ROMA, giovedì, 17 maggio 2012 (ZENIT.org) - La Corte Europea ha pubblicato martedì 15 maggio la sua sentenza nell’importante caso Fernández Martínez contro Spagna (n. 56030/07). Il tribunale di Strasburgo ha stabilito con sei voti contro uno, che la decisione dell’episcopato spagnolo di non rinnovare il contratto di un insegnante sacerdote sposato e militante del Movimento Pro Celibato Opzionale (Pro celibato Opcional) “rileva il principio della libertà religiosa, protetta dalla Convenzione”. Lo ha sottolineato il direttore del Centro Europeo per il Diritto e la Giustizia (ECLJ), Grégor Puppinck. Il caso, sostiene il giurista, potrebbe applicarsi alle giurisdizioni nazionali.

L’ECLJ è intervenuto nel caso come terza parte (o amicus curiae) e come rappresentante legale della Conferenza Episcopale Spagnola (CEE), anch’essa terzo interveniente nel caso. Secondo Puppinck, la sentenza rappresenta una importante vittoria per la libertà della Chiesa e si è rallegrato che la Corte si sia pronunciata con forza e chiarezza per il principio della libertà e dell’autonomia della Chiesa. La sentenza rispecchia il ragionamento sviluppato dall’ECLJ nelle sue osservazioni scritte del 20 ottobre scorso.

Il caso in questione riguarda il mancato rinnovo del contratto d’insegnamento di religione e di morale di un “sacerdote sposato”, padre di 5 figli, dopo la pubblicazione di un articolo su un quotidiano spagnolo – La Verdad di Murcia - in cui egli rivelò la sua appartenenza al movimento Pro celibato Opcional. In Spagna, gli insegnanti di religione negli istituti pubblici sono degli impiegati contrattuali dello Stato nominati su designazione e previa approvazione del vescovo locale, il quale ha il potere di revocare o non rinnovare questo accordo, essendo quindi l’istituto pubblico datore di lavoro, vincolato dalla decisione del vescovo.

La vicenda chiamava in causa la libertà della Chiesa di ritirare la sua approvazione ad un insegnante di religione cattolica per motivi di natura religiosa, anche se le cause materiali della revoca dell’accordo (il matrimonio e le prese di posizione nella stampa) godono, del resto, della protezione dei diritti dell’uomo, in particolare del diritto al rispetto della vita privata e familiare e del diritto alla libertà di espressione. Come ha indicato la Corte, la questione principale sollevata dal caso è dunque di “sapere se lo Stato era tenuto, nel quadro dei suoi obblighi positivi derivando dall’articolo 8, a far prevalere il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata sul diritto della Chiesa cattolica di rifiutare di rinnovare il contratto dell’interessato” (§ 79).

La questione è di una importanza fondamentale perché si tratta infatti di un conflitto di valori tra il cattolicesimo e una parte della cultura occidentale contemporanea, nonché dell’organizzazione delle relazioni tra queste due società che sono la Chiesa cattolica e lo Stato. In sostanza, il ricorrente chiedeva alla Corte europea e ai “diritti dell’uomo” di arbitrare questo conflitto. Con cautela e riserva, la Corte ha riconosciuto l’incompetenza dei diritti dell’uomo a dare un giudizio sul merito di una decisione di carattere strettamente religioso.

Infatti, per la prima volta – come auspicato dall’ECLJ – la Corte europea pone il principio secondo il quale “le esigenze dei principi di libertà religiosa e di neutralità impediscono di andare oltre nell’esame relativo alla necessità e alla proporzionalità della decisione del non rinnovo” del contratto del ricorrente visto che le circostanze che hanno motivato questo mancato rinnovo sono di “natura strettamente religiosa”; il ruolo della Corte deve dunque “limitarsi a verificare se i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico interno o della dignità del ricorrente non siano stati messi in discussione o compromessi” (§ 84).

Quindi, una volta stabilito che il ricorrente ha avuto accesso ad una giurisdizione nazionale, il ruolo della Corte europea deve limitarsi a verificare: 1) se i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico interno o la dignità del richiedente non sono in discussione, e 2) se la decisione impugnata ha un carattere strettamente religioso.

