“Siate lieti, siate felici di questa fede, di questa fortuna, di questo inno pasquale alla vita, alla vita che non muore ma risorge, alla vita, che anche nella sfera temporale è illuminata da speranza nuova, capace di farle osare le più ardue imprese e di risolvere i più cogenti problemi. Buona Pasqua perciò a voi tutti, membri di questa Chiesa di Catanzaro – Squillace, che dalla fede trae le sue ragioni di vivere e di spiritualmente godere. Cerchiamo essere “tracce” di Risurrezione e luce nella notte… e per tutti un’alba radiosa”.
Sua eccellenza Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo della Arcidiocesi metropolitana di Catanzaro-Squillace, in occasione del giovedì santo, dopo aver rivolto la Buona Pasqua a tutti i membri della sua Chiesa, ha anche inviato gli auguri pasquali, in una illuminata lettera, “a tutti ed a ognuno dei suoi presbiteri” che, in questo tempo di crocifissione e resurrezione di Cristo Gesù, diventano un simbolo di speranza e di unicità del corpo della Chiesa in tutto il mondo.
Una Chiesa che Papa Francesco in questi giorni sollecita nello spirito e nella sua azione pastorale quotidiana, fin dalla più lontana e sperduta parrocchia del pianeta. Dove c’è un sacerdote lì nasce e si sviluppa, nel Signore, una comunità santa e variegata nei suoi membri e luce per l’uomo, qualsiasi sia la sua condizione sociale e culturale. Leggiamo degli stralci significativi del sapiente messaggio dell’Arcivescovo Metropolitano.
Mons. Bertolone considera i suoi sacerdoti, fratelli (Gc 5,19) e figlioli (1Gv 2,1), perché tutti assieme si appartiene a Cristo. “È in lui, perciò, che vi considero miei, come parte integrante del mio servizio episcopale al quale voi partecipate come ministri ordinati…… nelle parrocchie, nei ministeri e negli uffici, dove senza risparmiarvi obbedite alla sua chiamata. Mi rivolgo a voi «mia gioia e mia corona» (Fil 4,1), con il primo saluto del Risorto che, nella liturgia e nella fede, ci sarà dato incontrare al culmine del triduo pasquale: Pace a voi tutti che siete in Cristo! (1Pt 5,14). «Pace a voi!», ci ricordano gli evangelisti (cf Lc 24,36; Gv 20,19.21.26), facendo eco all’Apostolo rinnovando il saluto rivolto da Gesù a coloro che incontrò e che erano turbati e pieni di dubbi, come dice Luca: insieme con Maria, la Madre, e con le altre donne della cerchia «la sera di quel giorno, il primo della settimana» (Gv 20,19).
Forte un suo passaggio sulla necessità di portare tra la gente la Parola del Signore: “…..Ecco il senso dell’antica e nuova evangelizzazione: da parte dell’Agnello della Pasqua eterna: annunciare in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni circostanza la buona notizia della resurrezione dai morti del crocifisso (Gv 20,26). Chi s’innesta in lui riceve l’antidoto alla morte, al peccato, alle malvagità, alle negatività, agli errori, alla disperazione, alla maldicenza, alle turpitudini, alla sopraffazione…Ripetervi con affetto, quel saluto di pace è dunque, per me, come un riaffidarvi, un riaffidarci nelle mani e nel costato del Cristo «nostra pace» (Ef 2,14); è un consegnarvi, e un consegnarci come collegio sacerdotale a lui, che nella sua persona divina unita alla natura umana, riavvicina in unità cielo e terra, annulla le divisioni, realizzando nella sua persona lo stile del Dio-tra-noi e proponendocelo come modello plausibile di vita: si potrà ora vincere il male con l’amore, la morte con la vita, la sofferenza con la rinascita, il lievito vecchio con la pasta nuova (cf 1Cor 5,7).
Poi il suo pensiero che parte dal Giovedì santo: “In questo Giovedì Santo siamo tutti intenti a celebrare con i “nostri” fedeli, in unione col Papa ed il collegio episcopale. Un pensiero deferente a Sua Santità Francesco, cui la Chiesa di Catanzaro Squillace esprime gratitudine per avere accettato il grave compito di guidare la Chiesa ed assicura ubbidienza e preghiere. facciamo il memoriale, a vantaggio loro e di “tutti”, della santa cena, il rito memoriale dell’istituzione dell’eucaristia, del sacerdozio e del servizio fraterno dell’agápe”.
“Istituendo l’eucaristia come ringraziamento, sacrificio e convivio, il Signore stabilisce anche il significato del nostro peculiare tipo di sacerdozio rispetto a quello comune di ogni altro battezzato: siamo presbiteri per costruire ponti di ringraziamento e di lode tra terra e cielo; per sacrificarci radicalmente, ovvero per offrire la nostra esistenza immolata, in vista della redenzione dal male di tutti; per fare delle nostre collettività, spesso lacerate da divisioni e separazioni, una tavola imbandita aperta a chi vuole, una tavola su cui il “boccone del povero” viene preparato, particolarmente in questi tristi tempi sul piano socioeconomico, per l’ospite improvviso, per il deviante che chiede ascolto, per il carcerato che attende stimoli di conversione e perdono, per il senza patria che domanda di essere accettato nella sua dignità di uomo”.
