spunti per una valutazione d’insieme

ROMA, domenica, 24 ottobre 2004 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo per la rubrica di Bioetica la risposta della dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, alla domanda di due lettori.

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Gentile dott.ssa Navarini,

[…] Le volevamo porre una domanda.
La Chiesa come giudica la tecnica di fecondazione GIFT?
[…]

Elisabetta e Daniele, Cologno Monzese (MI)

Cari Elisabetta e Daniele,

la GIFT – gamete intra-fallopian transfer – è una tecnologia riproduttiva che consiste nel prelievo di entrambi i gameti (ovuli e spermatozoi), nella loro preparazione in laboratorio, quindi nella loro immissione all’interno delle tube di Falloppio, ossia nel luogo naturalmente preposto alla fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo. Si tratta dunque di una tecnica di fecondazione artificiale intracorporea, a differenza della FIVET – fecondazione in vitro con embryo transfer – e di altre tecniche (ICSI, ZIFT, etc.), in cui i gameti si incontrano al di fuori del corpo della donna. Gli embrioni realizzati in vitro sono trasferiti successivamente nelle tube o nella cavità uterina in numero variabile a seconda delle legislazioni: in Italia, secondo la legge vigente, possono essere al massimo tre, come pure in Spagna, Regno Unito e Germania.

La produzione di embrioni in vitro presenta una serie di problemi scientifici ed etici. Intanto il successo del procedimento è basso: si calcola che un ciclo di FIVET abbia solo il 10-15% di probabilità che il bambino nasca rispetto al totale degli ovuli fecondati (cfr. Assisted Reproductive Technology in the United States and Canada. 1994 results generated from American Society for Reproductive Technology Registry, Fertil Steril 1996, 66: 697-705). Inoltre, le probabilità di incorrere in errori o alterazioni della salute dell’embrione nei passaggi che lo portano dalla provetta al corpo materno sono relativamente alte, per non parlare dei maggiori rischi di anomalie genetiche rispetto ai concepimenti naturali. Infine, e soprattutto, la fisiologica perdita di embrioni – congelati, abbandonati, buttati – che si accompagna a tutte le forme di fecondazione in vitro (FIV) rappresenta una grave e ingiustificata perdita di vite umane.

Oltre a ciò, tutte le tecniche di fecondazione artificiale (FA) intra- o extra-corporea chiamano in causa il modo proprio del concepimento, che nella FA prescinde dall’unione fisico-spirituale dei coniugi, realizzando una tappa ulteriore di quella rivoluzione sessuale che, dopo aver celebrato il rapporto sessuale senza procreazione, si concentra ora con insistenza sulla procreazione senza rapporto sessuale. Va osservato anche che il prelievo degli spermatozoi avviene molto spesso attraverso la masturbazione, che, anche nel caso di una finalità diversa dalla mera autogratificazione sessuale, resta un atto moralmente disordinato.

Nei suoi documenti ufficiali la Chiesa Cattolica non si è mai direttamente espressa sulla GIFT, ma solo sui significati della FA in quanto tale. Ad esempio, nell’Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione “Donum Vitae” (1987), la Congregazione per la Dottrina della Fede afferma: “I valori fondamentali connessi con le tecniche di procreazione artificiale umana sono due: la vita dell’essere umano chiamato all’esistenza e l’originalità della sua trasmissione nel matrimonio” (Introduzione, n. 3).

Dopo avere denunciato i mali della FA eterologa, il documento precisa che “[l]a fecondazione artificiale omologa, perseguendo una procreazione che non è frutto di un atto specifico di unione coniugale, opera obiettivamente una separazione analoga tra i beni e i significati del matrimonio” (parte II, B, n. 4), cioè fra il significato unitivo e quello procreativo.

Il male insisto in tali tecnologie riproduttive, anche indipendentemente dalla perdita di embrioni, non è dunque l’elemento di artificialità in quanto tale, ma l’alterazione del modo naturale di concepire, dove per “naturale” si intende non tanto “ciò che non è artefatto”, ma ciò che risponde all’ordine di natura, cioè al vero e al bene per l’uomo calati nella realtà e conoscibili dall’intelletto umano: “Questi interventi non sono da rifiutare in quanto artificiali. Come tali essi testimoniano le possibilità dell’arte medica, ma si devono valutare sotto il profilo morale in riferimento alla dignità della persona umana, chiamata a realizzare la vocazione divina al dono dell’amore e al dono della vita” (Introduzione, n. 3).

In questo senso, ogni intervento tecnico nel campo della procreazione potrà promuovere il bene dell’uomo e della famiglia se e soltanto se promuove e favorisce l’unione coniugale. Di conseguenza, ogni tecnica che “aiuti” l’atto coniugale a raggiungere la sua realizzazione più piena, ovvero la nascita di una nuova vita, sarà eticamente accettabile, mentre sarà da rifiutare ogni tecnica che si “sostituisca” all’atto coniugale, trasformando di fatto i genitori in “fornitori di gameti”, mentre l’artefice del concepimento viene ad essere il tecnico di laboratorio che esegue la fecondazione (cfr. parte II, B, nn. 6 e 7).

