di padre Piero Gheddo*

ROMA, lunedì, 14 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Le vocazioni missionarie in Italia sono molto diminuite. Mancano i giovani, scarseggiano le famiglie che trasmettano la fede e suscitino nei loro giovani almeno l’idea, il desiderio di consacrare la loro vita a Dio. Tutti conosciamo e soffriamo questa situazione. Anche gli istituti missionari lamentano il crollo delle vocazioni missionarie in Italia, soprattutto negli ultimi 20-30 anni circa.

Nel 1994 mi sono trasferito da Milano a Roma, per iniziare l’Ufficio storico del Pime, pur conservando ufficio e stanza da letto a Milano dove vado spesso per impegni di giornalismo e di animazione. Ed ho cominciato ad insegnare nel seminario del Pime a Roma dove abbiamo i due anni di filosofia e l’anno di formazione (la teologia è a Monza e a Tagaytay nelle Filippine).

Nel 1994 qui a Roma c’erano 16 seminaristi italiani e quattro stranieri perchè il Pime ha scelto di diventare istituto internazionale solo nel 1989. Oggi, nello stesso seminario di Roma, accanto alla direzione generale, ci sono 14 seminaristi, di cui 12 stranieri (africani, brasiliani, birmani, messicani, americani, ecc.) e due soli italiani! Il Pime ha un seminario in Brasile e Stati Uniti e quattro seminari in India. Gli indiani, che sono numerosi, studiano in India fino alla teologia. 

Questa, più o meno, è la situazione degli istituti missionari italiani: aumentano le vocazioni missionarie nelle missioni, diminuiscono quelle italiane. Dalle missioni i vescovi locali continuano a chiedere nuovi preti (con fratelli e suore naturalmente). I superiori degli istituti missionari spesso debbono rispondere che la crisi di fede del nostro popolo, almeno per il momento, non permette di nutrire speranze prossime di un aumento del personale missionario italiano.

Però mi vengono due dubbi. Primo. Nelle comunità missionarie in Italia (non parlo delle missioni dove la situazione è molto diversa) si vive ancora con passione lo spirito missionario? Lo si trasmette agli altri con la vita e la parola? Ho l’impressione che, in genere, il missionario, quando viene rimpatriato, anche per l’età e le malattie spesso non si adatta più all’ambiente italiano: si affloscia, si demoralizza, si abbatte, è travolto dall’atmosfera di pessimismo e di secolarizzazione che si respira in Italia e non trasmette più l’entusiasmo della missione alle genti, che sentiva vivendo la missione sul campo.

Sogna la sua missione, ma in Italia si trova spaesato. Se ci vuole una “inculturazione del missionario” che da giovane parte per una nuova patria, anche quando torna in Italia dopo decenni di vita missionaria in ambienti tanto diversi, dovrebbe riambientarsi. Invece succede che non si adatta più all’ambiente italiano.

Insomma, a dirla tutta: gli istituti missionari, trasmettono ancora, in Italia, il fascino e la radicalità evangelica della missione alle genti? Trasmettono ancora l’amore e la passione per Cristo e per la Chiesa, senza i quali la missione alle genti non ha più significato?

Secondo. Perché, sempre in Italia, gli istituti missionari non lanciano più appelli vocazionali alle famiglie, ai giovani; perché non fanno più campagne, convegni, manifestazioni, non lanciano slogan per sensibilizzare il popolo di Dio e gli amici delle missioni sulle vocazioni missionarie?

Apro le riviste missionarie e difficilmente trovo qualche articolo su questo tema; vedo i volumi pubblicati dalla Emi (Editrice missionaria italiana che ho contribuito a fondare nel 1955), che sono tanti e positivi, ma quanti dedicati alla missione alle genti e alle vocazioni missionarie?

Gli istituti missionari lamentano la diminuzione del loro personale italiano, ma quando mai in tutti i loro comunicati, riviste, congressi, iniziative di animazione missionaria, approfondiscono e spiegano perché l’urgenza della missione alle genti, o lanciano appelli ai giovani affinchè si facciano missionari?

Diverse volte l’anno gli organismi unitari degli istituti missionari, ad esempio la Cimi (Conferenza istituti missionari italiani), la Fesmi (Federazione stampa missionaria italiana), il Suam (Segretariato unitario animazione missionaria) sono presenti sulla stampa nazionale con comunicati su temi che con la missione alle genti c’entrano poco o nulla: contro il debito estero, la privatizzazione dell’acqua, la produzione delle armi, per l’aumento degli aiuti allo sviluppo, in difesa dei lavoratori terzomondiali clandestini in Italia e via dicendo.

Tutti temi in sé sacrosanti, ma perché non protestiamo contro gli aborti, i divorzi e le separazioni che sono alla radice della decadenza delle famiglie e delle scarse vocazioni sacerdotali e missionarie?  Comunque, le vocazioni missionarie non sono mai ricordate, non esistono! Non ricordo che negli ultimi tempi si sia trovato il modo di portare in modo vigoroso alla ribalta l’appello ai giovani di donare la propria vita a Cristo e alla missione fra i non cristiani.

Tutto questo è solo la punta dell’iceberg. Diciamoci la verità. La missione alle genti, gli istituti e la vocazione missionaria sono quasi scomparsi dall’orizzonte dei mass media, dell’opinione pubblica e, sia pur esagerando, della Chiesa italiana.

Come facciamo poi a lamentarci perché pochi giovani e ragazze scelgono la nostra via per servire il Regno di Dio, quando noi missionari stessi diamo l’impressione di considerarla poco importante e quasi marginale nella vita della Chiesa e del mondo d’oggi?

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* Padre Piero Gheddo, già direttore di “Mondo e Missione” e di Italia Missionaria, è il fondatore di AsiaNews. Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente. Dal 1994 è direttore dell’Ufficio storico del Pime e postulatore di varie cause di canonizzazione. Insegna nel seminario pre-teologico del Pime a Roma. E’ autore di oltre 70 libri. L’ultimo pubblicato è un libro intervista condotto da Roberto Beretta dal titolo “Ho tanta fiducia” (Editrice San Paolo).