L'adultera perdonata

Lectio divina per la Quinta Domenica di Quaresima (Ciclo C)

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Riprendiamo la lectio divina del Rettore della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, sulle letture per la Quinta Domenica di Quaresima (Ciclo C).

***

Letture:

Isaia 43,16-21

Salmo 125

Filippesi 3,8-14

Giovanni 8,1-11

Il filo rosso che lega fra loro le tre letture della prossima domenica è abbastanza chiaro.

1. “Il Signore fa una cosa nuova”, dice Isaia. Si noti: una cosa veramentenuova. Non come le novità dei giornali (che poi, il più delle volte, non sono affatto delle novità…). Non si tratta di notizie o di informazioni più o meno nuove. Il Signore fa, crea, realizza qualche cosa di assolutamente nuovo.

Siamo invitati, fin dalla prima lettura, ad avvicinarci alle sorprendenti e misteriose novità di Dio. Valga qui un solo riferimento, per tutti: “Io vi do un comandamento nuovo…”, dice Gesù ai suoi, quasi come un solenne testamento, durante l’ultima cena (Giovanni 13,34). E’ il comandamento dell’amore: e Gesù è ben consapevole di incarnare, e di realizzare per noi, questa grande novità di Dio.

2. Più in particolare, la novità di Gesù è specificata nella terza lettura: si tratta di una scala di valori nuova, rispetto alla legge antica, e di una nuova prassi nei confronti di essa.

Lo vedremo poi, più distesamente. Il maestro non condanna la donna adultera, come prevedeva invece la legge di Mosè. La perdona, e così la introduce nella vita nuova, che è la vita stessa di Gesù.

3. E’ un nuovo progetto di vita, quello di Gesù.

Paolo confessa ai Filippesi di esserne stato catturato (afferrato, ghermito). Alla luce di questo, Paolo stesso fa interamente nuova la sua scala di valori. E – per esprimersi in modo efficace – dice che in confronto a Cristo, che è per lui l’unico valore assoluto, tutto (il resto) gli sembra sterco (skúbala). Questo non per disprezzare i valori intramondani, ma per dire che essi, da soli, non salvano la vita.

 Solo Gesù Cristo è il Salvatore.

Svolta questa premessa, concentriamo la nostra attenzione sul brano evangelico, e su di esso svolgeremo una vera e propria lectio divina, seguendo i due movimenti caratteristici di questo esercizio antico e venerando: prima il viaggio di andata al testo, con la lectio e la meditatio; e poi il viaggio di ritorno, nella preghiera e nella conversione della nostra vita.

Lettura (Giovanni 8,1-11)

Leggiamo con il cuore in ascolto, facendo nostra la richiesta di Salomone all’inizio del suo regno (cfr. 1Re 3,9): “Dammi o Signore”, chiese allora il giovane re, “dammi un cuore ascoltante” (leb shomea‘. Si noti qui la medesima radice di shema‘, “ascolta!”: “Ascolta, Israele”, ascolta, popolo mio!).

Meditazione

Mentre è molto chiaro il contesto liturgico (il filo rosso ci ha permesso di individuarlo con chiarezza: così l’episodio dell’adultera perdonata diventa un sèguito molto coerente rispetto alla parabola del figlio prodigo, che abbiamo letto domenica scorsa); ebbene, non altrettanto si può dire riguardo al contesto storico-letterario del nostro brano.

Di fatto, questo episodio – che non è stato trasmesso dai papiri e dai codici greci, cioè dai testimoni più importanti della tradizione manoscritta del quarto Vangelo – si presenta un po’ come un masso erratico nel corpus giovanneo e, più che al quarto, si avvicina meglio al terzo Vangelo e ai suoi temi caratteristici (in ispecie il tema della misericordia, così caro a Luca, lo scriba mansuetudinis Christi: cioè il tema del figlio prodigo e del padre misericordioso, appunto).

Comunque sia, noi procederemo nella nostra meditatio utilizzando uno degli espedienti più comuni per meditare un racconto biblico.

Accogliendo il suggerimento del padre Cantalamessa nelle sue celebri omelie, scomporremo l’episodio in tre scene fondamentali (è di fatto la compositio loci di ignaziana memoria: si tratta di mettere davanti ai nostri occhi, viva, la medesima scena di duemila anni fa, nelle sue singole parti): anzitutto Gesù e la folla; poi Gesù e la peccatrice da soli; di nuovo Gesù e la folla (ma in quest’ultimo caso, avverte Cantalamessa, la folla non è formata dai contemporanei di Gesù, ma da tutti noi, “veterani come siamo nel mestiere di accusare i nostri fratelli!”). Questa terza scena, che resta solo implicita nel racconto evangelico, ci introdurrà efficacemente al viaggio di ritorno, cioè alla preghiera e alla conversione della vita.        

1. Gesù sta insegnando nel tempio.

E’ seduto, come si addice al maestro. Quand’ecco, un gruppo di scribi e di farisei conducono davanti a lui una donna, che era stata sorpresa in flagrante adulterio. La fanno stare in piedi davanti a Gesù, in mezzo a tutti, e pongono la domanda che ben conosciamo.

