CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 11 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della seconda meditazione d’Avvento che il Predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap., ha tenuto questo venerdì alla presenza di Benedetto XVI e della Famiglia pontificia nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico.
Il tema delle meditazioni di quest’anno è: “Ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio” (1 Corinzi 4, 1),
La prima Predica è stata tenuta il 4 dicembre. La prossima sarà il 18 dicembre.
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1. Il servizio dello Spirito
La volta scorsa abbiamo commentato la definizione che Paolo dà dei sacerdoti come “servitori di Cristo”. Nella Seconda Lettera ai Corinzi troviamo un’affermazione apparentemente diversa: Scrive: “Egli ci ha anche resi idonei a essere ministri di un nuovo patto, non di lettera, ma di Spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica. Or se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, fu glorioso, al punto che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo sul volto di Mosè a motivo della gloria, che pur svaniva, del volto di lui, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?” (2 Cor 6-8).
Paolo definisce se stesso e i suoi collaboratori “ministri dello Spirito” e il ministero apostolico un “servizio dello Spirito”. Il confronto con Mosè e il culto dell’antica alleanza, non lascia dubbio infatti che in questo passo, come in molti altri della stessa Lettera, egli parli del ruolo delle guide nella comunità cristiana, cioè degli apostoli e dei loro collaboratori.
Chi conosce il rapporto che c’è per Paolo tra Cristo e lo Spirito sa che non c’è contraddizione tra l’essere servitori di Cristo e l’essere ministri dello Spirito, ma continuità perfetta. Lo Spirito di cui si parla qui è infatti lo Spirito di Cristo. Gesù stesso spiega il ruolo del Paraclito nei suoi confronti, quando dice agli apostoli: egli prenderà del mio e ve lo annunzierà, egli vi farà ricordare ciò che vi ho detto, egli mi darà testimonianza…
La definizione completa del ministero apostolico e sacerdotale è: servitori di Cristo nello Spirito Santo. Lo Spirito indica la qualità o la natura del nostro servizio che è un servizio “spirituale” nel senso forte del termine; non solo cioè nel senso che ha per oggetto lo spirito dell’uomo, la sua anima, ma anche nel senso che ha per soggetto, o per “agente principale”, come diceva Paolo VI, lo Spirito Santo. Sant’Ireneo dice che lo Spirito Santo è “la nostra stessa comunione con Cristo” [1].
Poco sopra, nella stessa Seconda Lettera ai Corinzi, l’Apostolo aveva illustrato l’azione dello Spirito Santo nei ministri della nuova alleanza con il simbolo dell’unzione: “Or colui che con voi ci fortifica in Cristo e che ci ha unti, è Dio; egli ci ha pure segnati con il proprio sigillo e ha messo la caparra dello Spirito nei nostri cuori” (2 Cor 1, 21 s.).
Sant’Atanasio commenta così questo testo: “Lo Spirito è chiamato ed è unzione e sigillo…L’unzione è il soffio del Figlio, di modo che colui che possiede lo Spirito possa dire: ‘Noi siamo il profumo di Cristo’. Il sigillo rappresenta il Cristo, cosicché colui che è segnato dal sigillo possa avere la forma di Cristo” [2]. In quanto unzione, lo Spirito Santo ci trasmette il profumo di Cristo; in quanto sigillo, la sua forma, o immagine. Nessuna dicotomia perciò tra servizio di Cristo e servizio dello Spirito, ma unità profonda.
Tutti i cristiani sono “unti”; il loro stesso nome non significa altro che questo: “unti”, a somiglianza di Cristo, che è l’Unto per eccellenza (cf. 1 Gv 2, 20.27). Paolo però sta parlando qui dell’ opera sua e di Timoteo (“noi”) nei confronti della comunità (“voi”); è evidente perciò che si riferisce in particolare all’unzione e al sigillo dello Spirito ricevuti al momento di essere consacrati al ministero apostolico, per Timoteo mediante l’imposizione delle mani dell’Apostolo (cf. 2 Tim 1,6).
