ROMA, giovedì, 10 dicembre 2009 (ZENIT.org).- In un viaggio in Malesia ho visitato il convento delle Carmelitane di Kuching, capitale dello stato federato di Sarawak nel Borneo malese, con una ventina di sorelle, tra cui due anziane spagnole che avevano fondato il convento mezzo secolo fa.

Mi hanno ammesso nei loro ambienti, abbiamo pregato e chiacchierato. Un pomeriggio che mi ha commosso: anche in una Chiesa giovanissima come quella del Borneo malese nascono vocazioni claustrali. Da circa trent’anni visito i conventi di clausura in Italia (mando tutti i miei libri in omaggio ai 550 conventi!), questa amicizia e queste visite mi rinnovano spiritualmente.

Nel Borneo malese ci sono molte conversioni, pochi preti e poche suore: nel 1972 un prete ogni 3.000 cattolici (con i missionari inglesi di Mill Hill), oggi uno ogni 8.000, con una media di 400-500 battesimi di adulti l’anno per parrocchia (Serian, diocesi di Kuching, ne ha più di 500). Chiedo al vicario generale di Kuching, mons. Sepang, se il convento di claustrali è conosciuto e apprezzato in diocesi. “Certo – risponde - questo è il motore della nostra Chiesa. Non solo, ma il convento di Kuching ha già prodotto una seconda presenza contemplativa nel Borneo malese, a Kota Kinabalu” nello stato federale di Sabah, il cui vescovo ha invitato il Pime, che vi è già stato nel 1800!

Perché “il motore”? “Perché - diceva mons. Sebang - la loro stessa presenza ricorda sempre a tutti, anche a noi preti, che l’opera della Chiesa si sostiene con la preghiera, l’amore a Cristo, l’aiuto di Dio: non è opera di uomini, ma presenza di Dio tra gli uomini”. Nella semplicità di quel convento di clausura a Kuching, chiacchierando con le giovani sorelle, ho capito tante cose sulla preghiera. Guarda un po’, mi son detto, qui Gesù Cristo è arrivato meno di un secolo fa, i bisogni di questo popolo sono immensi, la stessa crescita dei cristiani richiederebbe tutto il personale apostolico disponibile: eppure i vescovi promuovono la fondazione di conventi di clausura!

Il nostro tempo ci porta lontani da questa logica e tutti ne siamo influenzati. Oggi miriamo all’efficienza, al fare, al produrre, all’attivismo frenetico; non siamo più abituati al silenzio, alla preghiera contemplativa. Che pena mi fanno i giovani (o non giovani) che vanno per la strada con l’auricolare all’orecchio e la radiolina in tasca, per sentire musica; o quelli che scrivono e studiano con la radio accesa…. Il nostro tempo ci porta a questo. Occorre reagire, andare contro-corrente, darci spazi di silenzio, di preghiera, di meditazione. Anche solo per tornare ad essere più uomini e non macchine in perpetuo movimento, in perenne attività. Dio si incontra solo nel silenzio.

Io scrivo queste cose e ci credo, ma poi se guardo alla mia vita, penso che anche per noi preti è tremendamente difficile realizzare la “dimensione contemplativa”; anche se preghiamo il giusto (Messa, Breviario, Rosario, meditazione, visita al SS. durante la giornata, ecc.), siamo anche noi figli del nostro tempo, distratti, dispersi in mille occupazioni ed emergenze. Padre Giuseppe Piazza, segretario del nostro superiore generale, mons. Aristide Pirovano (fondatore della diocesi di Macapà in Amazzonia brasiliana e superiore dal 1965 al 1977), mi raccontava che quando c’era un problema grave, difficile, angoscioso, Pirovano gli diceva: “Vieni che andiamo in chiesa a pregare”. Aveva un’attenzione molto forte al “motore” di tutto.

Come facciamo, oggi, a trasmettere alla nostra gente questa impostazione dell’esistenza cristiana? Certo, quelli che pregano sono molto più numerosi di quanto noi possiamo pensare. Molti anni fa, un mattino di domenica dovevo predicare una giornata missionaria parrocchiale a Camogli (Genova), ma quando sono arrivato la porta della chiesa era ancora chiusa. Sul molo vicino un pescatore era da poco tornato dalla pesca notturna e stava lavorando. Mi sono seduto e ho chiesto notizie di com’era andata la pesca. Quell’uomo rude mi ha fatto un discorso imprevisto: tutta la notte ho pregato, Dio mi ha aiutato; il mio è un lavoro pesante, ma la preghiera mi aiuta molto. Sono rimasto colpito. Quest’uomo, mi son detto, trasmette naturalmente il suo amore alla preghiera. Come si fa a trasmettere, e questo vale per tutti i cristiani, genitori e preti in particolare, se uno non ama e non sperimenta?

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* Padre Piero Gheddo, già direttore di “Mondo e Missione” e di Italia Missionaria, è il fondatore di AsiaNews. Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente. Dal 1994 è direttore dell’Ufficio storico del Pime e postulatore di varie cause di canonizzazione. Insegna nel seminario pre-teologico del Pime a Roma. E’ autore di oltre 70 libri. L’ultimo pubblicato è un libro intervista condotto da Roberto Beretta dal titolo “Ho tanta fiducia” (Editrice San Paolo).