Per la libertà d'educazione, contro il "pensiero unico" del gender

Cinque associazioni hanno presentato oggi in Senato una petizione rivolta alle Istituzioni per chiedere “il rispetto del ruolo della famiglia nell’educazione all’affettività e alla sessualità”

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Un accorato appello alle “persone di buon senso”. È quello che giunge dalla sala conferenze del Senato, dove si sono riuniti oggi i rappresentanti di alcune associazioni promotrici di una petizione da indirizzare al presidente del Consiglio, al ministro dell’Istruzione e al futuro presidente della Repubblica, per chiedere “il rispetto del ruolo della famiglia nell’educazione all’affettività e alla sessualità”.

Toni Brandi, presidente di Pro-Vita, Gianfranco Amato, dei Giuristi per la Vita, Carlo Casini, del Movimento per la Vita, Ernesto Mainardi, dell’Agesc (Associazione genitori delle scuole cattoliche) ed Emanuela Micucci, dell’Age (Associazione italiana genitori), auspicano in primo luogo la disapplicazione della Strategia nazionale dell’Unar, che già nei mesi scorsi ha provocato una vera e propria levata di scudi da parte di genitori e non solo.

Il clima di consapevolezza intorno all’introduzione del gender nelle scuole è dimostrato dal fatto che la campagna presentata oggi dalle cinque associazioni ha già raccolto oltre 50mila firme attraverso il solo passaparola. Sono in tanti a credere che – “dietro il pretesto del contrasto delle discriminazioni”, come ha commentato Brandi –  sia in atto un tentativo di indottrinamento ideologico ai danni degli alunni.

Di questo avviso è anche l’avv. Amato, il quale ha ricordato che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sancì il “diritto di priorità” dei genitori nell’educazione dei loro figli in una data “non casuale”: il 1948. “L’esperienza della guerra – ha affermato il giurista – aveva dimostrato quanto fosse stato devastante l’indottrinamento dei giovani attraverso il sistema di istruzione statale pubblico del Terzo Reich”.

Secondo Amato, quei fantasmi del passato stanno oggi tornando d’attualità. Preoccupazione che sembra accomunare anche papa Francesco, il quale in un discorso dell’11 aprile 2014 ha espresso il seguente giudizio: “Occorre sostenere il diritto dei genitori all’educazione dei propri figli e rifiutare ogni tipo di sperimentazione educativa sui bambini e giovani, usati come cavie da laboratorio, in scuole che somigliano sempre di più a campi di rieducazione e che ricordano gli orrori della manipolazione educativa già vissuta nelle grandi dittature genocide del secolo XX, oggi sostitute dalla dittatura del ‘pensiero unico’”.

Dittatura del “pensiero unico” che Toni Brandi fa risalire “all’ideologia marxista, alla psicanalisi di Freud e alla ‘scuola di Francoforte’”. Ad esserne oggi interpreti sono “forze politiche che vogliono stravolgere i parametri antropologici su cui da sempre si basa la società umana”. Il gender, il quale si prefigge di negare il presupposto biologico dell’identità sessuale, sarebbe dunque uno strumento di quella che Brandi definisce “la peggiore rivoluzione antropologica della storia”.

Ma chi ne consente una così capillare diffusione? Brandi non ha dubbi: “gli enormi interessi finanziari delle multinazionali, le quali sono allettate dai lauti profitti delle industrie della fecondazione in vitro, dei preservativi, della pornografia, dell’aborto, del transgender”.

Interessi finanziari – ha aggiunto Brandi – che coinvolgono “il mondo della grande editoria capace di influenzare l’opinione pubblica”, e che riguardano anche le casse dello Stato. A tal proposito ha ricordato che i contribuenti italiani “spendono oltre 200milioni di euro all’anno per l’aborto, sebbene venga spesso praticano in cliniche private”.

Inconsapevoli di questi enormi flussi di denaro sono spesso le famiglie, “le quali sono anche ignare della rivoluzione antropologica in atto nelle scuole dei loro figli”, precisa Mainardi. Il rappresentante dell’Agesc ha parlato del ddl depositato in Senato da Valeria Fedeli (Pd), che prevede di “integrare l’offerta formativa dei curricoli scolastici, di ogni ordine e grado, con l’insegnamento a carattere interdisciplinare dell’educazione di genere come materia, e agendo anche con l’aggiornamento dei libri di testo e dei materiali didattici”.

Prima ancora dell’approvazione di questo testo, tuttavia, “l’introduzione ideologica del gender è stata quasi incorporata nella mentalità dei dirigenti della burocrazia scolastica”. Secondo Mainardi, lo testimonia il fatto che “le linee guida su corsi anti-bullismo si riducono a combattere il bullismo omofobico”.

Emanuela Micucci, dell’Age, ha poi denunciato la “poca informazione” che viene offerta alle famiglie intorno a questi corsi extra-curriculari. “In base al principio di corresponsabilità educativa – ha ricordato la Micucci – le famiglie dovrebbero essere invece messe al corrente di ogni iniziativa scolastica”.

Di qui la richiesta – contenuta nella petizione – affinché le scuole siano obbligate ad informare sui contenuti di tali progetti e a chiedere il “consenso informato” ai genitori per la partecipazione dei propri figli. E laddove il consenso fosse negato, lasciare liberi gli alunni di prender parte a corsi alternativi. È un elemento base, prima ancora che della libertà educativa, della civiltà.

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Federico Cenci

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