La legalizzazione della prostituzione non è la soluzione

I risultati di un’inchiesta legata alla situazione in Australia

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di padre John Flynn, LC

ROMA, lunedì, 9 maggio 2011 (ZENIT.org).- La questione della legalizzazione della prostituzione è un tema sollevato più volte nel corso degli ultimi anni. I fautori della legalizzazione sostengono che è meglio regolarne l’esercizio per renderlo più sicuro e per evitarne gli abusi; un approccio definito come riduzione del danno.

Tuttavia, la legalizzazione è ben lungi dall’essere la soluzione perfetta, come è emerso dall’esperienza legata alla zona attorno alla capitale australiana Canberra, l’Australian Capital Territory (ACT). La prostituzione è stata legalizzata nell’ACT nel 1992. Ma dopo la morte per overdose, nel 2008, della prostituta diciassettenne Janine Cameron, sono emersi dubbi sul funzionamento della legge.

L’Assemblea legislativa dell’ACT sta attualmente svolgendo un’indagine conoscitiva. Quasi 50 memorie scritte sono state depositate e si stanno svolgendo attualmente delle audizioni.

“Non si può fare sesso ogni giorno con 10 o 15 uomini diversi senza che ciò incida sulla propria autovalutazione, sulla valutazione del sesso, e sull’idea di come si costruisca un rapporto di intimità con un altro essere umano”, ha detto Julie (uno pseudonimo) agli inquirenti.

Secondo un servizio di ABC news dell’8 aprile, Julie ha iniziato a lavorare in un casa chiusa all’età di 17 anni. Dopo 18 mesi ne è uscita, ma ha detto che non è stato facile venire fuori da un settore caratterizzato da alti livelli di criminalità e di corruzione.

Per lei è stato difficile tornare a condurre una vita normale. “È stato molto difficile andare avanti e instaurare normali relazioni intime con una persona”, ha detto.

Violazione della dignità

Nella memoria presentata dall’Arcidiocesi cattolica di Canberra e Goulburn, si spiega che la Chiesa considera la prostituzione come una violazione della dignità umana. Le prostitute feriscono la propria dignità perché si riducono a strumento di piacere sessuale, mentre chi paga per quei servizi si rende colpevole di una grave offesa.

Tra le altre cose, la memoria presenta una serie di elementi concernenti i danni derivanti dalla prostituzione.

— Le prostitute sono facili vittime di crimini violenti e sono esposte al rischio di subire danni fisici da parte dei clienti e dei protettori.

— È un fatto noto che molte donne che esercitano la prostituzione lo fanno per far fronte ad una tossicodipendenza o per poter sostenere i costi di altre necessità impellenti.

— L’esercizio di pratiche sessuali sadomasochistiche violente sulle donne, attraverso l’uso di fruste, canne e torture è particolarmente degradante.

— La prostituzione comporta un significativo aumento dei rischi per la salute delle donne e in particolare di contrarre malattie sessualmente trasmissibili come l’aids, l’herpes e l’epatite C.

— La prostituzione è inevitabilmente assimilata alla schiavitù e al commercio sessuale delle donne.

— Quando la prostituzione è legalizzata o depenalizzata, si instaura una cultura della prostituzione, che ha effetti negativi sulla vita, non solo delle prostitute, ma di tutte le donne che vivono in quella cultura.

— La prostituzione danneggia i rapporti eterosessuali e le famiglie. La moglie o la fidanzata di un uomo che fruisce di servizi sessuali ne subisce le conseguenze. Se la fruizione della prostituzione è mantenuta segreta si verifica una fondamentale violazione della fiducia e dell’onestà del rapporto. Se essa invece è resa nota, può procurare la rottura del rapporto stesso.

— L’esistenza stessa dell’industria della prostituzione incrina l’ideale del rapporto paritario tra uomo e donna e pertanto influisce negativamente sulla famiglia e sulla vita della società in generale.

— La prostituzione non può essere separata dalla questione dello status e della dignità della donna. La legalizzazione della prostituzione significa che lo Stato e la società in generale sono disposti ad accettare una disumanizzazione e una mercificazione della donna.

Il modello svedese

Una delle raccomandazioni contenute nella memoria della Chiesa cattolica è quella di adottare il modello svedese. Nel 1998 la Svezia ha approvato una normativa che considera punibile l’acquisto, e non la vendita, dei servizi sessuali. Con questa legge, non sono le vittime della prostituzione – donne e bambini – a rischiare sanzioni, ma chi acquista tali servizi.

