Il valore del martirio

Lezione di mons. Camisasca in occasione della beatificazione di Rolando Rivi

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In occasione della beatificazione che si terrà sabato 5 ottobre monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia – Guastalla, ha tenuto sabato 28 settembre 2013 una lezione su Rolando Rivi nell’Aula Magna dell’Università di Reggio Emilia.

Riportiamo di seguito ampi stralci del testo.

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Ecco allora il primo dono che ci viene dalla considerazione della vicenda del piccolo Rolando Rivi. Il suo martirio è per noi il segno più grande della presenza della Chiesa nella nostra terra. È il segno della benedizione di Dio sul nostro popolo. I santi sono questa benedizione e i santi bambini lo sono in modo particolare. Sant’Agostino ha scritto: «Dovunque la Chiesa di Dio si diffonde attraverso i suoi piccoli santi» (Enarratio in psalmos, CXII). I santi bambini, dagli Innocenti uccisi da Erode in poi, sono presenti in ogni secolo cristiano, anche se solo di quelli recenti abbiamo notizie storiche dettagliate.

Nella vicenda di Rolando la prima cosa da cui siamo colpiti è proprio questa, il suo essere bambino: nato nel 1931, entrato in seminario a 11 anni, è ucciso a 14 anni da partigiani comunisti, accecati dal loro odio nei confronti della religione. Dio scegli i piccoli. Mi sono chiesto tante volte le ragioni di questo fatto. E san Paolo mi ha aiutato a capirle. Nella Prima lettera ai Corinti egli parla di se stesso e delle critiche che la comunità di Corinto gli rivolge: “non sai parlare, sei timido e per questo rischi di diventare arrogante”. San Paolo usa un’espressione che getta una luce molto profonda sulla mia domanda: Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono (1Cor 1, 27-28). Quest’ultima frase, soprattutto, mi sembra fondamentale per intraprendere la strada giusta: Dio sceglie i piccoli perché appaia chiaramente che tutto ciò che essi dicono e fanno è opera sua. Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza (Sal 8,3), dice il salmista. Dio non ha bisogno della teologia, non ha bisogno della filosofia né di discorsi sapienti, per usare l’espressione di san Paolo (1Cor 2,1). Ha bisogno semplicemente della testimonianza di cuori innamorati.

Ecco allora il primo elemento che abbiamo notato nella parola “martire” e che ritroviamo anche in Rolando: egli è stato scelto da Dio. Non per suoi meriti, non per sue particolari capacità. Come accadde ai profeti dell’Antico Testamento, la cui unica forza consisteva nell’elezione da parte di Dio e nella fedeltà alla loro vocazione.

Da questo punto di vista, la testimonianza di Rolando è molto singolare. Non ha lasciato nessuna parola scritta. Ciò che di più importante ha lasciato è il suo legame con l’abito talare, cosa piuttosto inconsueta per un ragazzo di quell’età. Per lui tale legame aveva un solo significato: il suo desiderio di dichiararsi di Gesù di fronte agli altri. Potremmo dire che la veste talare era per Rolando il suo μαρτύριον: il segno inequivocabile della verità vissuta, della sua appartenenza a Cristo, la visibilità di tale appartenenza. Ritroviamo, dunque, in questa scelta, anche gli altri aspetti della testimonianza che abbiamo considerato: l’orizzonte universale, pubblico, della propria appartenenza e la fedeltà ad essa anche di fronte al pericolo che tutto ciò comportava.

Rolando aveva uno spirito missionario, aveva più volte espresso il desiderio di diventare un prete missionario. Egli comprendeva in modo naturale, come può farlo un bambino, che la missione non è propria solo di alcuni, ma fa parte della definizione stessa di cristianesimo. Non esiste vita cristiana che non abbia questo respiro cattolico, che non tenda ad abbracciare il mondo intero.

Ai genitori che, proprio il giorno in cui si stava avviando, senza saperlo, verso il martirio, gli chiedevano di togliersi la talare, per paura che potesse suscitare le ire dei partigiani, Rolando rispose: “La veste è il segno che io sono di Gesù”. Sulla sua bocca ricorrevano queste espressioni: “Gesù della mia vita, Gesù del mio cuore”. La sua testimonianza, dunque, più ancora che a delle parole, si riconduce alla semplicità di un abito. Non è un caso che coloro che lo martirizzarono innanzitutto gli tolsero l’abito e ne fecero una palla, con cui giocare davanti al corpo di Rolando.

“Domani un prete di meno”, questa la ragione della sua uccisione. Non una parola del ragazzo, non un suo gesto. Soltanto la sua pazienza che, attraverso la veste, gridava al mondo che Dio è presente, che egli basta a riempire la vita di un uomo, che è bello ed entusiasmante consegnare a lui tutta la propria esistenza. È questo, in fondo, che il mondo non può comprendere. È questo che crea “scandalo”, oggi come allora; allora come 2000 anni fa. È questo che ci insegna Rolando: la gioia di vivere solo per Gesù. La fedeltà a lui: non per opporsi agli altri, ma perché quando si ama qualcuno non si può più vivere senza di lui.

I testimoni degli anni giovanili di Rolando ci hanno raccontato l’assoluta semplicità della sua vita: ragazzo come gli altri, pienamente inserito nella vita dei suoi compagni, amante dello sport, dello sci e del pallone, dei canti, dei giochi. Simpatico, estroso; amante della musica e del canto. Tutte le domeniche accompagnava con l’harmonium la messa nella sua parrocchia. Si sentì chiamato per nome da Gesù, e sentì che Gesù gli chiedeva di donargli la vita per sempre. Riconosceva nella risposta a questa chiamata la sua felicità. Rispose semplicemente ‘sì’, fino all’ultimo sacrificio.

Chi desidera leggere il testo completo può cliccare qui.

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ZENIT Staff

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