Qualora entrambe queste due condizioni sussistano, la Corte è incompetente per esprimere un giudizio sulla necessità e la proporzionalità della decisione presa dalla Chiesa. Questo limite che la Corte impone a se stessa è destinato ad applicarsi anche alle giurisdizioni nazionali, in quanto risulta direttamente dagli articoli 9 e 11 della Convenzione (libertà religiosa e libertà di associazione). Quindi, dalla presente sentenza emerge che i giudici nazionali non possono esprimere un giudizio su una tale decisione della Chiesa, senza violare i requisiti dei principi di libertà religiosa e di neutralità. Al contrario, se le giurisdizioni nazionali constatano che “dei motivi diversi da quelli strettamente religiosi sono intervenuti nella decisione” o che questa decisione mette in discussione i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico o la dignità del ricorrente, allora sono competenti per esprimere giudizio sulla decisione impugnata.

Nel caso specifico, la Corte ha valutato che questo caso è di natura strettamente religiosa, anche se il ricorrente è un dipendente dello Stato.

Inoltre, in modo sovrabbondante, la Corte ha anche sottolineato “il legame di fiducia speciale” (§ 85) che deve unire un insegnante di religione cattolica e la Chiesa cattolica, e ha ritenuto “che il ricorrente era sottoposto a maggiori obblighi di lealtà” a causa della particolare natura del suo lavoro e della sua situazione personale (§§ 85 e 86). La Corte ha concluso che, dato il venir meno di questo rapporto di fiducia da parte del ricorrente, le “autorità ecclesiastiche”, non rinnovando il contratto del ricorrente, “si sono limitate a adempiere agli obblighi che incombono loro applicando il principio di autonomia religiosa” (§ 85 in fine), poiché “quando, come nel caso specifico, il legame di fiducia si sgretola, il vescovo deve, ai sensi delle disposizioni del Codice di Diritto Canonico, non proporre più il candidato per la posizione” (§ 85). Senza esprimere giudizio sul contenuto della decisione del Vescovo, il Tribunale ha constatato quindi che era frutto della legge interna della Chiesa. L’obbligo di lealtà giustifica quindi la decisione del vescovo e si aggiunge alla libertà religiosa come motivo, permettendo di concludere con la non violazione dei diritti del ricorrente.

La sentenza Fernández Martínez contro Spagna richiama in causa anche la conformità alla Convenzione di vari giudizi emessi di recente dalle giurisdizioni spagnole a favore di insegnanti di religione, il cui stile di vita non è in sintonia con la religione che insegnano e di cui dovrebbero dare testimonianza nella loro vita.

Più in generale, in conclusione, bisogna essere lieti, per la libertà della Chiesa e per la salvaguardia del sistema dei diritti fondamentali, che la Corte abbia riconosciuto la sua incompetenza per esprimere un giudizio sul merito di una decisione di natura religiosa. I diritti dell’uomo vengono presentati sempre di più come uno strumento con cui arbitrare le differenze tra la religione e la cultura. Molti si aspettano dei diritti dell’uomo che condannino la posizione delle chiese cristiane su questioni come il rispetto della vita e della famiglia, il rispetto della coscienza e della legge morale, il matrimonio dei sacerdoti, l’omosessualità, l’aborto, il divorzio e così via.

Tuttavia, anche se di natura metagiuridica, il sistema dei valori che costituiscono i diritti dell’uomo tende ad identificarsi e ad evolversi con la cultura contemporanea dominante, in modo che l’estraneità dei diritti umani ai conflitti tra cultura e religione sembra essere fittizia ed impossibile. Questo rimette in discussione la capacità dei diritti dell’uomo di assicurare una funzione arbitrale al di là dei casi in cui sono in discussione i diritti fondamentali invariabili ed incontestati relativi alla protezione della vita, della dignità e dell’integrità della persona. Quindi vi è motivo di rallegrarsi che il sistema dei diritti umani incontri in se stesso, nel rispetto dovuto alla libertà religiosa, la propria autolimitazione di fronte al sistema di valori costituito dalla religione cattolica.

Questa sentenza – conclude Puppinck – costituisce una tappa importante per la riconoscenza e il rispetto in Europa della libertà della Chiesa in seno e di fronte alla società civile. L’ECLJ è lieto di avervi contribuito insieme alla Conferenza Episcopale Spagnola.

[Traduzione dal francese a cura di Paul De Maeyer]