di Renzo Puccetti*
ROMA, domenica, 3 maggio 2009 (ZENIT.org).- Un anno fa scrivevo per ZENIT un intervento dal titolo eloquente “Pillola del giorno dopo: nessuna efficacia nel ridurre gli aborti” (1) e ancora, proprio un anno fa descrivevo la strategia di aggressività perseguita per intimidire i medici e ridurne la funzione a quella di un Juke-box (2).
Dopo un anno ci troviamo nuovamente a dovere discutere l’ennesimo sfacciato attacco alla dignità della professione medica. Alcuni giorni fa, attraverso un comunicato ufficiale, il dr. Roberto Malucelli, che, leggo dal curriculum on line, non essere medico, ma un laureato in scienze politiche ad indirizzo economico (3), in qualità di direttore dell’azienda sanitaria unica regionale delle Marche, ha invitato ai direttori delle zone territoriali e ai dirigenti medici di presidio della regione una nota nella quale si sostiene l’obbligatorietà della prescrizione della pillola del giorno dopo quando richiesta dalla donna (prot. 8317, 8 aprile 2009).
Si sostiene l’impossibilità per il medico di appellarsi sia all’articolo 9 della legge 194, quello sull’obiezione di coscienza, che alla clausola di coscienza prevista dal codice deontologico. Le argomentazioni a sostegno di tale posizione sono trite e ritrite e francamente, si farebbe volentieri a meno di tornarvi sopra. Secondo il dirigente amministrativo l’obiezione di coscienza non sarebbe invocabile ai sensi della legge 194 perché “la prescrizione e la regolamentazione del farmaco è sottratta alla regolamentazione dettata dalla legge richiamata che assume a riferimento una condizione fisiologica della donna di stabile aspettativa di maternità”. L’analisi del panorama legislativo presentata dal funzionario è stranamente orba e dimentica l’articolo 16 della legge 40 che, riprendendo parola per parola l’articolo 9 della legge 194 che regolamenta l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto, lo estende alle procedure di fecondazione artificiale. L’elemento a comune della legge sull’aborto e sulla fecondazione assistita è uno solo: il concepito; nel primo caso sopprimibile, nel secondo caso manipolabile.
È evidente che la ratio di questi articoli non può che essere la difesa del diritto riconosciuto ad ogni persona esercente un’attività sanitaria a non mettere in atto procedure ritenute lesive della dignità e della integrità del concepito. Dunque sarebbe oltremodo paradossale riconoscere al medico il diritto a porre obiezione di coscienza perché egli non intende nuocere al concepito quando questi si trova nell’utero della madre, o nella provetta e non riconoscere lo stesso diritto quando il concepito può essere presente nella tuba della donna.
Si comprende bene quindi che la questione non è nell’accertamento dello stato di gravidanza, ma nella presenza, certa o eventuale, di un essere umano vivente allo stato embrionale. Non casualmente, ma per la sussistenza di una evidente questione morale, di tale problema si è occupato il comitato nazionale per la bioetica (CNB), giungendo ad un parere unanimemente favorevole alla possibilità di sollevare obiezione di coscienza (4). A proposito del CNB se ne sminuisce la portata ricordando giustamente la mera funzione consultiva dell’organismo; nessuno invoca la decisione del comitato come fonte normativa, ma se un tale organo, istituzionalmente creato per esaminare i problemi bioetici, si è occupato della questione, non si può pretendere di sbrigare tutto ricorrendo a sofismi semantici e violentando le definizioni mediche per un fine ideologico.
Secondo il documento della regione Marche il medico non potrebbe neppure invocare la clausola di coscienza prevista dall’articolo 22 del codice deontologico. Si sostiene che nella semplice richiesta del farmaco in questione si configurerebbe la presenza di quei requisiti di urgenza e pericolo per la salute della donna che secondo lo stesso articolo del codice imporrebbe al medico il superamento del proprio convincimento etico. Che un funzionario, ripetiamo non medico, abbia prodotto un documento ufficiale per sostenere tale tesi, trasmettendolo come criterio per il comportamento dei responsabili delle strutture di cura, ritengo sia oltremodo grave. L’unico organismo deputato alla valutazione del comportamento deontologico di ogni medico iscritto al rispettivo ordine provinciale è il proprio ordine di appartenenza.
