"Secondo verità nella carità"

Lectio dell’ultima Enciclica di Benedetto XVI

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Riprendiamo oggi la seconda meditazione del Rettore della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, durante il Ritiro di Quaresima che ha tenuto presso l’Istituto per le Opere Religiose (IOR) nei giorni 12-14 marzo scorsi.

La prima meditazione è stata pubblicata ieri, mercoledì 20 marzo.

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Caritas in veritate (d’ora in poi CiV) è il titolo della terza Enciclica – l’ultima – di Benedetto XVI. Attesa ormai da lungo tempo, quasi con impazienza, essa è stata firmata il 29 giugno 2009, ed è stata presentata ufficialmente alcuni giorni dopo, il 7 luglio. All’indomani, durante l’Udienza generale del mercoledì, il Papa stesso ne ha fornito le chiavi di lettura più importanti.

Il titolo dell’Enciclica – ha spiegato il Santo Padre in quell’occasione – si ispira «a un passo della lettera di Paolo agli Efesini, dove l’Apostolo parla dell’agire secondo verità nella carità». «Agendo secondo verità nella carità», scrive infatti san Paolo, «cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il Capo, il Cristo» (Efesini 4,15).

Attorno al principio della carità nella verità (si noti che i due termini della locuzione paolina sono stati intenzionalmente scambiati) il Papa fa ruotare tutti i contenuti dell’Enciclica, centrandoli nella dottrina sociale della Chiesa. «Solo con la carità, illuminata dalla ragione e dalla fede», ha proseguito Benedetto XVI nella medesima Udienza, «è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di valenza umana e umanizzante». La giustizia e il bene comune sono i due criteri operativi di questo itinerario impegnativo. Solo così la carità acquista una dimensione sociale; anzi, la sollecitudine per il bene comune rappresenta «la via istituzionale… della carità» (CiV, n. 7).

L’Enciclica – significativamente indirizzata non solo ai vescovi, ai presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, ma anche «a tutti gli uomini di buona volontà» – si articola in un’introduzione, in sei capitoli e in una conclusione.

Per avere una prima idea dei contenuti, basta citare il titolo dei sei capitoli: Il messaggio della Populorum progressio; Lo sviluppo umano nel nostro tempo; Fraternità, sviluppo economico e società civile; Sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente; La collaborazione della famiglia umana; Lo sviluppo dei popoli e la tecnica.

Il testo, distribuito in 79 paragrafi, è corredato da 159 note. Vi ricorre soprattutto il riferimento al magistero sociale di tre pontefici (di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI); ma sono richiamati anche i Documenti del Concilio Vaticano II (in particolare la Gaudium et Spes) e numerosi testi emanati da vari Dicasteri della Curia Romana, come il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa; sono addotte le massime auctoritates della Tradizione (Agostino e Tommaso); e non manca neppure la citazione di un filosofo presocratico, Eraclito di Efeso, vissuto tra il sesto e il quinto secolo a.C.

Da parte nostra, scorreremo in estrema sintesi – quasi come un «invito alla lettura» – i temi principali dell’Enciclica, per approdare poi ad alcune brevi riflessioni conclusive, soprattutto in rapporto alla crescita spirituale di ciascuno.

1. Viaggio di andata al testo magisteriale: i contenuti principali dell’Enciclica

* L’introduzione (nn. 1-9)

Prima di tutto il Papa spiega alcuni termini-chiave dell’Enciclica, come carità, giustizia, bene comune, e in particolare la locuzione caritas in veritate in rapporto alla dottrina sociale della Chiesa. A sua volta, tale dottrina viene così definita: caritas in veritate in re sociali, vale a dire «annuncio della verità di Cristo nella società» (n. 5).

La carità è dunque il soggetto fondamentale anche della terza, oltre che della prima Enciclica di Benedetto XVI (è questo il motivo dello scambio dei due termini, rispetto all’espressione paolina: non veritas in caritate, ma caritas in veritate).  La carità infatti è «la via maestra della dottrina sociale della Chiesa», a patto però che essa – la carità – venga «compresa, avvalorata e praticata alla luce della verità» (n. 2).

