Bambini, schiavi silenziosi della criminalità organizzata

In un libro denuncia, la tragedia dell’infanzia violata

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di Mariaelena Finessi

ROMA, giovedì, 15 luglio 2010 (ZENIT.org).- Il male non è mai assoluto, «ci sono raggi di luce che rompono le tenebre della notte», ed è lì che «emerge una prospettiva di svolta e di cambiamento». Il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo metropolita di Napoli commenta, nella prefazione, ciò che è nel cuore del volume “Ali bruciate. I bambini di Scampia” (Edizioni Paoline), una fatica realizzata a quattro mani da don Alessandro Pronzato e Davide Cerulli.

Un libro che racchiude il vissuto dello stesso Davide, le sconfitte e la resurrezione di «un giovane uomo che – come dice lo scrittore sacerdote – è stato rapinato dell’infanzia e dei relativi giochi, divenuto precocemente adulto e introdotto, ancora ragazzino imberbe, nelle operazioni più spericolate e nei traffici meno limpidi, rotto a tutte le astuzie, esperto in comportamenti, se non abominevoli, certo ai margini della legalità. Uno che troppo presto ha conosciuto la faccia, non dico dura, ma odiosa della vita. E senza alcuna preparazione, senza una guida illuminata che lo avvertisse dei pericoli che correva».

In “Ali bruciate” c’è in nuce la vita, con i suoi errori e i suoi mali, con i suoi lampi di amore e di bontà: aspetti non in contraddizione tra loro ma ingredienti della stessa realtà. E della lotta tra la luce e le tenebre questo libro non può dirsi privo, ricco com’è di «esempi di uomini e di giovani – spiega il cardinale – che perseguono il cambiamento e l’opera di riscatto, esempi di religiosi e religiose che hanno fatto dell’altruismo una scelta di vita, esempi di sacerdoti coraggiosi che, come tanti confratelli in altre parti della città, vivono il loro impegno sacerdotale nell’ascolto e nella condivisione del disagio e della sofferenza, indicando la strada della redenzione e della salvezza».

Una realtà controversa, di “perdenti ma non vinti” che devono vedersela con il Sistema, come si chiamano oggi le mafie, la camorra o la ‘ndrangheta. Un sottobosco di criminalità di cui si parla e scrive tanto, specie dopo “Gomorra”, il bestseller di Roberto Saviano. Eppure, tra milioni di parole e caterve di carta un aspetto sfugge o è solo accidentalmente sfiorato dai nuovi autori: quello dei bambini coinvolti nei traffici loschi degli adulti. «Davide Cerullo, napoletano di origine controllata – come spiega Pronzato -, questo dramma te lo sbatte dolcemente in faccia. Te lo ficca impietosamente nello stomaco. Impossibile da digerire. A meno che tu abbia, oltre che il cuore, anche lo stomaco di pietra». L’ambientazione ha il volto di Scampia, un quartiere popolare nato dall’idea di inventare una nuova forma di convivenza che si riflettesse nell’architettura dei palazzi.

«La costruzione delle “Vele” avrebbe dovuto far viaggiare il nuovo speditamente – racconta il cardinale Sepe – mentre le grandi arterie e i lunghi viali a scorrimento rapido avrebbero dovuto richiamare l’idea della velocità del mondo, del fluire degli eventi (…). Le “Torri” sarebbero state abitazioni collegate tra loro, quasi dei cortili aerei, capaci di favorire la comunicazione e dunque la vita d’insieme (…). Un ideale alto, un disegno di città alternativa, che doveva essere a misura d’uomo». Così però non è stato, e per gli oltre 50mila abitanti (oggi 100mila) nemmeno un negozio, mentre qualche sparuto mercatino rionale è arrivato solo un ventennio più tardi. Ad accelerare la fine di un’utopia, una concreta fame di alloggi.

«E se gli anni Settanta – continua il porporato – riempirono le case dei senzatetto storici, gli anni Ottanta furono quelli dell’emergenza del terremoto in Irpinia. Gli amministratori, presi dal panico, finirono per riunire uomini e donne là dove erano già accatastati, sconvolgendo l’assegnazione delle case popolari. A questo si aggiunsero le occupazioni abusive, che non trascuravano sottoscala, ballatoi, cantine. L’arrembaggio fu reso possibile dalla totale assenza di controllo. Un commissariato di zona fu aperto solo negli anni Novanta, nel frattempo era arrivata la camorra e aveva già organizzato i suoi fortini». Dunque, quella che doveva essere una città a misura d’uomo è diventato un luogo a misura di malavita organizzata, dove il tasso di analfabetismo è più alto che in qualsiasi altro quartiere d’Italia e dove, secondo l’ASL, si registra il record italiano per il consumo di psicofarmaci anche perché, a Scampia, una “pallina” di cocaina, si vende a prezzi di saldo, il più basso al mondo e nel traffico sono impiegati, prezzolati dalla camorra, ragazzini, padri e madri di famiglia.

In quel marasma in tanti sono morti e continuano a morire, specie giovanissimi, al soldo di gente senza fede, senza addirittura una morale. Nel libro viene riportata anche la lettera di un padre a cui hanno ammazzato il figlio: «Rendetevi conto – scrive l’uomo – che non basta dare una volta la vita, e poi tirarsi da parte. La prima è abbastanza facile. È la seconda che conta. Convincetevi che si è padri due volte. E se non lo siete anche la seconda volta, siete dei padri mancati. Perché ci sono dei figli abortiti, ma anche dei genitori abortiti. Abbiate il coraggio e il senso di responsabilità che non ho avuto io, il coraggio di essere vivi per la vita dei figli. Trasmettete loro la forza e la capacità di pensare e di agire diversamente dalle mode correnti. Fate loro gustare la suprema libertà di dire no a tutto ciò che offusca o addirittura cancella in loro l’immagine di Dio».

Di tutto questo Davide tiene conto, salvato da una pagina strappata ad una copia della Bibbia conservata nella biblioteca del carcere di Poggioreale, a Napoli. Giovanissimo, Davide finisce in galera per spaccio di droga. Là dentro impara a leggere e a scrivere. Qualcuno gli mette in testa il nome di un personaggio biblico, un certo Davide. Un’ominimia che lo affascina, che lo spinge a «masticare le pagine che lo riguardano», a strapparle e quindi portarsele dietro una volta uscito dal carcere, da quel posto in cui «aveva imparato a vivere diversamente o, anche, semplicemente a vivere». Oggi, che «sgobba come camionista dalle dieci alle dodici ore al giorno», per rastrellare ogni mese una cifra che una volta racimolava in meno di una settimana, Davide ha l’orgoglio di chi riesce a portare a casa soldi che profumano di sudore». Una storia di rinascita, un esempio per molti. Troppi.

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ZENIT Staff

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