L’articolo 68 del codice deontologico prevede che qualora un medico, dipendente o convenzionato, ravvisi un “contrasto tra le norme deontologiche e quelle proprie dell’ente, pubblico o privato, per cui presta la propria attività professionale, deve chiedere l’intervento dell’Ordine, onde siano salvaguardati i diritti propri e dei cittadini”. Il medico non ha come possibilità, ma come dovere quello di invocare l’intervento del proprio ordine professionale. Lo stesso obbligo è posto a carico di qualsiasi medico, così come previsto nell’articolo 4 del codice.
Alcune dichiarazioni riportate sugli organi di stampa del presidente dell’ordine dei medici di Ancona sembrano solo un primo passo in quella che è sicuramente una necessaria azione a difesa del diritto dei pazienti ad essere assistiti da medici indipendenti nel proprio giudizio ed operato, non costretti a comportamenti clinici di cui non siano intimamente convinti per timore di sanzioni disciplinari. Sarebbe interessante verificare se comportamenti come quello dell’amministratore non possano delineare ipotesi di illecito.
Fin qui la forma della questione, ma la sostanza non mostra aspetti meno inquietanti. L’articolo 3 del codice deontologico indica al medico quale primo dovere la “tutela della vita” dell’uomo. Non vi sono ambiguità, non si parla di persona, ma di “uomo”. Sebbene nello stesso articolo si faccia riferimento al dovere di difesa della salute intesa nelle sue accezioni più ampie, è evidente che un farmaco che per ammissione stessa dell’azienda produttrice ha quale possibile meccanismo d’azione l’impedimento dell’annidamento dell’embrione, pone un conflitto tra tutela della vita umana e della salute della donna, quand’anche si voglia giungere ad accettare che la diagnosi di un tale pericolo sia in questa singolarissima ed irripetibile circostanza affidato all’insindacabile giudizio della sola donna.
Anche ammettendo che la sola richiesta del farmaco rappresenti condizione sufficiente per configurare un pericolo per la salute della richiedente, non si comprende come il codice deontologico potrebbe prevedere all’articolo 43 la clausola di coscienza per i casi di aborto (dove la presenza di un serio o grave pericolo per la salute della donna è unico criterio per l’accesso all’aborto), ma non per la prescrizione di un farmaco antinidatorio. L’articolo 13 del codice medico afferma chiaramente che “la prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna la diretta responsabilità professionale ed etica del medico” e più avanti: “In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo”.
In calce alla ricetta non vi è la firma della paziente, del compagno, del responsabile del distretto, del direttore dell’azienda, ma il medico appone la sua propria firma e con questo atto suggella la propria adesione scientifica ed etica alla prescrizione. Il medico non può né deve apporre al propria firma se manca anche uno solo dei due elementi. Secondo l’articolo 22 del codice il medico può rifiutare la propria opera per ragioni di coscienza o di convincimento clinico “a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”. Il codice non parla quindi di pericolo, ma di nocumento che deve avere quale caratteristica la gravità e l’immediatezza, tutte caratteristiche che sono tras
feribili alla richiesta di pillola del giorno dopo solamente ricorrendo ad una fantasia davvero invidiabile, ma ci sembra poco condivisa. Non il pericolo, ma neppure la stessa presenza di una gravidanza indesiderata è menzionata tra i codici internazionali di malattia (vd. ICD 10).
Come si potrebbe inoltre definire di “grave ed immediato pericolo” una condizione che nei pronto soccorso di tutta la nazione è inclusa nei codici bianchi, cioè nelle prestazioni a più bassa priorità d’intervento? Sono forse i medici italiani tutti impazziti da non sapere riconoscere un’emergenza? In materia di contraccezione il medico, secondo quanto previsto dall’articolo 42 del codice deontologico, è tenuto a fornire ogni “corretta informazione”, non la prescrizione. Non sorprende quindi, anche sulla base di queste considerazioni, che il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici (FNOMCeO) abbia riconosciuto in un documento diramato a tutti gli ordini provinciali la possibilità da parte dei medici, a fronte di una richiesta della pillola del giorno dopo, di sollevare clausola di coscienza seguendo le modalità previste nelle leggi 194 e 40.
