di padre Angelo del Favero*

ROMA, giovedì, 17 maggio 2012 (ZENIT.org).- At 1,1-11

Essi stavano fissando il cielo mentre Egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.

Mc 16,15-20

Gesù apparve agli Undici e disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.

Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio”.

Ef 4,1-13

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace (…)..fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.

Riuniti per l’ultima volta attorno al Signore risorto, i discepoli ricevono la consegna fondamentale del Vangelo: “Andate il tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato” (Mc 16,15-16).

Le ultime parole di Gesù dovettero risuonare gravi e inesorabili nel cuore dei discepoli: chi non vorrà credere al Vangelo “sarà condannato”!

Gli inviati ad evangelizzare il mondo hanno dunque un’enorme responsabilità: dipenderà anche da loro la vita o la morte eterna delle persone che li ascolteranno.

Ora, noi sappiamo che il cuore del Vangelo è l’annuncio che: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

Sì, Dio, che è Amore, si è incarnato per amore, ha patito ed è morto per amore, e per la potenza dell’amore è risorto, colmando per sempre e per tutti il grande abisso della separazione eterna dall’Amore (Lc 16,26), scavato dal peccato originale.

Perciò, grazie a Gesù Cristo, l’uomo non è più prigioniero, ma libero, libero di incontrarsi con l’Amore per vivere ed annunciare responsabilmente la verità dell’amore.

Saremo dunque giudicati sull’amore (Mt 25,31-46) non solo in termini morali di accoglienza reciproca, ma anche di annuncio del Vangelo mediante l’amore: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

Solo l’amore è credibile”, riassumeva trent’anni fa un noto libro di H. U. Von Balthasar; a tale titolo significativo possiamo aggiungere con san Paolo “solo l’amore è invincibile”. Infatti: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati!” (Rm 8,35.37).

E’ a questa vittoria che Gesù si riferisce oggi nella seconda parte del Vangelo:“Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc 16,17-18).

Questi (e molti altri) segni, indicano e dimostrano l’invincibilità della Grazia di Dio sulle forze del Male. Ora, la Grazia di Dio è Amore.

Il significato dei cinque segni particolari descritti da Marco è questo:

Si elencano cinque tipi di miracoli che indicano il coinvolgimento di tutto l’essere nella storia della salvezza: il male è sconfitto (“scacciare i demoni”); lo Spirito Santo è effuso in una continua Pentecoste su tutti i popoli e tutte le culture (“parlare le lingue”); i serpenti, simbolo della tentazione, saranno neutralizzati; il veleno, segno di tutto ciò che insidia la vita, sarà debellato; i malati saranno confortati e guariti” (G. Ravasi, Secondo le Scritture, Anno B).

I discepoli inviati da Gesù, da duemila anni vanno proclamando “in tutto il mondo” e “ad ogni creatura” (Mc 16,15), la vittoria definitiva dell’Amore sull’odio, della Vita sulla morte, del Bene sul male, poiché il Signore “è veramente risorto”.

Ora, se questo è vero, è anche vero che l’evidenza dei fatti quotidiani sembra puntualmente smentire l’invincibilità dell’Amore, tanto da far apparire il credente come un illuso che si accontenta di guardare in alto per vivere..tra le nuvole (“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? – At 1,11).

Non solo, infatti, il male dilaga con prepotenza sconvolgente, ma non di rado sono gli stessi discepoli di Cristo ad esserne responsabili.

Ad essi per primi è indirizzata l’esortazione accorata e decisa di Paolo: “Fratelli, vi esorto..a comportarvi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace” (Ef 4,1s).

L’Apostolo sa bene che l’unica cosa che può separare i destinatari del Vangelo dall’amore vittorioso del Signore è la divisione degli annunciatori, peccato che falsifica la loro testimonianza rendendola scandalosa e ben lontana dalla“misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13).

Quale può essere allora la conclusione per ogni cristiano, chiamato ad annunciare oggi il Vangelo in forme nuove, in forza del suo stesso Battesimo?

Ecco: impegnati nel mandato della Nuova Evangelizzazione, anche noi oggi non dobbiamo dimenticare la consegna di Gesù nell’ultima Cena: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15,12-13).

Questa è la“misura della pienezza di Cristo” da accogliere nel nostro cuore,se vogliamo che si diffonda nel mondo la vittoria del Suo Amore, ed arrivare “tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio” (Ef 4,13).

Perciò ogni missionario del Vangelo deve decidere nel suo cuore di “dare la sua vita” per i fratelli, facendosi prossimo di tutti con ogni mansuetudine, umiltà e amore, ben sapendo che “amare vuol dire cercare di spogliarsi e privarsi per Dio di tutto ciò che non è Lui” (San Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, 2S 5,7).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.