Come si vede, il Papa si riferisce fin dall’inizio a un’«idea portante» del suo magistero. Essa verrà ripresa più avanti, alla fine del secondo capitolo (n. 33). La ragione, per essere vera – cioè autentico logos –, non può ripiegarsi su se stessa. Essa deve aprirsi, dilatarsi nella direzione della fede e dell’amore (agape, caritas): solo così può incrociare (dia) la strada della verità. Questo dia-logos inesausto tra ragione e amore è precisamente la via della verità (nn. 3-4).

Nella medesima introduzione Benedetto illustra anche la continuità con il magistero sociale dei precedenti Pontefici. Era quasi obbligatorio: è ben noto infatti che le Encicliche sociali, a partire dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891), si richiamano tra loro, talvolta sfruttando esplicitamente la ricorrenza giubilare di quel testo famoso (di qui i titoli come Quadragesimo anno, Centesimus annus). E’ privilegiato il riferimento alla Populorum progressio (= PP) di Paolo VI (del 1967: Benedetto la considera «come la Rerum Novarum dell’epoca contemporanea», n. 8, e nell’Udienza dell’8 luglio 2009 ne ha parlato come di «una pietra miliare dell’insegnamento sociale della Chiesa»), e anche alla Sollicitudo rei socialis, pubblicata da Giovanni Paolo II nel ventennale della PP. A sua volta, CiV avrebbe dovuto uscire nel ventennale della Sollicitudo rei socialis, se la complessa elaborazione del testo non ne avesse ritardato la pubblicazione.

* Il primo capitolo: il messaggio della PP (nn. 10-20)

Nel primo capitolo dell’Enciclica il Papa si riconduce sistematicamente alla PP, inquadrandone l’insegnamento nel magistero del Concilio e dello stesso Paolo VI, e complessivamente nella dottrina sociale della Chiesa. Neanche in questo caso Benedetto XVI perde l’occasione di richiamarsi alla Tradizione della fede apostolica, fondata sulla sacra Scrittura e sull’ininterrotto insegnamento che trascorre dagli Apostoli ai Padri della Chiesa, fino ai grandi Dottori cristiani (n. 12).

Concludendo la rivisitazione della PP, il Papa giunge a esaminare le cause del sottosviluppo mondiale. Esse non sono primariamente di ordine materiale (n. 19). Se così fosse, i rimedi andrebbero cercati attraverso disposizioni meramente «tecniche», sulle quali la Chiesa non ha titolo per intervenire (n. 16). Ma le vere cause vanno rintracciate altrove: prima di tutto nella volontà insufficiente degli uomini; poi nella carenza di pensiero; infine nella mancanza di fraternità tra le persone e i popoli. Il fenomeno della globalizzazione non genera automaticamente questa fraternità: rende gli uomini più vicini, ma non fratelli tra loro. Solo una ragione che si apre alla carità – dono del Padre a tutti i suoi figli – può realizzare l’autentica fraternità.

Su questo sfondo ideale poggiano gli insegnamenti successivi di CiV, mirati a «far evolvere gli attuali percorsi economici e sociali verso esiti pienamente umani» (n. 20).

* Il secondo capitolo: lo sviluppo umano nel nostro tempo (nn. 21-33)

Nella medesima direzione si muove il secondo capitolo dell’Enciclica, dedicato allo «sviluppo umano nel nostro tempo».

La riflessione del Papa parte dal concetto di «sviluppo» mat
urato da Paolo VI. Contestualmente, a più di quarant’anni dalla PP, Benedetto si chiede fino a che punto le aspettative di Paolo VI siano state soddisfatte. In verità, i timori e le preoccupazioni di Papa Montini erano ben fondati: oggi, di fronte al susseguirsi delle crisi, si deve riconoscere che l’uomo «solo tecnologico» è incapace di progettare e di gestire obiettivi realistici di sviluppo. Di conseguenza, si avverte l’estrema urgenza di una «nuova sintesi umanistica» (n. 21).