Dobbiamo assolutamente riscoprire l’importanza dell’unzione dello Spirito perché in essa, sono convinto, è racchiuso il segreto dell’efficacia del ministero episcopale e presbiterale. I sacerdoti sono essenzialmente dei consacrati, cioè degli unti. “Nostro Signore Gesù -si legge nella Presbyterorum ordinis – che il Padre santificò e inviò nel mondo (Gv 10,36), ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito che egli ha ricevuto”. Lo stesso decreto conciliare si premura però di mettere subito in luce la specificità dell’unzione conferita dal sacramento dell’Ordine. Per esso, dice, “ i sacerdoti, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono marcati da una speciale carattere che li configura a Cristo Sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo Capo”[3].
2. L’unzione: figura, evento e sacramento
L’unzione, come l’Eucaristia e la Pasqua, è una di quelle realtà che sono presenti in tutte e tre le fasi della storia della salvezza. È presente infatti nell’Antico Testamento come figura, nel Nuovo Testamento come evento e nel tempo della Chiesa come sacramento. Nel nostro caso, la figura è data dalle varie unzioni praticate nell’Antico Testamento; l’evento è costituito dall’unzione di Cristo, il Messia, l’Unto, a cui tutte le figure tendevano come al loro compimento; il sacramento, è rappresentato da quell’insieme di segni sacramentali che prevedono un’unzione come rito principale o complementare.
Nell’Antico Testamento si parla di tre tipi di unzione: l’unzione regale, sacerdotale e profetica e cioè unzione dei re, dei sacerdoti e dei profeti, anche se nel caso dei profeti si tratta in genere di un’unzione spirituale e metaforica, senza cioè un olio materiale. In ognuna di queste tre unzioni, si delinea un orizzonte messianico, cioè l’attesa di un re, di un sacerdote e di un profeta che sarà l’Unto per antonomasia, il Messia.
Insieme con l’investitura ufficiale e giuridica, per cui il re diventa l’Unto del Signore, l’unzione conferisce anche, secondo la Bibbia, un reale potere interiore, comporta una trasformazione che viene da Dio e questo potere, questa realtà vengono sempre più chiaramente identificati con lo Spirito Santo. Nell’ungere Saul come re Samuele dice: “Ecco: il Signore ti ha unto capo sopra Israele suo popolo. Tu avrai potere sul popolo…Lo Spirito del Signore investirà anche te e ti metterai a fare il profeta e sarai trasformato in un altro uomo” (1 Sam 10, 1.6). Il legame tra l’unzione e lo Spirito è soprattutto messo in luce nel noto testo di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione” (Is. 61, 1).
Il Nuovo Testamento non ha esitazioni nel presentare Gesù come l’Unto di Dio, nel quale tutte le unzioni antiche hanno trovato il loro compimento. Il titolo di Messia, o Cristo, che significa, appunto, Unto, è la prova più chiara di ciò.
Il momento o l’evento storico a cui si fa risalire questo compimento è il battesimo di Gesù nel Giordano. L’effetto di questa unzione è lo Spirito Santo: “Dio ha unto di Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth” (At 10, 38); Gesù stesso, subito il suo battesimo, nella sinagoga di Nazareth dichiarerà: “Lo Spirito del Signore è su di me; mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4, 18). Gesù era certamente pieno di Spirito Santo fin dal momento dell’incarnazione, ma si trattava di una grazia personale, legata all’unione ipostatica, e perciò incomunicabile. Ora, nell’unzione, riceve quella pienezza di Spirito Santo che, come capo, potrà trasmettere al suo corpo. La Chiesa vive di questa grazia capitale (gratia capitis).
