ROMA, lunedì, 14 maggio 2012 (ZENIT.org) – «In Medio Oriente non si può parlare di laicità, semmai di piena cittadinanza». E’ questa la vera sfida per padre Pierbattista Pizzaballa, tra i relatori del seminario «I cristiani nel mondo arabo, un anno dopo la primavera araba» promosso il 9 maggio a Bruxelles dalla Comece (Commissione delle Conferenze episcopali europee). Nel suo intervento il Custode di Terra Santa ha sottolineato come in Israele e nei Paesi arabi la religione non sia un’esperienza individuale, ma il tratto distintivo di ogni gruppo che in quanto tale ha propri usi e costumi, tradizioni e stili di vita. Non si deve dunque aspirare ad un Medio Oriente laico ma «dialogare perché sia riconosciuta la piena cittadinanza a tutti i cittadini, di qualsiasi credo».
Prima dell’incontro, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha intervistato il francescano raccogliendo il suo invito a non pretendere un cambiamento immediato. «La primavera araba ha scatenato due reazioni opposte – ha detto padre Pizzaballa – un grande entusiasmo e una forte preoccupazione». Tuttavia negli ultimi quarant’anni i Paesi arabi hanno conosciuto esclusivamente la stabilità e l’immobilismo dei regimi, e riemergere dallo «status quo» richiede un processo lungo e graduale. «Non possiamo aspettarci che, dopo decenni di governi non democratici, il Medio Oriente viva una trasformazione talmente positiva da generare dinamiche sociali serene. Dobbiamo compiere tutti i passi necessari». Un banco di prova è rappresentato oggi dalle nuove Costituzioni che devono essere riscritte e al tempo stesso riflettere l’identità dei partiti: «un ulteriore innesco di tensioni e malintesi».
Pazienza dunque e attenzione a «non fare di tutta un’erba un fascio», avverte il Custode di Terra Santa. Non si può generalizzare ed accomunare tutti Paesi mediorientali, perché ognuno ha una propria storia e differenti caratteristiche ed equilibri. «E’ evidente però – ha spiegato ad ACS-Italia – che possiamo guardare alla condizione dei cristiani come ad una cartina tornasole per comprendere che tipo di governi si stanno istaurando». Ad allarmare maggiormente il ministro provinciale dei Frati minori è ovviamente la Siria, «dove è in corso una guerra civile». Sebbene i cristiani siriani non siano ancora un obiettivo specifico – «soffrono come soffre tutta la popolazione» – il loro essere minoranza li porta ad essere considerati vicini agli alauiti, ramo minoritario sciita a cui appartiene l’attuale presidente, e quindi alla dittatura. «I fedeli hanno molta paura e chi ha possibilità lascia il Paese» ha raccontato il religioso, convinto che «la Famiglia Assad non sopravvivrà a lungo», anche se la situazione è «molto frammentata e di non rapida soluzione».
Commentando le dichiarazioni di alcuni vescovi cristiani in difesa del regime siriano – tra cui il patriarca greco-melchita di Antiochia, Gregorio III Laham – il francescano ha dichiarato che «l’episcopato deve essere sempre moderato». Poi ha ribadito la sua ferma opposizione ad un intervento militare nel Paese, che si limiterebbe soltanto ad esasperare il quadro, scatenando ulteriori violenze. «Imposizioni dall’esterno – ha detto ad ACS-Italia – creerebbero reazioni uguali e contrarie. I cambiamenti devono nascere dall’interno ed essere messi in atto gradualmente».
E nel processo di trasformazione delle società mediorientali, un valore aggiunto è costituito dai cristiani: «i nostri fratelli nella fede – ha notato padre Pizzaballa – sono pacifici, ben inseriti nel territorio e con una grande preparazione culturale. Il loro aiuto contribuirà sicuramente allo sviluppo del mondo arabo. Ma tutto a suo tempo: la strada da percorrere è ancora lunga».