In primo luogo lo «sviluppo», perché sia veramente degno di questo nome, deve essere sviluppo per tutti, a partire dalla «coscienza solidale, che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzione né discriminazioni» (n. 27).

Inoltre lo sviluppo autentico non può essere solo di tipo economico e tecnologico. Per sua natura, lo sviluppo è complessivo, «policentrico». In ogni caso, «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità» (n. 25). La questione dello sviluppo non è anzitutto di ordine tecnologico, bensì di ordine antropologico. Così l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo, come lo è il diritto alla libertà religiosa.

Per favorire l’intelligenza e l’attuazione di questa «nuova sintesi umanistica», in vista dello sviluppo autentico, il Papa – dinanzi alle nuove sfide della «globalizzazione» (da lui definita come «esplosione dell’interdipendenza planetaria», fenomeno ancora in germe ai tempi di Paolo VI) – ritorna a uno dei suoi temi prediletti: «Si tratta», egli raccomanda, «di dilatare la ragione, e di renderla capace di conoscere e di orientare queste imponenti nuove dinamiche, animandole nella prospettiva di quella “civiltà dell’amore”, il cui seme Dio ha posto in  ogni popolo, in ogni creatura» (n. 33).

Questa proposta appassionata di «un nuovo umanesimo per la civiltà dell’amore» è inseparabile, nel pensiero di Joseph Ratzinger, dal cosiddetto «realismo della fede»: di fatto, il «nuovo umanesimo» non è una serie di proposizioni filosofiche astratte. Esso si incarna in una Persona realissima, Gesù di Nazaret, che rivela all’uomo la sua vera vocazione: il volto di Cristo è il volto dell’uomo nuovo.

* Il terzo capitolo: fraternità, sviluppo economico e società civile (nn. 34-42)

Entriamo così nel «cuore» dell’Enciclica.

«La carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono» (n. 34). L’ideale della fraternità, che deve guidare lo sviluppo dell’economia e della società, è – in ultima analisi – un dono assolutamente gratuito di Dio, che, per mezzo di Gesù Cristo, si rivela come il nostro Padre comune: di conseguenza, gli uomini sono fratelli tra di loro, e come tali devono comportarsi.

Così lo sviluppo economico, sociale e politico, se vuol essere autenticamente umano, deve fare spazio al principio della gratuità e alla logica del dono come espressioni di fraternità.

A questo riguardo, il Papa non si stanca di ripetere che è gravemente errato sostenere che le «sacche di povertà» sono inevitabili, o addirittura necessarie, per le esigenze del mercato e dello sviluppo economico. E’ proprio vero il contrario. L’apertura – in contesto mondiale – a forme di attività economica caratterizzate da quote di gratuità e di comunione, e il conseguente progressivo ricupero dei Paesi più poveri, consente anche ai Paesi più ricchi l’opportunità di uno sviluppo ulteriore. Di fatto, senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica (n. 35).

Più in generale, lo «sganciamento» pernicioso dell’economia dalla morale danneggia l’economia stessa, anzitutto generando nelle persone un senso di pesante sfiducia verso il mondo della finanza e delle imprese bancarie: lo testimonia efficacemente il momento attuale di crisi e di recessione economica.

Urge perciò un «risanamento», una «civilizzazione dell’economia», attraverso il ricupero della sua dimensione etica: e questo sia a livello delle dinamiche economiche internazionali, sia a livello delle medie e piccole imprese. In tali direzioni va orientata la globalizzazione dell’umanità (che di per sé – notava Giovanni Paolo II – «non è né un bene né un male»), vale a dire «in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione» (n. 42).