Gli effetti della triplice unzione – regale, profetica e sacerdotale – sono grandiosi e immediati nel ministero di Gesù. In forza dell’unzione regale, egli abbatte il regno di satana e instaura il regno di Dio: “Se è con l’aiuto dello Spirito di Dio che io scaccio i demòni, è dunque giunto fino a voi il regno di Dio” (Mt 12.28); in forza dell’unzione profetica, egli “annuncia la buona novella ai poveri”; in forza dell’unzione sacerdotale, offre preghiere e lacrime durante la sua vita terrena e alla fine offre se stresso sulla croce.
Dopo essere stata presente nell’Antico Testamento come figura e nel Nuovo Testamento come evento, l’unzione è presente ora nella Chiesa come sacramento. Il sacramento prende dalla figura il segno e dall’evento il significato; prende dalle unzioni dell’Antico Testamento l’elemento – l’olio, il crisma o unguento profumato- e da Cristo l’efficacia salvifica. Cristo non è stato mai unto con olio fisico (a parte l’unzione di Betania), né mai ha unto alcuno con olio fisico. In lui il simbolo è stato sostituito dalla realtà, dall’”olio di letizia” che lo Spirito Santo.
Più che un sacramento unico, l’unzione è presente nella Chiesa come un insieme di riti sacramentali. Come sacramenti a se stanti, abbiamo la cresima (che attraverso tutte le trasformazioni subite, risale, come attesta il nome, all’antico rito dell’unzione con il crisma) e l’unzione degli infermi; come parte di altri sacramenti abbiamo: l’unzione battesimale e l’unzione nel sacramento dell’ordine. Nell’unzione crismale che segue il battesimo, si fa riferimento esplicito alla triplice unzione di Cristo: “Egli stesso vi consacra con il crisma di salvezza; inseriti in Cristo sacerdote, re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna”.
Di tutte queste unzioni, a noi interessa in questo momento quella che accompagna il conferimento dell’Ordine sacro. Nel momento in cui unge con il sacro crisma le palme di ciascuno ordinato inginocchiato davanti a lui, il vescovo pronuncia queste parole: “Il Signore Gesù Cristo che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio”.
Ancora più esplicito il riferimento all’unzione di Cristo nella consacrazione episcopale. Ungendo di olio profumato il capo del nuovo vescovo il vescovo ordinante dice: “Dio, che ti ha fatto partecipe del sommo sacerdozio di Cristo, effonda su di te la sua mistica unzione e con l’abbondanza della sua benedizione dia fecondità al tuo ministero”.
3. L’unzione spirituale
C’è un rischio, che è comune a tutti i sacramenti: quello di fermarsi all’aspetto rituale e canonico dell’ordinazione, alla sua validità e liceità, e non dare abbastanza importanza alla “res sacramenti”, all’effetto spirituale, alla grazia propria del sacramento, in questo caso al frutto dell’unzione nella vita del sacerdote. L’unzione sacramentale ci abilita a compiere certe azioni sacre, come governare, predicare, istruire; ci dà, per così dire, l’autorizzazione a fare certe cose, non necessariamente l’autorità nel farle; assicura la successione apostolica, non necessariamente il successo apostolico!
L’unzione sacramentale, con il carattere indelebile (il “sigillo”!) che imprime nel sacerdote, è una risorsa dalla quale possiamo attingere ogni volta che ne sentiamo il bisogno, che possiamo, per così dire, attivare in ogni momento del nostro ministero. Si attua anche qui quella che in teologia si chiama la “reviviscenza” del sacramento. Il sacramento, ricevuto in passato, “reviviscit”, torna a rivivere e a sprigionare la sua grazia: nei casi estremi perché viene tolto l’ostacolo del peccato (l’obex), in altri casi perché viene rimossa la patina dell’abitudine e si intensifica la fede nel sacramento. Succede come con un flacone di profumo. Noi possiamo tenerlo in tasca o stringerlo nella mano finché vogliamo, ma se non lo apriamo il profumo non si effonde, è come se non ci fosse.
