La pittura astratta e informale si è imposta a partire dal Novecento come espressione di libertà creativa, indipendenza dalle regole, dalle forme, dai contenuti, tanto che è ormai un “luogo comune” che l’astrattismo sia pittura libera, di contro a ogni forma di figurativismo. Inoltre sembra a molti parimenti indiscutibile che solo la pittura astratta sia la più legittima espressione della sensibilità moderna, tanto che la manualistica sembra occuparsi solo di essa. Anche mettendo da parte considerazioni teoriche, non si possono però ignorare studi storici, piuttosto documentati e ormai accettati dalla comunità scientifica, secondo i quali la pittura astratta fu un mezzo di “colonizzazione” culturale statunitense, studiato e pianificato addirittura dalla CIA. Il volume molto ricco (e apprezzato da più parti) di Frances Stonor Saunders, Who paid the Piper? The CIA and the Cultural Cold War, pubblicato per la prima volta nel Regno Unito nel 1999 e tradotto in italiano nel 2004 con il titolo Gli intellettuali e la CIA. La strategia della Guerra Fredda Culturale[1] ricostruisce un processo molto ampio ed argomenta che la pittura astratta e informale, inizialmente non apprezzata e ostacolata negli stessi Stati Uniti, fu poi prescelta come la migliore arma contro la cultura sovietica e contro ogni forma di realismo, e dunque fu non solo finanziata e promossa, ma anche occultamente imposta dovunque la Guerra Fredda fosse combattuta.
“L’élite culturale statunitense” scelse l’espressionismo astratto come testimonianza di “ideologia anticomunista, il valore della libertà, della libera impresa. Era un’arte non figurativa e non dichiaratamente politica, e rappresentava la vera antitesi al realismo socialista. Era il tipo di arte che i sovietici disprezzavano. Ma era anche qualcosa di più. Rappresentava, affermavano i suoi sostenitori, un apporto specificatamente americano all’arte moderna”[2] e Jackson Pollock fu scelto come “rappresentante principale di questa nuova rivelazione nazionale”[3]. I critici promossero tale arte, la CIA si accordò con il Museum of Modern Art di New York che acquistò opere di Pollock, Motherwell, Matta, Rothko ed altri, mediante l’investimento di capitali: “Chi poteva opporsi a Clem Greenberg e poi a Rockefeller, che comprava a piene mani per adornare i saloni d’ingresso delle sue banche, e dire ‘Questa roba è terribile’?”[4].
Negli anni ’90 la rivista “Quadri e Sculture” di Duccio Trombadori ha evidenziato questo legame tra l’astrattismo e la ideologia americana. Recentemente, per esempio, Paolo Guzzanti ha rilanciato questi studi, mettendo anche in evidenza le difficoltà vissute dagli artisti di sinistra italiani, divisi tra la fedeltà al realismo (per esempio Renato Guttuso) e l’adesione alla “libertà” dell’astrattismo[5].
Noi ci domandiamo come abbiano vissuto tutto questo quegli artisti astratti, che tipo di libertà fu la loro. Secondo la Saunders non si resero pienamente conto di quanto stesse accadendo: “Una delle caratteristiche sorprendenti del ruolo svolto dalla pittura americana nella guerra fredda culturale non è il fatto di avervi preso parte in sé, ma il fatto che un movimento che si dichiarava deliberatamente apolitico diventasse tanto intensamente politicizzato”[6].
Tuttavia la vita di questi artisti di successo si concluse perlopiù con morti tragiche e con suicidi; secondo alcuni Rothko si suicidò “perché non riusciva a sostenere la contraddizione di essere stato inondato di ricompense materiali per opere che ‘urlavano la loro opposizione al materialismo borghese’”[7]. Per altri forse accadde come all’editore del “Washington Post” Philip Graham che si sparò secondo alcuni perché il successo tanto cercato “si convertì in qualche modo nella sua bocca in polvere e cenere”[8].
La vera libertà è servire la verità, e solo la verità. Questo dobbiamo sottolinearlo sempre. Anche per questo, mentre con attenzione si deve riflettere sul risultato di queste ricerche, si deve anche, innanzitutto per correttezza storica, rifiutare il facile e ripetuto parallelismo tra la strategia culturale della CIA e il mecenatismo rinascimentale dei Papi: non è la stessa cosa promuovere la pittura della Cappella Sistina e imporre negli USA e nei paesi alleati (compresa l’Italia) un genere pittorico in un deliberato “progetto politico e un piano di guerra psicologica”[9]. Si tratta di processi storici completamente diversi.
La trasmissione di una verità in cui si crede, mediante la bellezza delle forme (e così potremmo definire la Cappella Sistina) niente ha a che spartire con la mistificazione delle forme per il servizio (esplicito o occulto) al potere. E su questo torneremo ancora.
Ricordiamo intanto quanto ha detto papa Francesco al mondo della scuola italiana: “Se una cosa è vera, è buona ed è bella; se è bella, è buona ed è vera; e se è buona, è vera ed è bella. E insieme questi elementi ci fanno crescere e ci aiutano ad amare la vita” [10].
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. Website www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it.
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NOTE
[1] Frances Stonor Saunders, Gli intellettuali e la CIA. La strategia della guerra fredda culturale, Fazi editore, Roma 2004.
[2] Ibid., p. 227.
[3] Ibid., p. 228.
[4] Ibid. p. 246, cita Jason Epstein, intervista, New York, giugno 1994.
[5] Paolo Guzzanti, L’arma più segreta della CIA erano i pittori dell’astrattismo, in “II Giornale.it” , 28 agosto 2014 (http://www.ilgiornale.it/news/cultura/1046197.html).
[6] Stonor Saunders, Gli intellettuali e la CIA, p. 246-247.
[7] Ibid., p. 249.
[8] Ibid., p. 381.
[9] Ibid., p. 135.
[10] Francesco, Discorso. Al mondo della scuola italiana, 10 maggio 2014.