«Un futuro migliore per tutti è possibile», ha aggiunto il Papa nell’Udienza dell’8 luglio 2009, che abbiamo ricordato all’inizio, «se lo si fonda sulla riscoperta dei fondamentali valori etici. Occorre cioè una nuova progettualità economica, che ridisegni lo sviluppo in maniera globale, basandosi sul fondamento etico della responsabilità davanti a Dio e all’essere umano come creatura di Dio».

* Il quarto capitolo: sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente (nn. 43-52)

Una rinnovata coscienza etica nell’ambito dell’economia e dello sviluppo comporta la consapevolezza che i diritti delle persone e delle istituzioni presuppongono altrettanti doveri, senza i quali i diritti stessi si trasformano in arbitrio. «Si è spesso notata», osserva in proposito il Santo Padre, «una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo – o addirittura alla trasgressione e al vizio – nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo» (n. 43).

Questa consapevolezza equilibrata – veramente etica – dei diritti e dei doveri nel campo dello sviluppo deve applicarsi alle problematiche connesse con la crescita demografica (n. 44), con la gestione delle imprese (nn. 45-46) e con la cooperazione internazionale (n. 47); deve applicarsi anche, in modo particolare, al rapporto dell’uomo con l’ambiente e alle questioni energetiche. Com’è noto, la sollecitudine ecologica rappresenta uno dei capitoli ricorrenti nel magistero di Benedetto XVI, il quale non cessa di richiamare con forza che «la natura è espressione di un disegno di amore e di verità» (n. 48), che va rispettato e amato.

Per conseguire in ciascuno di questi àmbiti l’obiettivo di un autentico sviluppo, serve – ancora una volta – «la complessiva tenuta morale della società» (n. 51): il principio fondamentale della caritas in veritate «ci indica che cosa sia il bene e in che cosa consista la vera felicità. Ci indica quindi la strada verso il vero sviluppo» (n. 52).

* Il quinto capitolo: la collaborazione della famiglia umana (nn. 53-67)

E’ una strada che bisogna percorrere nella collaborazione tra i popoli: il loro sviluppo, infatti, «dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia».

Questa constatazione suggerisce «un approfondimento critico e valoriale della categoria di relazione» (n. 53). Perciò Benedetto XVI, alla luce del mistero rivelato della Trinità, e rifacendosi ai suoi studi prediletti – si veda soprattutto Introduzione al cristianesimo –,sollecita «un’interpretazione metafisica dell’humanum», in cui la categoria di relazione, lungi dal configurarsi come mero accidente (così, in generale, nella filosofia greca), attinge piuttosto alla sostanza dell’Essere: il Dio «dal volto umano» è relazione di Persone, e l’uomo è creato a sua immagine. Non si potrà mai realizzare un autentico sviluppo, quando viene trascurata questa verità fondamentale.

Pertanto, anche se è vero che lo sviluppo ha bisogno delle religioni e delle culture dei diversi popoli, tale affermazione non può degenerare in un «qualunquismo» o in un indifferentismo religioso: non è affatto vero che una religione vale l’altra (n. 5
5).

Il Santo Padre trascorre poi a illustrare alcuni principi che devono regolare la collaborazione tra i popoli nell’era della globalizzazione: essi sono soprattutto il principio di sussidiarietà e il principio di solidarietà, chiamati a interagire efficacemente tra di loro (nn. 57-58).

Quando questa interazione funziona, allora si verificano conseguenze benefiche per lo sviluppo, segnatamente in alcuni àmbiti citati dal Papa, quali la collaborazione economica tra Paesi ricchi e Paesi poveri, l’educazione, il turismo internazionale, le migrazioni, la finanza, il risparmio e il consumo.

Infine, sempre in vista della collaborazione tra i popoli, il Papa avverte l’urgenza della riforma «sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale» (n. 67).

* Il sesto capitolo: lo sviluppo dei popoli e la tecnica (nn. 68-77)

Nell’ultimo capitolo dell’Enciclica il Papa tratta dello stretto rapporto che intercorre oggi tra lo sviluppo dei popoli e il progresso tecnologico.