Come è nata questa idea di una unzione attuale? Una tappa importante è costituita, ancora una volta, da Agostino. Egli interpreta il testo della prima lettera di Giovanni: “Voi avete ricevuto l’unzione…” (1 Gv 2, 27), nel senso di un’unzione continua, grazie alla quale lo Spirito Santo, maestro interiore, ci permette di comprendere dentro ciò che ascoltiamo all’esterno. A lui risale l’espressione “unzione spirituale”, spiritalis unctio, accolta nell’inno Veni creator[4]. San Gregorio Magno, come in molte altre cose, contribuì a rendere popolare, per tutto il medio evo, questa intuizione agostiniana [5].
Una nuova fase nello sviluppo del tema dell’unzione si apre con san Bernardo e san Bonaventura. Con essi si afferma la nuova accezione, spirituale e moderna di unzione, non legata tanto al tema della conoscenza della verità, quanto a quello dell’esperienza della realtà divina. Iniziando a commentare il Cantico dei cantici, san Bernardo dice: “Un siffatto cantico, solo l’unzione lo insegna, solo l‘esperienza lo fa comprendere” [6]. San Bonaventura identifica l’unzione con la devozione, concepita da lui come “un sentimento soave d’amore verso Dio suscitato dal ricordo dei benefici di Cristo”[7]. Essa non dipende dalla natura, né dalla scienza, né dalle parole o dai libri, ma “dal dono di Dio che è lo Spirito Santo”[8].
Ai nostri giorni, si usano sempre più spesso i termini unto e unzione (anointed, anointing) per descrivere l’agire di una persona, la qualità di un discorso, di una predica, ma con una differenza di accento. Nel linguaggio tradizionale, l’unzione suggerisce, come si è visto, soprattutto l’idea di soavità e dolcezza, tanto da dar luogo, nell’uso profano, all’accezione negativa di “eloquio o atteggiamento mellifluo e insinuante, spesso ipocrita”, e all’aggettivo “untuoso”, nel senso di “persona o atteggiamento sgradevolmente cerimonioso e servile”.
Nell’uso moderno, più vicino a quello biblico, essa suggerisce piuttosto l’idea di potere e forza di persuasione. Una predica piena di unzione è una predica in cui si percepisce, per così dire, il fremito dello Spirito; un annuncio che scuote, che convince di peccato, che arriva al cuore della gente. Si tratta di una componente squisitamente biblica del termine, presente per esempio nel testo degli Atti, in cui si dice che Gesù “fu unto in Spirito e potenza” (At 10, 38).
L’unzione, in questa accezione, appare più un atto che uno stato. È qualcosa che la persona non possiede stabilmente, ma che sopraggiunge su di essa, la “investe” sul momento, nell’esercizio di un certo ministero o nella preghiera.
Se l’unzione è data dalla presenza dello Spirito ed è dono suo, che possiamo fare noi per averla? Anzitutto pregare. C’è una promessa esplicita di Gesù: “Il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Lc 11,13). Poi rompere anche noi il vaso di alabastro come la peccatrice in casa di Simone. Il vaso è il nostro io, talvolta il nostro arido intellettualismo. Romperlo, significa rinnegare se stessi, cedere a Dio, con un atto esplicito, le redini della nostra vita. Dio non può consegnare il suo Spirito a chi non si consegna interamente a lui.
4. Come ottenere l’unzione dello Spirito
Applichiamo alla vita del sacerdote questo ricchissimo contenuto biblico e teologico legato al tema dell’unzione. San Basilio dice che lo Spirito Santo “fu sempre presente nella vita del Signore, divenendone l’unzione e il compagno inseparabile”, così che “tutta l’attività di Cristo si svolse nello Spirito”[9]. Avere l’unzione significa, dunque, avere lo Spirito Santo come “compagno insep
arabile” nella vita, fare tutto “nello Spirito”, alla sua presenza, con la sua guida. Essa comporta una certa passività, un essere agiti, mossi, o, come dice Paolo, un “lasciarsi guidare dallo Spirito” (cf. Gal 5,18).