Riteniamo che per il rispetto dovuto alle istituzioni i medici abbiano il dovere di segnalare ai responsabili organizzativi dei servizi il proprio intento a non aderire a simili richieste (6). È con un tale spirito che l’Associazione Scienza & Vita di Pisa e Livorno ha elaborato un modello di dichiarazione di obiezione di coscienza scaricabile dal sito stesso dell’associazione (7) ed inoltrabile ai direttori generali delle aziende sanitarie territoriali, o ai direttori sanitari del presidio ospedaliero in cui il medico esercita la professione e al presidente dell’ordine dei medici di appartenenza, per conoscenza.. I casi di Pisa, Roma, Ancona e gli altri che sono stati segnalati, gli inviti alla denuncia dei sanitari che si siano avvalsi della clausola di coscienza provenienti da alcune organizzazioni, ritengo rendano maturi i tempi per un intervento chiarificatore e di assunzione di responsabilità da parte dell’esecutivo.
Gli amici relativisti da cui così spesso riceviamo dotte lezioni di pluralismo etico non possono negare l’altrui diritto a conformarsi a schemi etici difformi se non negando il loro stesso paradigma. Credo che un intervento rispettoso della dignità personale potrebbe ispirarsi alla legge della non certo confessionale Nuova Zelanda che, all’articolo 46, recita: “Indipendentemente da qualsiasi cosa in ogni altro decreto, o norma di legge, o condizioni di qualsiasi codice o contratto (di impiego o altro), nessun medico, infermiere, o altra persona sarà sottoposto ad alcun obbligo:
(a) Di effettuare o assistere nella pratica di un aborto o qualsiasi intervento fatto o da farsi allo scopo di rendere il paziente sterile.
(b) inserire, o assistere nell’inserimento, o fornire, o somministrare, o assistere nella somministrazione di qualsiasi contraccettivo, o nell’offrire, o dare alcuna informazione relativa alla contraccezione.
(c) se egli obietta per motivi di coscienza”.
La stessa legge stabilisce il diritto al risarcimento dei danni patiti per la persona che subisca la violazione dell’esercizio all’obiezione di coscienza. Che diritto sarebbe infatti quel diritto che non fosse protetto dalla legge?
Uno stato che voglia farsi garante della salute non può fare a meno di potere contare su medici indipendenti. La questione della libertà di coscienza di fronte alla richiesta della pillola del giorno dopo non è quindi un affare di difesa di privilegi corporativi, ma è qualcosa che dovrebbe stare a cuore a tutti. È un punto sensibile attorno al quale si misura la capacità dei medici di tutelare quella dignità che hanno ricevuto da chi li ha preceduti.
Quando nel corso della storia i medici hanno abdicato alla verità e alla loro indipendenza facendosi strumento di un potere estraneo alla loro missione di tutela della vita umana, allora essi si sono trasformati in qualcos’altro, ponendo le premesse per il sopruso, il delitto e la loro stessa ignominia.
——-
*Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e Segretario dell’associazione “Scienza & Vita” di Pisa e Livorno
Riferimenti:
1. R. Puccetti. http://www.zenit.org/article-14404?l=italian
2. A. Gaspari. http://www.zenit.org/article-14035?l=italian
3. Marche in Salute. http://www.asur.marche.it/viewdoc.asp?CO_ID=7039
4. CNB. http://www.governo.it/bioetica/testi/contraccezione_emergenza.pdf
5. A. Bianco. http://www.omceo.ta.it/admin/gestione_bollettini/bollettini/Newsletter%20n%C2%B01.pdf
6. Di Pietro ML, Dallapiccola B, Buccelli C, Fiori A, Romano L, Vergani P, Puccetti R, Bellieni C. http://www.cgems.it/getImage.aspx?tmpID=1775&tipo=fileAllegato
7. Scienza & Vita Pisa e Livorno. (http://www.scienzaevita.info/public/site/downloads.asp?id=99).
Per approfondire:
Renzo Puccetti, “L’uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486” Società Editrice Fiorentina, 2008.