Ancora qualche breve passaggio significativo di sua eccellenza Bertolone: “Siamo presbiteri del Cristo-Risorto, ovvero siamo dei segni sensibili, efficaci dell’amore totale manifestato dal nostro Dio il quale, nel Figlio incarnato ci svela il profondo significato dei gesti rituali sul pane e sul vino eucaristici. Noi ripetiamo queste parole e questi gesti in ogni memoriale della santa cena che celebriamo quotidianamente”.
“…Difatti, così come Gesù prima di morire sulla croce per noi, messosi un panno attorno ai fianchi asciuga i piedi ai suoi discepoli dopo averglieli lavati, allo stesso modo nel sacramento eucaristico, da lui convocato e presieduto attraverso il nostro ministero presbiterale, egli continua ad amare «fino alla fine» (Gv 13,1), cioè fino all’offerta totale del proprio corpo e sangue, rispondendo alla fame naturale (di pane, di verità, di affetto, di lavoro, di solidarietà…) ed a quella soprannaturale (di adorazione, contemplazione del divino, perfezione di vita, esercizio delle virtù umane e cristiane…) di ogni essere umano”.
“Ogni volta che presiediamo l’eucaristia e compiamo questi gesti rituali, carissimi, noi consentiamo al crocifisso-risorto di amare ancora, fino alla fine, ciascuno di coloro che partecipano alle nostre assemblee liturgiche”.
Illuminante la citazione: “Insegna san Tommaso d’Aquino, in un contesto in cui sta giustificando le preghiere eucaristiche di suffragio, che «è alla carità che il sacramento dell’Eucaristia si riferisce precipuamente, dal momento che contiene Colui che è il sacramento dell’unione di tutta la Chiesa, cioè quello in cui tutta la Chiesa diviene una e si consolida, vale a dire il Cristo. Ne consegue che l’Eucaristia è quasi come la sorgente delle carità, o anche il vincolo della carità» (Sup. Sent. l. 4, d. 45, q. 2, a. 3, qc. 1, corpus).
Mons. Bertolone in poche parole traccia poi una figura stupenda del sacerdote: “Un prete contemporaneo, comunque, dovrebbe avere ben chiaro che egli esiste solamente per servire ed annunciare a tutti Gesù Cristo, con la voce e con la vita; soprattutto di essere, in ogni aspetto della propria personalità ed in ogni azione il segno vivo dell’amore di Dio, trasfigurato dall’Ordine ricevuto e, specialmente, dal proprio personale itinerario di santificazione, di studio, di formazione permanente, di aggiornamento. Ma purtroppo, in diversi casi e per svariati motivi, pastorali e socioculturali, non si riesce sempre a far diventare davvero vita vissuta l’esigenza di “novità” sacerdotale. Il “nuovo” prete deve vivere in sintonia-distonia con la nuova visione del mondo: per questo deve essere ricco di una solida formazione spirituale e pastorale (pìetas et religio erano stati i precisi termini prescelti), da garantire negli istituti e nei seminari, in vista della futura cura animarum”. Il Vaticano II, muovendosi fra tradizione ed innovazione, a questo “nuovo” prete guarda perché sia in sintonia con il mondo contemporaneo, optando per «una via sicura di continuità e di sv
iluppo della spiritualità tradizionale, pur aprendo nuove possibilità di adattamento sul piano pastorale e giuridico…”
Prima di concludere la lettera ai suoi sacerdoti, l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace scrive: “…..desidero fare memoria di un nostro confratello che rese la bella anima a Dio vent’anni or sono: don Giuseppe Puglisi. Ritengo, infatti, che il clero abbia bisogno di sentirsi ripetere ciò che un grande vescovo siciliano, monsignor Francesco Pennisi, scriveva negli anni a ridosso del Vaticano II: «Una volta i seminaristi sognavano paludamenti e prelature, poi sognarono cattedre e pulpiti; ora sognano parrocchie e associazioni di Azione Cattolica. Quando sogneranno poveri, missioni, carcere e morte sarà la Pentecoste della Chiesa».
L’augurio si chiude con queste sue parole d’amore cristiano: “E noi oggi possiamo e dobbiamo ringraziare il Signore per il dono del sacerdozio ordinato. Incarniamolo nelle meditazioni eucaristiche di questo Vespro, davanti all’altare della reposizione eucaristica! Rinnoviamo con convinzione le nostre promesse sacerdotali! Invochiamo la Grazia speciale per il nostro ministero, ma soprattutto, abbiamo caro il nostro sacerdozio, perché cosi sapremo meglio amare, alla maniera di Dio Uno e Trino, tutti gli esseri umani che incontreremo. Vi X benedico tutti, chiedendovi di pregare anche per me il Signore della pace: «Il Signore vi dia la pace sempre e sia sempre con tutti voi»! (2Ts 3,16).
Per il testo integrale della lettera, cliccare su: http://www.diocesicatanzarosquillace.it/
* Egidio Chiarella, pubblicista-giornalista, collabora con il Ministero dell’Istruzione, a Roma. E’ stato docente di ruolo di Lettere presso vari istituti secondari di I e II grado a Lamezia Terme (Calabria). Dal 1999 al 2010 è stato anche Consigliere della Regione Calabria. Ha conseguito la laurea in Materie Letterarie con una tesi sulla Storia delle Tradizioni popolari presso l’Università degli Studi di Messina (Sicilia). E’ autore del romanzo La nuova primavera dei giovani.
Chi volesse contattarlo può scrivere al seguente indirizzo email: egidio.chiarella@libero.it