Tutto questo si traduce, all’esterno, ora in soavità, calma, pace, dolcezza, devozione, commozione, ora in autorità, forza, potere, autorevolezza, a seconda delle circostanze, del carattere di ognuno e anche dell’ufficio che ricopre. L’esempio vivente è Gesù che, mosso dallo Spirito, si manifesta come dolce e umile di cuore, ma anche, all’occorrenza, pieno di soprannaturale autorità. È una condizione caratterizzata da una certa luminosità interiore che dà facilità e padronanza nel fare le cose. Un po’ come è la “forma” per l’atleta e l’ispirazione per il poeta: uno stato in cui si riesce a dare il meglio di sé.
Noi sacerdoti dovremmo abituarci a chiedere l’unzione dello Spirito prima di accingerci a un’azione importante a servizio del regno: una decisione da prendere, una nomina da fare, un documento da scrivere, una commissione da presiedere, una predica da preparare. Io l’ho appreso a mie spese. Mi sono trovato a volte a dover parlare a un vasto uditorio, in una lingua straniera, magari appena arrivato da un lungo viaggio. Buio totale. La lingua in cui dovevo parlare mi sembrava di non averla mai conosciuta, incapacità di concentrarmi su uno schema, un tema. E il canto iniziale stava per finire…Allora mi sono ricordato dell’unzione e in fretta ho fatto una breve preghiera: “Padre, nel nome di Cristo, ti chiedo l’unzione dello Spirito!”
A volte, l’effetto è immediato. Si sperimenta quasi fisicamente la venuta su di sé dell’unzione. Una certa commozione attraversa il corpo, chiarezza nella mente, serenità nell’anima; scompare la stanchezza, il nervosismo, ogni paura e ogni timidezza; si sperimenta qualcosa della calma e dell’autorità stessa di Dio.
Molte mie preghiere, come, penso, quelle di ogni cristiano, sono rimaste inascoltate, quasi mai però questa per l’unzione. Pare che davanti a Dio abbiamo una specie di diritto di reclamarla. In seguito ho speculato anche un po’ su questa possibilità. Per esempio, se devo parlare di Gesù Cristo faccio un’alleanza segreta con Dio Padre, senza farlo sapere a Gesù, e dico: “Padre, devo parlare del tuo Figlio Gesù che ami tanto: dammi l’unzione del tuo Spirito per arrivare al cuore della gente”. Se devo parlare di Dio Padre, il contrario: faccio un’intesa segreta con Gesù…La dottrina della Trinità è meravigliosa anche per questo.
5. Unti per diffondere nel mondo il buon odore di Cristo
Nello stesso contesto della 2 Corinzi, l’Apostolo, sempre riferendosi al ministero apostolico, sviluppa la metafora dell’unzione con quella del profumo che ne è l’effetto; scrive: “Siano rese grazie a Dio che sempre ci fa trionfare in Cristo e che per mezzo nostro spande dappertutto il profumo della sua conoscenza. Noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo” ( 2 Cor 2, 14-15).
Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo di Cristo nel mondo! Ma l’Apostolo ci mette sull’avviso, aggiungendo subito dopo: “Abbiamo questo tesoro in vasi di terra” (2 Cor 4,7). Sappiamo fin troppo bene, dalla dolorosa e umiliante esperienza recente, cosa tutto questo significa. Gesù diceva agli apostoli: “Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5,13). La verità di questa parola di Cristo è dolorosamente sotto i nostri occhi. Anche l’unguento se perde l’odore e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da lui. Anche per rispondere a questa situazione il Santo Padre ha indetto il presente anno sacerdotale. Lo dice apertamente nella lettera di indizione: “ Ci sono purtroppo anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà dei alcuni suoi ministri. È il mondo a trarre allora motivo di scandalo e di rifiuto”. La lettera del papa non si ferma a questa costatazione; aggiunge infatti: “Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi pastori, di Religiosi, ardenti di amore per Dio e per le anime” . La rilevazione delle debolezze va fatta anch’essa, per rendere giustizia alle vittime e la Chiesa ora lo riconosce e la attua come meglio può, ma va fatta in altra sede e, in ogni caso, non è da essa che verrà lo slancio per un rinnovamento del ministero sacerdotale. Io ho pensato a questo ciclo di meditazioni sul sacerdozio proprio come un piccolo contributo nel senso auspicato dal Santo Padre. Vorrei, al posto mio, far parlare il mio Serafico Padre san Francesco. In un tempo in cui la situazione morale del clero era senza confronto più triste di quella di oggi, egli, nel suo Testamento, scrive:
“Il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri”.
Nel testo citato all’inizio Paolo parla della “gloria” dei ministri della Nuova Alleanza dello Spirito, immensamente più alta di quella antica. Questa gloria non viene dagli uomini e non può essere distrutta dagli uomini. Il Santo Curato diffondeva certamente intorno a sé il buon odore di Cristo ed era per questo che le folle accorrevano ad Ars; più vicino a noi, Padre Pio da Petrelcina diffondeva il profumo di Cristo, a volte anche un profumo fisico, come è attestato da innumerevoli persone degne di fede. Tanti sacerdoti, ignorati dal mondo, sono nel loro ambiente il buon odore di Cristo e del vangelo. Il “Curato di campagna” di Bernanos ha innumerevoli compagni diffusi per il mondo, in città non meno che in campagna.
Il Padre Lacordaire ha tracciato un profilo del sacerdote cattolico, che può apparire oggi un po’ troppo ottimistico e idealizzato, ma ritrovare l’ideale e l’entusiasmo per ministero sacerdotale è proprio la cosa che ci occorre in questo momento e perciò lo riascoltiamo a conclusione della presente meditazione:
“Vivere in mezzo al mondo senza alcun desiderio per i suoi piaceri; essere membro di ogni famiglia, senza appartenere ad alcuna di esse; condividere ogni sofferenza, essere messo a parte di ogni segreto, guarire ogni ferita; andare ogni giorno dagli uomini a Dio per offrirgli la loro devozione e le loro preghiere, e tornare da Dio agli uomini per portare a essi il suo perdono e la sua speranza; avere un cuore di acciaio per la castità e un cuore di carne per la carità; insegnare e perdonare, consolare e benedire ed essere benedetto per sempre. O Dio, che genere di vita è mai questo? È la tua vita, o sacerdote di Gesù Cristo!”[10].
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1) S. Ireneo, Adv. Haer. III, 24, 1.
2) S. Atanasio, Lettere a Serapione, III, 3 (PG 26, 628 s.).
3) PO, 1,2.
4) S. Agostino, Sulla prima lettera di Giovanni, 3,5 (PL 35, 2000); cf. 3, 12 (PL 35, 2004).
5) Cf. S. Agostino, Sulla prima lettera di Giova
nni, 3,13 (PL 35, 2004 s.); cf. S. Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli 30, 3 (PL 76, 1222).
6) S. Bernardo, Sul Cantico, I, 6, 11 (ed. Cistercense, I, Roma 1957, p.7).
7) S. Bonaventura, IV, d.23,a.1,q.1 (ed. Quaracchi, IV, p.589); Sermone III su S. Maria Maddalena (ed. Quaracchi, IX, p. 561).
8) Ibidem, VII, 5.
9) S. Basilio, Sullo Spirito Santo, XVI, 39 (PG 32, 140C).
10) H. Lacordaire, cit. da D.Rice, Shattered Vows, The Blackstaff Press, Belfast 1990, p.137.