Fin dall’inizio, egli mette chiaramente sull’avviso: «Lo sviluppo dei popoli degenera, se l’umanità ritiene di potersi ri-creare avvalendosi dei prodigi della tecnologia» (n. 68). E’ questo il comportamento stimmatizzato dalla Bibbia nel celebre racconto della torre di Babele, quando gli uomini pretesero di rivendicare «un nome» indipendente da quello ricevuto da Dio, e così causarono solo confusione e disordine (cfr. Genesi 11).

Di fatto, il fascino che il progresso tecnologico esercita oggi sulle persone, le induce spesso a ritenere che alla tecnica è lecita qualunque cosa. E’ il risultato estremo della «concezione prometeica» dell’uomo, che non si riconosce più creatura di Dio. Viceversa, secondo il progetto del Creatore, anche la tecnica si inserisce nel mandato di «coltivare e custodire» quella terra, che Dio stesso ha consegnato all’uomo (cfr. Genesi 2,15).

Urge, in definitiva, «una formazione alla responsabilità etica nell’uso della tecnica. A partire dal fascino che la tecnica esercita sull’essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà, che non consiste nell’ebbrezza di una totale autonomia», bensì nell’adesione fedele alla verità del nostro essere (n. 70). L’àmbito specifico della bioetica dimostra quanto sia improrogabile questo impegno (nn. 74-75).</p>

In breve, un progresso tecnologico che non tiene conto dell’uomo integrale, della sua verità profonda, della sua dimensione spirituale – oltre che di quella materiale – è solo un progresso illusorio: «Non ci sono sviluppo plenario e bene comune universale», conclude il Papa, «senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza di anima e corpo» (n. 76).

Tornando sul medesimo tema nell’Angelus del 12 luglio 2009, Benedetto XVI ha aggiunto: «Le soluzioni ai problemi attuali dell’umanità non possono essere solo tecniche, ma devono tener conto di tutte le esigenze della persona… e devono tener conto del Creatore, Dio. Potrebbe infatti disegnare foschi scenari per il futuro dell’umanità “l’assolutismo della tecnica”, che trova la sua massima espressione in talune pratiche contrarie alla vita».

* La conclusione (nn. 78-79)

La conclusione dell’Enciclica è un’appassionata ripresa – in forma di vibrante appello a tutti i credenti – della trama ideale (il cosiddetto filo rosso) che sorregge il discorso del Papa.

Torna così il riferimento all’umanesimo cristiano, definito come «la maggiore forza a servizio dello sviluppo»: infatti «solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci nella promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile» (n. 78).

E finalmente «lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’intero sviluppo, non è da noi prodotto, ma ci viene donato» (n. 79).

2. Viaggio di ritorno: osservazioni conclusive

Raccogliamo le nostre osservazioni – si tratta in realtà di pochi, semplici «appunti», che meriterebbero di essere sviluppati in maniera adeguata – attorno a tre nuclei di riflessione.

*I «confini» dell’Enclica

L’Enciclica – il Papa lo accenna a più riprese – non intende assolutamente rinnegare o limitare l’autonomia propria delle realtà terrestri, né la sana «laicità» delle scienze economiche e politiche.

Benedetto XVI, infatti, sa bene che la Chiesa non possiede «soluzioni tecniche» da presentare, e che – dinanzi ai problemi attuali dello sviluppo mondiale – non è possibile in alcun modo estrarre «ricette preconfezionate» dal deposito della Tradizione.

D’altra parte questi «confini oggettivi», che l’Enciclica rispetta, non devono condannare la fede in Gesù Cristo all’irrilevanza pratica nell’àmbito sociale, politico ed economico. La Chiesa infatti, «esperta in umanità, offre a tutti l’insegnamento della Sacra Scrittura sulla verità dell’uomo, e annuncia il Vangelo dell’Amore e della giustizia» (Angelus del 12 luglio 2009). Rinunciare a questa missione significherebbe tradire il «testamento» di Gesù ai suoi discepoli: «Andate e ammaestrate tutte le genti…, insegnando loro a osservare quello che vi ho detto» (Matteo 28,19-20).

