“Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare”, scriveva Jorge Luis Borges, il grande scrittore argentino. L’Argentina si affaccia sull’oceano per buona parte della sua estensione ed è quindi normale che il mare sia nel dna della sua gente. Così per l’Italia. Basta osservare una carta geografica per comprendere come la Penisola e il mare siano uniti da un legame indissolubile. Da tempi immemorabili il Mediterraneo è stato un ponte proteso fra i continenti; la via di comunicazione che ha favorito l’incontro fra popoli diversi. Ne troviamo una traccia nell’Odissea di Omero, millecinquecento anni prima di Cristo.
Molto più tardi, verso la fine del primo millennio, sorsero in Italia le grandi Repubbliche marinare che segnarono il passaggio fra il mondo antico e quello moderno. Amalfi, Pisa, Genova, Venezia dominarono sui mari dell’antichità fino a spingersi sulla via d’Oriente. Con i traffici e le merci esportarono anche la nostra lingua e la nostra cultura. E sempre attraverso il mare, viaggiarono gli eserciti per le guerre di conquista…
Durante il Rinascimento, volendo emulare l’esempio di Venezia, anche altri Stati della Penisola puntarono ad avere uno sbocco sul mare. A metà del Cinquecento, Cosimo de’ Medici, divenuto granduca, volle modernizzare il porto di Livorno facendone uno scalo internazionale. Una supremazia commerciale e culturale che si trasmise anche alla diffusione del linguaggio, al punto che molti termini marinari furono mutuati dalla lingua italiana e sono, a tutt’oggi, ancora in uso.
E naturalmente il mare è stato anche una fonte d’ispirazione per la letteratura e la poesia. Nasce così il mito dell’Italia, terra di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori, come recita la scritta scolpita sulla facciata del Palazzo della Civiltà Italiana nel quartiere romano dell’EUR. Ma al di là dell’evidente tono retorico di questa pur celebre scritta, risponde al vero che il mare ha forgiato il nostro dna di popolo e di nazione.
Nell’ambito della poesia italiana, con particolare riguardo al ‘900 letterario, il mare non costituisce, in genere, un autonomo “oggetto” poetico ma piuttosto il tramite per una metafora, per una rappresentazione allegorica dell’esistenza umana, con i suoi turbamenti, i suoi dubbi, la sua spasmodica ricerca di verità che si riflette nel libro della natura e trova voce negli interrogativi d’ordine filosofico e religioso.
Per presentare ai lettori questa ricorrente poetica, abbiamo scelto quattro celebri autori del ‘900 nati e vissuti in città di mare: Eugenio Montale (Genova), Umberto Saba (Trieste), Giorgio Caproni (Livorno), Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto). Tutti ugualmente – e diversamente – sensibili ai richiami e alle seduzioni dell’elemento acquoreo.
MAESTRALE
di Eugenio Montale
S’è rifatta la calma
nell’aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta.
Una carezza disfiora
la linea del mare e la scompiglia
un attimo, soffio lieve che vi s’infrange e ancora
il cammino ripiglia.
Lameggia nella chiaria
la vasta distesa, s’increspa, indi si spiana beata
e specchia nel suo cuore vasto codesta povera mia vita turbata.
O mio tronco che additi
in questa ebrietudine tarda,
ogni rinato aspetto coi germogli fioriti
sulle tue mani, guarda:
sotto l’azzurro fìtto
del cielo qualche uccello di mare se ne va;
né sosta mai: perché tutte le immagini portano scritto:
“più in là”!
(da: Ossi di seppia, 1925)
***
IN RIVA AL MARE
di Umberto Saba
Eran le sei del pomeriggio, un giorno
chiaro festivo. Dietro al Faro, in quelle
parti ove s’ode beatamente il suono
d’una squilla, la voce d’un fanciullo
che gioca in pace intorno alle carcasse
di vecchie navi, presso all’ampio mare
solo seduto; io giunsi, se non erro,
a un culmine del mio dolore umano.
Tra i sassi che prendevo per lanciare
nell’onda (ed una galleggiante trave
era il bersaglio) un coccio ho rinvenuto,
utile forma nella cucinetta,
con le finestre aperte al sole e al verde
della collina. E fino a questo un uomo
può assomigliarsi, angosciosamente.
Passò una barca con la vela gialla,
che di giallo tingeva il mare sotto;
e il silenzio era estremo. lo della morte
non desiderio provai, ma vergogna
di non averla ancora unica eletta,
d’amare più di lei io qualche cosa
che sulla superficie della terra
si muove, e illude col soave viso.
(da: Canzoniere, 1922)
***
TRISTE RIVA
di Giorgio Caproni
Sul verderame rugoso
del mare, la procellaria
esclama con brevi grida
la burrasca lontana.
lo a riva, anzi sul labbro
renoso ove schiuma
salina bava, solo
contemplo e comprendo intanto
il gusto della sua saliva.
(da: Ballo a Fontanigorda, 1938)
***
ALLEGRIA DI NAUFRAGI
di Giuseppe Ungaretti
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
(da: Allegria di naufragi, 1919)
***
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