Partendo da un rifugio la mattina presto, un sacerdote percorre con passo cadenzato un sentiero di montagna. In silenzio, con il solo rumore del suo respiro, s’inoltra nella neve per iniziare una scalata che lo porterà a raggiungere l’ultima cima. Per don Pablo Domínguez, che amava così tanto la montagna da definirla “un’anticamera del Cielo”, l’ultima cima non è stata quella del Moncayo – l’unica vetta che gli restava da conquistare del Sistema Iberico (catena montuosa che separa la provincia di Saragozza, in Aragona, da quella di Soria, in Castiglia) – ma il Cielo stesso. In quell’ultima escursione, infatti, don Pablo ha incontrato “sorella morte”, così da passare direttamente dalla bellezza e dalla maestosità del creato (“celebrare l’Eucaristia in montagna – diceva – è come celebrarla in un tempio costruito da Dio”) alla gloria del Creatore.
Quando nel 2009 apprese dal telegiornale la notizia della sua morte, il regista Juan Manuel Cotelo rimase colpito: solo pochi giorni prima, infatti, aveva conosciuto don Pablo, al termine di una sua conferenza (il sacerdote insegnava alla facoltà di teologia di San Dámaso, a Madrid), e aveva chiacchierato con lui per pochi minuti. Un incontro avvenuto quasi controvoglia, che Cotelo aveva accettato più che altro per vincere l’insistenza di un amico che continuava a ripetergli: “Devi assolutamente conoscere don Pablo”. La notizia di quella morte improvvisa spinse Cotelo a riguardare il filmato della conferenza, un intervento in cui don Pablo, con uno stile accattivante, parlava del rapporto tra l’uomo e Dio e della “ragionevolezza della fede”.
L’ultima cima parla di questo, della “ragionevolezza della fede”, attraverso il ritratto di un sacerdote che era innanzitutto – e a volte i mass media tendono a dimenticarlo, quando parlano della Chiesa – un uomo. Il documentario è incorniciato dalle parole del regista che, guardando fisso nell’occhio della macchina da presa, presenta la figura atipica, nella sua normalità (è un paradosso, ce ne rendiamo conto), di un sacerdote che semplicemente ha preso sul serio la sua missione; un uomo talmente innamorato di Cristo da essere di conseguenza amante ardente delle necessità e delle fragilità di qualunque essere umano. Nelle interviste, il regista ha raccontato la sua avventura dello spirito e come da cristiano tiepido si sia riappassionato alla vita di fede, proprio grazie alla scoperta di questa figura. “Ero cristiano da sempre – ha raccontato – ma era come se vivessi in cima alle Dolomiti, chiuso nel rifugio di montagna senza mai mettere il naso fuori”. Fondamentale, la differenza tra adesione e conversione: “Se conoscere don Pablo ha provocato in me questo cambiamento, ho pensato che girare un film su di lui potesse avere lo stesso effetto positivo sugli altri”.
Per farlo, Cotelo ha raccolto testimonianze e racconti di quanti hanno avuto a che fare con lui (al suo funerale erano presenti tremila persone, tra cui ventisei vescovi), e ne sono stati colpiti, amati, raggiunti fino nei bisogni più intimi del proprio cuore. Non ne emerge un santino, un’oleografia, né tantomeno un ritratto etereo o spiritualista. “Per credere in Dio – diceva sempre don Pablo – bisogna usare la testa”. Tutto, nel film, parla della semplicità di un incontro, della convenienza della fede, della gioiosa familiarità con Cristo, una familiarità che arrivava fino all’abbraccio della croce (don Pablo aveva problemi cardiaci e due ernie: in sette anni era stato ricoverato in ospedale una quarantina di volte, senza che questo fosse un impedimento a donarsi completamente agli altri). Soprattutto, si parla della disarmante semplicità con cui ognuno di noi può incontrare Cristo nelle circostanze della propria vita. Don Pablo era senz’altro un uomo carismatico, che entrava facilmente in empatia con le persone, ma il documentario è chiaro nel dichiarare che non bisogna possedere doti uniche e particolari per svolgere correttamente la propria missione pastorale. Insomma, è l’essere prete – questo il senso del film – che ha consentito a don Pablo di usare il proprio carisma, e non il contrario. Quando in una trasmissione radiofonica gli chiesero di mettere in ordine d’importanza le sue qualifiche tra: “sacerdote, teologo, filosofo”, don Pablo rispose, “sacerdote, sacerdote, sacerdote”.
L’ultima cima non è un capolavoro del cinema. Diciamolo subito a quanti, spinti a vederlo, ne criticheranno alcuni didascalismi, un montaggio delle immagini e della colonna sonora di livello tutt’altro che eccelso, la presentazione di un personaggio di contorno – un altro sacerdote, a capo di una band di preti rockettari – che desta qualche perplessità, non per il suo zelo apostolico encomiabile ma per i suoi metodi, debitori di gusti musicali da boy-band. Non importa. Questo film non deve vincere la Palma d’oro a Cannes o il Leone d’oro a Venezia, benché il suo autore sia un intellettuale molto più serio, leale e affascinante della maggioranza dei cineasti in circolazione. L’ultima cima è un film che testa lo stato di salute della nostra fede, provocando la nostra ragione. “Se non volete che vi si complichi l’esistenza – ha detto Cotelo prima di una proiezione del film a Milano – siete ancora in tempo per uscire dalla sala. Sì, perché è pericoloso conoscere don Pablo: potreste entrare qui come spettatori e uscire cambiati in qualcos’altro. Il mio invito è a farvi sorprendere e ad aprirvi all’inatteso che accade.”