Tale insegnamento è stato ripreso più di recente dal Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari nel 1995: “ogni mezzo e intervento medico, nell’ambito della procreazione, deve avere una funzione di assistenza e mai di sostituzione dell’atto coniugale” (n. 22). Giovanni Paolo II si è espresso in termini simili in numerosi interventi, fra cui l’ Enciclica Evangelium Vitae : “Anche le varie tecniche di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita […] in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita. […] [E]sse sono moralmente inaccettabili, dal momento che dissociano la procreazione dal contesto integralmente umano dell’atto coniugale” (n. 14,; cfr. anche Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita , 21 febbraio 2004).

Alcuni moralisti cattolici ritengono che la GIFT omologa, cioè con i gameti dei coniugi, sia compatibile con l’etica naturale, ossia che sia possibile salvaguardare con essa gli elementi fondamentali della procreazione. Perché questo avvenga, questi moralisti suggeriscono alcuni “accorgimenti”: a) il prelievo del seme deve essere effettuato in modo eticamente lecito e il più possibile in prossimità di un rapporto sessuale. Una modalità è quella di avere un rapporto con condom perforato, al fine di trattenere parte dell’eiaculato ma di non ostacolare un eventuale concepimento naturale, evitando così di rendere contraccettivo il rapporto stesso; b) i gameti da immettere nelle tube vanno posti in un catetere separati da una “bolla d’aria”, per evitare che il concepimento avvenga “accidentalmente” in vitro, invece che nel suo luogo proprio.

Si tratta qui di valutare il grado di artificio, in modo da poter stabilire se la tecnica costituisca o meno una sostituzione dell’atto coniugale. Dicono in proposito M.L. Di Pietro e E. Sgreccia: “se dopo aver fatto prelevare il seme alla coppia durante un atto coniugale, aver anestetizzato la donna per prelevare le ovocellule per via laparoscopica e, nella stessa seduta, aver trasferito i gameti nelle tube di Falloppio, si ritiene di rientrare nell’aiuto all’atto coniugale, si potrà dire che la GIFT non è artificialità. Ma se l’intervento tecnico, pur successivo all’atto coniugale, appare preponderante rispetto alla presenza dell’uomo e della donna e la procreazione dicotomizzata dall’unione delle persone, si potrà dire al contrario che la GIFT è pura artificialità” (M.L. DI Pietro, E. Sgreccia, Procreazione assistita e fecondazione artificiale tra scienza, etica e diritto, La Scuola, Brescia 1999, p. 135).

A chi scrive pare tuttavia che
l’intervento tecnico nel processo di fecondazione attraverso GIFT sia effettivamente prevalente sulla presenza personale, e vada inteso come una sostituzione dell’atto coniugale.

In definitiva, l’unica forma di assistenza alla procreazione che potrebbe risultare eticamente accettabile secondo le indicazioni del Magistero è l’inseminazione artificiale omologa impropriamente detta, in cui il seme prelevato in occasione di un rapporto coniugale viene “sospinto” nelle vie genitali femminili per aiutare uomini affetti da oligospermia (insufficienza spermatica) o astenospermia (scarsa motilità spermatica). In questo caso, infatti, l’incontro dei gameti che eventualmente occorresse a seguito della pratica rimarrebbe conseguenza dell’atto personale coniugale (per quanto supportato dalla tecnica) e non della manipolazione in laboratorio.

Ulteriori riserve etiche si profilano tuttavia laddove si disponga di dati sufficienti per affermare che le tecnologie riproduttive sono direttamente causa di anomalie di vario tipo nella gravidanza e nel concepito, come una parte significativa della letteratura scientifica sostiene. In effetti, un elemento sorprendente di tali procedure è il fatto che esse sono praticate comunemente sull’uomo senza che vi sia stata un’adeguata fase sperimentale sull’animale, come avviene di regola per ogni nuova terapia o intervento medico-sanitario (cfr. N. Frontali e F. Zucco, Sterili per legge, “Le Scienze”, settembre 2004, pp. 58-63).

I rischi maggiori sono quelli a carico della donna, che va incontro ad una maggiore incidenza di gravidanze ectopiche, di aborti e di altre complicanze per la salute, e dell’embrione/feto, che oltre a presentare tutti i rischi relativi all’incidenza di gravidanza gemellari e plurigemellari, di prematurità e di basso peso alla nascita, è candidato ad un maggior numero di anomalie cromosomiche, dovute o all’origine genetica della sterilità dei genitori – i quali, anche se messi artificialmente in grado di procreare, continuano ad essere sterili ed eventualmente a trasmettere alla prole difetti legati ai cromosomi sessuali – o alla manipolazione dei gameti e degli embrioni.

Non si tratta in alcun modo di fare del terrorismo psicologico, ma di disporsi ad una lettura onesta dei dati, traendone le conseguenze dovute, e ricordando che, proprio perché è richiesta ad ogni genitore una sana adesione alla realtà delle cose, si diventa davvero padri e madri – biologici o adottivi o spirituali – rispettando il più possibile l’ordine naturale.

La prospettiva più degna, ancorché ardua da accettare, per chi si trovi in condizioni di infertilità o sterilità è dunque quella dell’accettazione della realtà per quella che è, senza coltivare il pericoloso sogno di generare biologicamente ad ogni costo, scavalcando in un campo così delicato il proprio limite fisiologico.

[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. La dottoressa Navarini risponderà personalmente in forma pubblica e privata ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]

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ZENIT Staff

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