* Un’«attualizzazione efficace» della Tradizione in re sociali

Di fatto, l’Enciclica manifesta l’impegno generoso – e finora inedito, come inedita è la situazione del momento presente – di «attualizzare» la Parola di Dio e i successivi insegnamenti sociali della Tradizione cristiana. Se la PP rappresenta «una pietra miliare dell’insegnamento sociale della Chiesa», CiV non è certo da meno.

La responsabilità personale del credente – che nel medesimo itinerario di «attualizzazione» non può mai essere trascurata – è sollecitata a ripensare efficacemente i grandi temi della società, della politica e dell’economia, e ad assumere decisioni coerenti.

Certo, non era facile accompagnare in questo modo la coscienza dei credenti e di tutti gli uomini di buona volontà. I problemi affrontati dall’Enciclica sono numerosi e complicati. In molti casi essi richiedono un approccio «da specialisti»: per questo CiV è stata ampiamente ripresa e studiata in maniera approfondita dai competenti del settore. In nessun caso, infatti, il Papa ha voluto tirarsi indietro dinanzi alle questioni sociali emergenti, anche le più controverse.

Oggi – ad alcuni anni di distanza – bisogna riconoscere che CiV contiene un insegnamento sociale organico, completo, a partire dal principio fondamentale della caritas in veritate. Anch’essa – come il gesto conclusivo del pontificato di Benedetto XVI – rappresenta una grande lezione di coraggio e di metodo.

* Un nuovo stimolo per l’esercizio della lectio divina e per la crescita spirituale dei fedeli

E’ una lezione di coraggio e di metodo che possiamo applicare anche – in ambito spirituale – alla lectio divina, per rinnovarne l’esercizio in maniera efficace.

Molte volte l’ultima tappa della lectio, che riguarda la cosiddetta «attualizzazione» della Parola letta e meditata, lascia deluse le persone e le comunità. L’obiezione ricorrente è che il cosiddetto «viaggio di ritorno» nella preghiera (oratio) e nella conversione della vita (contemplatio) a un certo punto si arena, e sfocia nel ripetitivo e nello scontato. Insomma, la lectio non
riesce a «mordere la realtà», come invece si vorrebbe.

C’è forse, dietro a questa delusione, l’eterna pretesa di rintracciare nei testi biblici le comode «ricette». Ma forse c’è anche un anelito autentico, che non bisogna disattendere.

Ebbene, CiV dimostra che l’itinerario di attualizzazione della Parola di Dio nella vita dei credenti può coprire ancora ampi spazi. 

Benedetto XVI – riecheggiando Paolo VI e la PP – indica nella «mancanza di volontà» e nella «carenza di pensiero» gli ostacoli più gravi per lo sviluppo dei popoli (n. 19): ebbene, queste stesse carenze rappresentano anche i limiti di molte lectiones divinae, che rischiano di appiattirsi sui comodi sentieri collaudati dall’esegesi tradizionale, rimanendo così piuttosto accademiche, teoriche e disincarnate.

L’ultima Enciclica del Papa ci insegna che la passione della carità – la vera grande protagonista dello sviluppo dei popoli – è capace di travolgere qualunque confine mediocre, tanto nella preghiera come nella vita.

In realtà, la caritas in veritate non conosce confini.

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Sembra di risentire così – alla fine di tutto – la solenne promessa del buon Samaritano, che è Gesù Cristo stesso: «Abbi cura di lui», egli continua a ripetere, riferendosi a ogni uomo, a ogni popolo derubato e ferito; «e anche se spenderai di più, pagherò io, quando ritorno» (Luca 10,35).

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ZENIT Staff

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