E’ una domanda capziosa, come per esempio nell’episodio del tributo. E’ una domanda pensata apposta per mettere in difficoltà Gesù. In buona sostanza, i farisei sfidano Gesù con la loro eterna questione: è – o non è – la legge mosaica al vertice della scala dei valori, per il pio Israelita? Perché, se è così, essa va applicata scrupolosamente, senza eccezioni, e la donna adultera va lapidata!

Ma Gesù si sottrae alla disputa. Rimane in silenzio; curva giù la testa, e si mette a scrivere per terra con un dito. Dopo un po’, alza lo sguardo e dice soltanto: “Chi di voi è senza peccato” (forse intendeva dire questo peccato, di adulterio), “scagli pure una pietra, lui per primo”. Poi si rimette giù a scrivere, in silenzio.

E quelli, adagio adagio, se ne vanno alla chetichella, a cominciare dai più anziani.

2. Così Gesù si ritrova da solo con la donna, che sta ancora in piedi davanti a lui. Allora il maestro rialza la testa, e le chiede: “Donna, dove sono (gli altri)? Nessuno ti ha condannata?”. “Nessuno, Signore”, risponde la donna. E Gesù: “Neppure io ti condanno. Va’, e d’ora in poi non peccare più!”.

3. Adesso, finito l’episodio, ritorna la folla attorno a Gesù che insegna. Quella folla siamo noi – i discepoli, lungo i secoli e i millenni della Chiesa –; noi, che ci chiediamo, un po’ sconcertati: che cosa vuol dire tutto questo per me? Che cosa posso rispondere al Signore? In che senso questo episodio cambia la mia vita?

Per la preghiera e per la conversione della vita

Il messaggio della pagina evangelica è, in buona sostanza, quello che abbiamo già anticipato fin dall’inizio: Gesù rifà nuova la scala dei valori. Il contesto liturgico rafforza questa linea interpretativa.

E’ evidente che Gesù non incoraggia il peccato. Però intende dire che al primo posto non sta la legge, né il puntiglioso esaudimento di essa. La legge giudica e condanna l’uomo, e – quando viene eretta a unico, assoluto valore – rende gli uomini giudici impietosi, incapaci di perdono e di amore. “Io invece”, dice Gesù, “non giudico e non condanno nessuno” (Giovanni 8,15: è il versetto che, molto probabilmente, ha guidato l’inserzione del nostro brano in questo punto del quarto Vangelo), nel senso che egli non giudica e non condanna secondo la carne (ovvero, secondo la legge medesima). Così, invece, facevano i farisei, che attraverso un esaudimento pignolo dei comandi pretendevano di auto-giustificarsi, di salvarsi da sé.

Il metro di giudizio di Gesù è un altro. E’ il progetto stesso della sua vita. Ciò che giudica davvero, per la morte o per la vita, è l’amore senza condizioni – senza se e senza ma –. 

Ben oltre ogni altra considerazione, quello che ci giudica per sempre è l’accettazione (o il rifiuto) del progetto di una vita veramente nuova, cristiana, cioè spesa, regalata, buttata via per gli altri, fino allo scandalo della croce.

Questo progetto di vita, nel quale Gesù si identifica, è ciò che – alla fine –giudica veramente il mondo (vedi per esempio Matteo 25).

Il progetto è sempre lo stesso, quello da cui Paolo è stato ghermito: il progetto della vita donata, che vince la morte, lascia vuota la tomba, e vive per sempre. Così il Risorto ha incontrato Paolo sulla via di Damasco.

Ciò che salva la nostra vita è l’incontro di grazia con il Signore Gesù, e l’accoglienza generosa del suo progetto di vita.

Ecco: la nuova scala dei valori parte proprio da qui. Ciò che salva è l’incontro con Gesù Cristo.

Proprio questo è ciò che conta di più. Anche nella celebrazione del Sacramento della riconciliazione.

Si tratta di fare una “rivoluzione copernicana”, anche nella nostra confessione. Troppe volte noi ve­diamo prima il peccato, e poi la grazia. E invece prima di tutto c’è il gratuito di Dio, c’è il suo amore misericordioso, senza confini.

Proprio questo incontro di grazia – il medesimo incontro del Signore con l’adultera – mette salutarmente in crisi la nostra vita, e ci avvia sulla strada della liberazione.

Chiediamoci dunque, con coraggio: nella mia vita perseguo la logica farisaica dell’autosufficienza e dell’impeccabilità, o l’annuncio evangelico della grazia e del perdono? Quando mi capita di cadere, so chiedere perdono al Signore, e ricominciare semplicemente da capo, con fiducia e con amore? Coltivo in me stesso la certezza di essere perdonato, cercando di vincere sentimenti di orgoglio ferito, sensi di colpa, frustrazioni e angosce? Che cosa è più importante nelle mie confessioni, la lista dei peccati o l’esperienza della grazia? So perdonare gratuitamente, come gratuitamente sono stato perdonato, senza rivangare continuamente torti veri o presunti? Chiedo al Signore il dono di sciogliere il mio cuore di pietra, per poter stabilire con le persone rapporti evangelicamente rinnovati, aperti alla fiducia e alla speranza?

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ZENIT Staff

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