Anche altre memorie presentate durante l’indagine hanno raccomandato il modello svedese. La loro posizione è avvalorata anche da un rapporto ufficiale del 2 luglio 2010 che svolge una valutazione sull’applicazione della normativa, dalla sua entrata in vigore nel 1999, fino al 2008.

Secondo il rapporto gli effetti voluti dall’introduzione di tale modello erano stati raggiunti e la penalizzazione dell’acquisto di servizi sessuali ha rappresentato un importante strumento nella lotta contro la prostituzione e contro il commercio sessuale.

Il rapporto afferma che la prostituzione su strada, in Svezia, si è dimezzata a partire dal divieto introdotto nel 1999. Prima di tale data, l’incidenza della prostituzione su strada, nelle tre capitali di Norvegia, Danimarca e Svezia, era simile.

Dal 1999 la prostituzione su strada è aumentata notevolmente sia in Norvegia che in Danimarca. Mentre in Svezia, nel 2008, il numero delle persone coinvolte nella prostituzione su strada, era stimato essere di tre volte inferiore rispetto a quello della Norvegia e della Danimarca, spiega il rapporto.

“Alla luce delle grandi similitudini che per molti versi sussistono tra questi tre Paesi, in termini economici e sociali, è ragionevole desumere che la riduzione della prostituzione su strada in Svezia è una diretta conseguenza della penalizzazione”, conclude.

Inoltre, non si può dire che, in seguito alla penalizzazione, la prostituzione si sia semplicemente spostata in altri luoghi. Dal rapporto emerge che la prostituzione basata su contatti stabiliti via Internet è maggiore nei Paesi vicini alla Svezia. Quindi non si può dire che in Svezia il divieto della prostituzione su strada abbia spostato questa pratica su Internet.

Inoltre, secondo il rapporto non vi sono indizi per poter dire che la prostituzione nei centri di massaggio, nei sex club, nei nightclub e ristoranti sia aumentata negli ultimi anni. Nell’insieme, non vi è evidenza per dire che le prostitute che prima erano sfruttate sulle strade siano ora impegnate in luoghi chiusi.

Il rapporto afferma inoltre che, secondo la Polizia criminale, il divieto all’acquisto di servizi sessuali costituisce un disincentivo per i trafficanti e mezzani a svolgere la loro attività in Svezia.

L’indagine sull’esperienza in Svezia ha anche avvalorato ciò che è stato affermato sia in merito a questo caso specifico che su altre questioni legate alla legalizzazione di attività controverse. È emerso, infatti, che l’introduzione del divieto di acquisto di servizi sessuali ha prodotto un effetto generale, con un conseguente netto cambiamento nell’opinione pubblica. Esso dunque costituisce un efficace deterrente per i clienti dei servizi sessuali.

Oppressione

Un’altra memoria consegnata all’indagine di Canberra è quella di Collective Shout, che si definisce come un “movimento di base contro la mercificazione delle donne e la sessualizzazione delle ragazze nei media, nella pubblicità e nella cultura popolare”.

Collective Shout osserva che, in nome della riduzione del danno, alcuni settori dell’industria del sesso sono stati legalizzati negli anni Novanta, sia in Australia, sia in altri Paesi come l’Olanda e la Germania.

Tuttavia, l’effetto desiderato non è stato ottenuto. Secondo la memoria risulta evidente, nella ricerca accademica e in quella governativa, che l’approccio di riduzione del danno è di per sé inefficace nel caso della reg
olamentazione dell’industria del sesso.

Un esempio eclatante in questo senso è quello che riguarda il coinvolgimento dei minori nell’industria della prostituzione. In Australia, lo Stato di Victoria è stato il primo a legalizzare la prostituzione.

Da uno studio svolto su dati provenienti da 471 agenzie per i minori, governative e non governative, risulta che più di 3.100 bambini australiani tra i 12 e i 18 anni si erano venduti sessualmente per sopravvivere e che solo a Victoria ve ne erano stati 1.200, il numero più alto in tutta la nazione.

Un altro punto sollevato è che molte prostitute risultano aver avuto esperienze di abusi sessuali in età infantile, abusi fisici, violenze domestiche e tossicodipendenza.

“Il modello della riduzione del danno – o della legalizzazione dei servizi di prostituzione – essenzialmente consente lo sfruttamento delle persone più vulnerabili della società”, ha affermato Collective Shout. “È ora di riconoscere che ‘la professione più antica del mondo’ è in realtà la più antica ‘oppressione’”.

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ZENIT Staff

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