Quando abbiamo incontrato il regista, ci ha detto – con rispetto e senza atteggiamenti snobistici – di temere i critici come spettatori: “I critici sono necessariamente gli spettatori più severi, perché tendono a scomporre il film nelle sue parti. In questo troverebbero molti difetti, soprattutto nelle musiche e nella fotografia, ma spero che la storia di don Pablo possa andare oltre l’analisi di questi aspetti stilistici”. Ci sono venute in mente le parole di un altro rilevante sacerdote spagnolo, don Julian Carrón, che potrebbero mettere d’accordo i credenti più accesi con i più scafati semiologi: “C’è un metodo più originario e fondamentale, che precede e rende possibile anche quello scientifico: consiste nell’intelligenza del segno, cioè nella capacità di cogliere i nessi tra le cose, di andare oltre quello che appare, di compiere il continuo percorso del segno fino all’origine, al significato. Solo così possiamo veramente conoscere. Solo se ci facciamo veramente colpire dal reale e seguiamo, siamo disponibili a seguire la sua provocazione, possiamo veramente conoscere la realtà nella sua totalità”.
Si tratta, dunque, di cogliere l’intelligenza del segno, cioè di seguire quelle orme nella neve lasciate da don Pablo e, prima di lui, da Gesù stesso (un’immagine che ci evoca un altro sacerdote spagnolo ancora, San Josemaría Escrivá). Ben si adattano alla storia di don Pablo, alla normalità di un uomo serenamente innamorato di Cristo, e a questo piccolissimo film che sta già facendo miracoli, delle parole di Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni”.
Privo del sostegno di case di produzione e distribuzione, e senza spendere neanche un euro in pubblicità, “L’ultima cima” si è diffuso nei cinema spagnoli a macchia d’olio grazie al passaparola. Uscito in sole quattro sale a Madrid, nel giro di dieci giorni era già presente in ottanta sale e, dopo altre due settimane, veniva proiettato in 168 cinema in tutta la Spagna, dove nel 2011 ha vinto il premio del CEC – Premios del Círculo des Escritores CInematográficos (meglio noto come il Cinema Writers Circle Awards) – per il miglior documentario.
E in Italia? Il passaparola ha funzionato anche da noi, anche se più lentamente. Tutto comincia nel 2010 con una prima proiezione all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, e poi una secon
da, nel corso della terza edizione del Fiuggi Family Festival. I giornali e le agenzie ne iniziano a parlare, Rino Cammilleri lo segnala sul suo blog, in uno dei suoi spigolosi antidoti. Poi a maggio del 2011 un’altra proiezione all’International Catholic Film Festival e al Festival Mirabile Dictu, dove vince un altro premio come miglior documentario.
La svolta avviene quando a vedere il film è Francesco Travisi, insegnante di educazione musicale a Firenze, che se ne innamora e decide che farà di tutto per diffonderlo anche in Italia. Si occupa personalmente di curarne una prima edizione italiana sottotitolata, contatta il regista e organizza una prima proiezione a Firenze, baciata da un tale successo da convincerlo a cercare altre strade per portare L’ultima cima in altre città. A fare da cassa di risonanza è il blog di Costanza Miriano, a cui Francesco ha spedito una lettera con un accorato appello a che qualcuno lo aiutasse a proiettare questo strano e splendido film, in altre città oltre Firenze. Le risposte, nell’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI, non si sono fatte attendere.
Le prossime proiezioni del film saranno le seguenti:
15 Aprile 2013, ore 21.00, presso il centro Rosetum, via Pisanello 1, Milano.
22 Aprile 2013, orario da definire, presso Cinema Eden Italia, Viale della Vittoria, 31, Montebelluna, Treviso.
23 Aprile 2013, orario da definire, presso Cinema Eden Italia, Viale della Vittoria, 31, Montebelluna, Treviso.
3 Maggio 2013, ore 20.30, presso il cinema Odeon, piazza Strozzi, Firenze.
7 Maggio 2013, ore 20.30, presso il Multisala LUX, C.so Gramsci, 3/5, Pistoia.
28 Maggio 2013, ore 21.00, presso il Cinema Araceli, Borgo Scrofa, 20, Vicenza
29 Maggio 2013, ore 19.00, presso il Cinema Araceli, Borgo Scrofa, 20, Vicenza
Per proiettare il film nella vostra parrocchia o nel vostro centro culturale, potete scrivere a francesco@infinitomasuno.org
Il programma aggiornato delle proiezioni si trova in: http://www.laultimacima.it/
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Titolo Originale: La ùltima cima
Paese: Spagna
Anno: 2010
Regia: Juan Manuel Cotelo
Sceneggiatura: Juan Manuel Cotelo
Produzione: Infinito mas uno
Durata: 82 minuti
* Per ogni approfondimento http://www.familycinematv.it