Cristo e l’uomo, le due chiavi interpretative del Pontificato di Giovanni Paolo II

Parla il Superiore generale della Fraternità sacerdotale dei Missionari di san Carlo Borromeo

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ROMA, martedì, 12 aprile 2005 (ZENIT.org).- La giovanissima Fraternità sacerdotale dei Missionari di san Carlo Borromeo è una di quelle che sono state molte care a Giovanni Paolo II.

Composta da centoventi persone per lo più tra i venti e i quarant’anni – dei quali due terzi sono preti, mentre gli altri si stanno preparando ad esserlo – e presente in case sparse in 16 Paesi di quattro Continenti, questa Fraternità propone di contribuire alla missione della Chiesa secondo il carisma del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione (Cl).

In chiusura della quinta Assemblea della Fraternità sacerdotale dei Missionari di san Carlo Borromeo, avvenuta in concomitanza con la morte del Pontefice, ZENIT ha voluto intervistare Don Massimo Camisasca, riconfermato per l’occasione Superiore generale della stessa.

Che cosa ha significato per la sua vocazione, la fondazione della Fraternità sacerdotale dei Missionari di san Carlo Borromeo, e la sua vita personale, il Pontificato di Giovanni Paolo II?

Don Camisasca: La vita di Giovanni Paolo II si è intrecciata in un modo assolutamente particolare con quella di un’infinità di uomini. Non solo con quella dei suoi più vicini collaboratori, evidentemente segnata dalla sua presenza, ma anche con quella di tantissimi che, in un modo o nell’altro, sono stati da lui toccati e si sono sentiti personalmente interpellati.

Io sono arrivato a Roma nell’agosto 1978, proprio agli inizi del Pontificato di Giovanni Paolo I. Sono stato abbagliato da quel mese, così luminoso per la sua assoluta semplicità e ho poi assistito all’elezione di Giovanni Paolo II.

Da quel momento, per tredici anni, la mia vita è stata profondamente segnata dalla sua, perché per incarico di don Giussani mi sono occupato delle relazioni fra Comunione e Liberazione e la Santa Sede.

Ho avuto modo perciò di presenziare agli stupefacenti incontri che la comunità di Cl di Roma e poi tutto quanto il movimento hanno avuto nei primi anni di pontificato con Giovanni Paolo II, ma anche di occuparmi dell’organizzazione di quegli incontri. Ho documentato tutto questo in un capitolo del terzo volume della storia di Cl che uscirà nei prossimi mesi presso le Edizioni San Paolo, dedicato agli anni 1976-1984.

Nel 1985, il 13 settembre, un gruppo di circa quattrocento sacerdoti partecipò, nel cortile di Castelgandolfo, a un’udienza che il Papa aveva voluto concedere loro. Si trattava di sacerdoti aderenti al movimento di Cl o simpatizzanti per esso, che provenivano dagli esercizi spirituali predicati a Collevalenza, un appuntamento annuale che si teneva allora a metà settembre.

Il Papa parlò a quei sacerdoti del rapporto fra carisma e istituzione. Io ero presente, avevo organizzato e preparato quell’incontro. La mattina dopo, al Vicariato di Roma, il Cardinal Poletti firmò l’atto che istituiva l’Associazione sacerdotale dei Missionari di san Carlo Borromeo. Io fui eletto primo Superiore e da allora per vent’anni ho guidato ininterrottamente questa Fraternità. Nei giorni scorsi, proprio durante i momenti estremi della malattia di Giovanni Paolo II, sono stato eletto per la quinta volta Superiore generale. Il 13 maggio 1984, il Papa aveva ricevuto in udienza nell’aula Paolo VI migliaia e migliaia di aderenti al movimento di Comunione e Liberazione, in occasione del trentesimo anniversario della nascita del movimento. In un memorabile discorso invitò tutti ad andare nel mondo a portare la verità e la bellezza incontrata in Cristo.

Quell’invito si può considerare una delle principali ispirazioni della nostra Fraternità e anche la Magna Carta della nostra missione. In questi anni successivi alla nascita della Fraternità sono stato molto sostenuto dall’esempio sacerdotale di Giovanni Paolo II. Egli è stato veramente un grande ponte fra il cielo e la terra, fra gli uomini e fra i popoli.

Ha ricevuto questo suo carisma direttamente dal Signore, che lui ha cercato di testimoniare, per grazia, così come gli è stato possibile, secondo la grande ricchezza dei doni ricevuti. L’esperienza della sua donazione infaticabile, della preghiera da cui attingeva tutta la forza e il segreto di tale corsa verso l’uomo, la celebrazione dei sacramenti, come origine e culmine della vita cristiana, in particolar modo il battesimo, la penitenza e l’eucarestia: sono stati questi gli aspetti della vita sacerdotale del Papa che resteranno come insegnamento ed esempio per tutti noi.

Che cosa ha significato per la Chiesa universale un Papa come Giovanni Paolo II e quali le secondo lei le sfide che dovrà affrontare il prossimo Pontefice?

Don Camisasca: È quasi impossibile rispondere in poche parole alla prima parte di questa domanda. Certamente Giovanni Paolo II ha riportato il Cristianesimo, e perciò Cristo, al centro dell’attenzione del mondo. Lo ha riproposto all’inizio del suo pontificato con quelle due parole, Redemptor hominis, in cui stanno il segreto e la chiave interpretativa di tutti i ventisette anni successivi.

In quelle due parole, infatti, sono raccolti i due fuochi di tutta l’opera di Giovanni Paolo II: Cristo e l’uomo. Cristo, nel quale soltanto trova risposta il mistero della vita umana. L’uomo, che attende dalla Chiesa la rivelazione della sua dignità e la esaltazione e la difesa di essa. Sono in fondo queste anche le sfide del tempo futuro. Ma certamente è impossibile ora prevedere che cosa accadrà, come fu impossibile ventisette anni.

Lei è stato appena rieletto Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di san Carlo Borromeo: ci illustra quali sono i carismi e gli apostolati della Fraternità?

Don Camisasca: Il carisma da cui è nata la nostra Fraternità è lo stesso carisma da cui è nata Comunione e Liberazione. È il dono di cui è stato portatore don Giussani, dono che ha permesso a tanti uomini e donne di scoprire Cristo presente come fatto che rende pieno ogni istante, che rende affascinante vivere.

Cristo appare agli uomini che per grazia lo incontrano come l’uomo più affascinante, più interessante della storia, proprio perché rivelazione del Padre, il Figlio di Dio. Il suo fascino è tale che, seguendolo, si possono attraversare, non senza fatica e dolore, le avversità e i drammi dell’esistenza.

Oggi gli uomini hanno bisogno, più che di essere rassicurati, di essere accompagnati. I nostri sacerdoti, nei 16 Paesi del mondo in cui sono presenti, si impegnano in tutti i campi dell’apostolato: ci sono affidate delle parrocchie, alcuni insegnano, altri sono cappellani di ospedali, di carceri o hanno responsabilità diverse.

A noi interessa essere là dove l’uomo vive, soffre, lavora, per poterlo aiutare innanzitutto a risentire le domande più profonde del suo cuore. Ci interessa farci compagni dell’uomo affinché possa trovare la risposta che solo la Persona di Cristo vivo e risorto rappresenta.

La cultura dominante, in particolare in Europa, sembra orientata verso modelli di vita anticristiani. Quale sarà il futuro dei cattolici: quello di un piccolo gregge o quello preannunciato dalla “nuova primavera dello spirito umano” indicata da Giovanni Paolo II?

Don Camisasca: Anche in questo caso penso che nessuna previsione sia possibile. Tutto fa pensare che i tempi di rinascita della nostra Europa e più in generale della Chiesa in Occidente siano ancora tempi lunghi. Il corpo della nostra società è un corpo vecchio che ha bisogno di tempo per risorgere.

Sembra invece più possibile una diffusione del Cristianesimo, anche numericamente importante, in America Latina e in Africa. Ma tutto questo in fondo non ha veramente un significato decisivo. Ciò che conta per il Papa che verrà, come per l’ultimo dei cristiani, sarà obbedire ancora una volta a Gesù, che dice: «Mi ami t
u più di costoro?» (Gv 21,15).

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ZENIT Staff

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