Riprendiamo di seguito la lettera pubblicata domenica scorsa da monsignor Massimo Camisasca, vescovo della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla, nella ricorrenza del martirio di Rolando Maria Rivi, il seminarista appena quattordicenne del seminario di Marola trucidato il 13 aprile 1945 a Monchio “in odium fidei” da partigiani comunisti.
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Cari fratelli e figli,
sabato scorso, 13 aprile, nel pomeriggio, nel Duomo di Modena, ho concelebrato con l’arcivescovo la Santa Messa nella ricorrenza del martirio del nostro Rolando Rivi, ucciso proprio il 13 aprile 1945 a Monchio, in terra modenese. Era nato e vissuto nella nostra Diocesi, seminarista nel seminario di Marola e ora è sepolto nella Pieve di San Valentino, dove era stato battezzato e dove aveva incontrato don Olinto Marzocchini, infaticabile educatore appassionato al vero bene dei suoi parrocchiani. Guardando a lui maturò in Rolando il desiderio di diventare sacerdote e a undici anni il ragazzo vestì per la prima volta la veste talare che non avrebbe più lasciato sino alla morte.
Durante la mattina del 13 aprile mi ero recato per la prima volta, in preghiera, sui luoghi del martirio e della sepoltura di Rolando. L’arcivescovo di Modena, Antonio Lanfranchi, ha annunciato al termine della Santa Messa che la beatificazione avverrà a Modena, molto probabilmente sabato 5 ottobre. Si attende soltanto il consenso definitivo del Santo Padre.
Cosa significa e cosa chiede a tutti noi un evento di questa portata?
Innanzitutto di prendere coscienza di ciò che è accaduto, di non lasciarlo passare invano, di non vivere distratti nelle nostre opere, dimenticandoci delle opere di Dio. Senza la capacità di guardarle, di gioirne, di esserne riempiti.
Il martirio è innanzitutto opera di Dio che chiede a una persona se accetta di essere suo testimone di fronte a tutti gli uomini e a tutti i secoli. Certo Dio si serve anche della barbarie e della cattiveria degli uomini. Essi, inconsapevolmente, diventano servitori della Sua gloria.
Dio ha chiesto a Rolando il dono di tutta la sua vita. 14 anni per Lui sono come un tempo infinito (cfr. 2Pt 3,8). E Rolando ha maturato lungo questi suoi anni il suo sì. “Io sono di Gesù”: questa sua espressione che egli vedeva esteriormente rivelata dalla veste talare, che gli verrà strappata prima del martirio, manifestava il suo cuore interamente donato. Egli sapeva che in Gesù tutto era suo. Nulla gli poteva essere veramente strappato. Questa è la grandezza del martire. Egli dona il suo corpo e la sua vita mortale perché sa che l’anima, cioè la vita vera, che si esprimerà nel corpo risorto, non gli può essere tolta da nessuno.
Dante Alighieri all’inizio del Purgatorio ha un verso che sento molto vicino alla vicenda di Rolando: «la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara» (Purgatorio, I, 75). La «vesta» è il corpo. Nel caso di Rolando è anche la sua veste talare che brillerà nella resurrezione di una luce abbagliante e festosa.
Il martirio di Rolando Rivi, riconosciuto ora dalla Chiesa, non è la vittoria di una parte su un’altra, è la vittoria della fede. Secondo l’espressione di san Giovanni: «Questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (cfr. 1Gv 5, 4). Non è un caso, dunque, anzi è un grande dono che la beatificazione di Rolando possa avvenire in tempi così brevi proprio nell’Anno della Fede. Essa è un invito a riscoprire il dono prezioso della fede, che Cristo ha ottenuto per noi sulla croce, che ci ha raggiunti attraverso il battesimo, ma che noi spesso trattiamo come un dono qualsiasi dimenticandolo o addirittura calpestandolo.
Rolando ottenga allora per tutti noi la gioia della fede, la gioia per l’elezione, un privilegio che non viene dai nostri meriti, ma che per noi suona come responsabilità, invito alla testimonianza, donazione di noi stessi ai nostri fratelli. Il martirio è la forma più alta di povertà ed è perciò la testimonianza più alta della resurrezione. Con Cristo ci sono dati tutti i beni necessari per la vita presente e futura e nello stesso tempo siamo invitati a lasciare ciò che ci ingombra, ciò che rende pesante le nostre giornate, il fardello faticoso dei nostri egoismi, invidie, gelosie, rivalità. Rolando ottenga per tutti noi la scoperta di essere una sola cosa in Cristo. La scoperta della comunione, che fonda la nostra unità non al di là di tutte le nostre differenze, ma godendo dei doni di ciascuno, come ricchezza colorata e varia delle nostre comunità.
Non posso infine dimenticare che Rolando è stato un seminarista del nostro seminario di Marola. Tutto ciò non mi porta innanzitutto a pretendere da lui il dono di un numero sufficiente di preti. Quanti possono essere? Chiedo piuttosto che i giovani abbiano a scoprire che la loro vita stessa è vocazione, è chiamata da Dio a una ricchezza di esperienze positive in alleanza con Lui. Ogni vocazione cristiana ha una sua grandezza di fronte a Dio e agli uomini, ha una sua ragion d’essere e un suo posto. Solo quando abbiamo considerato tutto questo, allora possiamo permetterci di chiedere per l’intercessione del beato Rolando Rivi il dono di vocazioni sacerdotali autentiche, appassionate, pienamente umane e pienamente aperte ai doni dello Spirito.
Possa il nostro beato Rolando ottenere da Dio tutte queste grazie per noi! Da parte nostra iniziamo a pregarlo con più intensità, con maggior fiducia.
Un’apposita commissione da me istituita ci accompagnerà in questo tempo verso la beatificazione.
Tutti di cuore benedico nel Signore Gesù.
Reggio Emilia, 14 aprile 2013 – III Domenica di Pasqua
(Testo tratto dal sito della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla)