Raramente Francesco si definisce Papa nei suoi discorsi. Oggi lo ha fatto a più riprese nel lunghissimo discorso – forse il più lungo dell’intero pontificato – ai circa 300 vescovi della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, incontrati nella Cattedrale di S. Matteo Apostolo, a Washington, per celebrare l’Ora Media dopo la cerimonia alla Casa Bianca.
Lo ha fatto, Bergoglio, non per ribadire la sua autorità, bensì per rimarcare l’affetto che il “Vicario di Colui che sulla croce ha abbracciato l’intera umanità” nutre verso tutti i Pastori e per chiunque fa parte del Corpo di Cristo e della grande nazione americana. “Nell’abbracciare con lo sguardo e con il cuore i vostri volti di Pastori, vorrei abbracciare anche le Chiese che amorosamente portate sulle spalle”, esordisce il Pontefice.
“Il cuore del Papa si dilata per includere tutti”, aggiunge. Proprio tutti: “dalle grandi metropoli della costa orientale alle pianure del midwest, dal profondo sud allo sconfinato ovest”, che “nessun membro del Corpo di Cristo e della nazione americana si senta escluso dall’abbraccio del Papa”. Tantomeno “il Papa sia un mero nome abitudinariamente pronunciato, ma una tangibile compagnia”. Sappiate – assicura infatti Francesco – che “quando una mano si tende per compiere il bene o portare al fratello la carità di Cristo, per asciugare una lacrima o fare compagnia ad una solitudine, per indicare la strada ad uno smarrito o risollevare un cuore ormai infranto, per chinarsi su uno che è caduto o insegnare a chi è assetato di verità, per offrire il perdono o guidare ad un nuovo inizio in Dio… sappiate che il Papa vi accompagna e vi sostiene, poggia anch’Egli sulla vostra la sua mano ormai vecchia e rugosa ma, per grazia di Dio, ancora capace di sostenere e di incoraggiare”.
Il Santo Padre si dice quindi grato a Dio “per il dinamismo del Vangelo che ha consentito la notevole crescita della Chiesa di Cristo in queste terre”, e anche per la “generosità e solidarietà” della Chiesa statunitense verso la Sede Apostolica e l’evangelizzazione in tante “sofferte” parti del mondo. Non manca pure l’apprezzamento “per l’indomito impegno” della Chiesa americana “per la causa della vita e della famiglia”, come pure “lo sforzo ingente di accoglienza e di integrazione degli immigrati che continuano a guardare all’America con lo sguardo dei pellegrini che qui approdarono alla ricerca delle sue promettenti risorse di libertà e prosperità”. Un lavoro ammirevole, come lo è pure quello svolto a livello educativo nelle scuole e l’opera caritativa nelle numerose istituzioni.
“Sono attività condotte spesso senza che si comprenda il loro valore e senza appoggio e, in ogni caso, eroicamente mantenute con l’obolo dei poveri, perché tali iniziative scaturiscono da un mandato soprannaturale al quale non è lecito disobbedire”, osserva Francesco. Continua quindi ad elogiare i Pastori americani, soprattutto per il coraggio con cui hanno affrontato “momenti oscuri” del percorso ecclesiale “senza temere autocritiche né risparmiare umiliazioni e sacrifici”, “senza cedere alla paura di spogliarsi di quanto è secondario pur di riacquistare l’autorevolezza e la fiducia”.
Un riferimento neanche troppo implicito ai casi di abusi sessuali da parte del clero che hanno gravato enormemente sulla Chiesa Usa, provocando forti emorragie di fedeli. Si pensi al caso dell’arcidiocesi di Boston e al lavoro di ricucitura del card. O’ Malley. “So quanto ha pesato in voi la ferita degli ultimi anni – dice infatti il Papa – e ho accompagnato il vostro generoso impegno per guarire le vittime, consapevole che nel guarire siamo pur sempre guariti, e per continuare a operare affinché tali crimini non si ripetano mai più”.
Nel corposo discorso Francesco cambia poi tono e parla “come Vescovo di Roma, già nella vecchiaia chiamato da Dio da una terra anch’essa americana”. “Leggendo i vostri nomi e cognomi, osservando i vostri volti, conoscendo la misura alta della vostra consapevolezza ecclesiale e sapendo della devozione che avete sempre riservato al Successore di Pietro, devo dirvi che non mi sento tra voi un forestiero”, dice. “Provengo, infatti, da una terra anch’essa vasta, sconfinata e non di rado informe che, come la vostra, ha ricevuto la fede dal bagaglio dei missionari. Ben conosco la sfida di seminare il Vangelo nel cuore di uomini provenienti da mondi diversi, spesso induriti dall’aspro cammino percorso prima di approdare”.
Tantomeno il Papa parla “da solo”, ma in continuità con quanto i suoi Predecessori hanno donato alla “nazione americana” sin dagli albori; da quando, cioè, all’indomani della rivoluzione venne eretta la prima diocesi a Baltimora. “La Chiesa di Roma vi è sempre stata vicina e non vi è mai mancata la sua costante assistenza ed il suo incoraggiamento”, rammenta il Santo Padre, richiamando anche le visite degli ultimi tre Papi che hanno consegnato “un notevole patrimonio d’insegnamento tuttora attuale, di cui avete fatto tesoro”. Anche Francesco si unisce a questa tradizione, ma non “per tracciare un programma o delineare una strategia”. “Non è mia intenzione”, dice. Tantomeno, aggiunge, “sono venuto per giudicarvi o per impartirvi lezioni”, ma solo per “parlare come un fratello tra fratelli” e indicare “le strade da percorrere”, i “sentimenti da conservare mentre si opera”, e lo “spirito con cui agire”.
Prima di tutto bisogna ricordare che “siamo Vescovi della Chiesa”, la cui gioia più grande è essere “Pastori costituiti da Dio per pascere il suo gregge”, con il “cuore indiviso ed una irreversibile consegna di sé”. Bisogna “custodire questa gioia” senza lasciare che il maligno ruggente come un leone provi a rubarla e divorarla. In particolare, il Papa argentino sintetizza il ministero di ogni vescovo in tre azioni: “pregare, predicare e pascere”. “Non una preghiera qualsiasi – precisa – ma l’unione famigliare con Cristo”, perché “di una tale confidenza con Cristo si nutre la vita del Pastore”. “Non una predicazione di complesse dottrine – soggiunge – ma l’annuncio gioioso di Cristo, morto e risorto per noi”. E “non pascere sé stessi – conclude – ma saper arretrare, abbassarsi, decentrarsi, per nutrire di Cristo la famiglia di Dio”.
“Vegliare senza sosta” è dunque il mandato del Pontefice: sul gregge, elevandosi all’altezza della Croce, che è il solo punto di vista che apre il cuore del Pastore; e su sé stessi, “per sfuggire alla tentazione del narcisismo, che acceca gli occhi del Pastore, rende la sua voce irriconoscibile e il suo gesto sterile”. Al Vescovo, senz’altro, è utile possedere poi “la lungimiranza del leader e la scaltrezza dell’amministratore”. Attenzione però a non scambiare “la potenza della forza con la forza dell’impotenza, attraverso la quale Dio ci ha redenti”. Ai vescovi è, dunque, “necessaria la lucida percezione della battaglia tra la luce e le tenebre che si combatte in questo mondo”, ma guai a loro se fanno “della Croce un vessillo di lotte mondane, dimenticando che la condizione della vittoria duratura è lasciarsi trafiggere e svuotare di sé stessi”.
Ciò non significa “lasciarci paralizzare dalla paura”. “So bene – ammette il Papa – che numerose sono le vostre sfide, che è spesso ostile il campo nel quale seminate, e non poche sono le tentazioni di chiudersi nel recinto delle paure, a leccarsi le ferite, rimpiangendo un tempo che non torna e preparando risposte dure alle già aspre resistenze”. Tuttavia, “siamo fautori della cultura dell’incontro”, e “non per astuta strategia”, bensì “per fedeltà” a Cristo. Il metodo è il dialogo, spiega il Santo Padre: il dialogo “tra di voi, nei vostri Presbiteri”, ma anche con i laici, con le famiglie, con la società. “Non mi stancherei di incoraggiarvi a dialogare senza paura…”, sottoline
a il Papa. “Non abbiate paura di compiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo. Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altro né capire fino in fondo che il fratello da raggiungere e riscattare, con la forza e la prossimità dell’amore, conta più di quanto contano le posizioni che giudichiamo lontane dalle nostre pur autentiche certezze”.
Inoltre, non si addice alle labbra del Pastore il “linguaggio aspro e bellicoso della divisione”; solo “il fascino durevole della bontà e dell’amore” resta “convincente”. Anche perché il mondo ha bisogno di vedere la comunione: “È già tanto dilaniato e diviso… La frammentazione è ormai di casa ovunque”. Perciò, la Chiesa “non può lasciarsi frazionare o contendere”, dice Francesco ad un episcopato da sempre diviso per divergenze di vedute e posizioni. La primaria missione episcopale è invece “cementare l’unità” e vegliare su di essa “custodirla, favorirla, testimoniarla come segno e strumento che, di là di ogni barriera, unisce nazioni, razze, classi, generazioni”.
Un servizio, questo, utile al mondo ma “particolarmente importante per la vostra amata Nazione – osserva Francesco – le cui vastissime risorse materiali e spirituali, culturali e politiche, storiche e umane, scientifiche e tecnologiche impongono responsabilità morali non indifferenti in un mondo frastornato e faticosamente alla ricerca di nuovi equilibri di pace, prosperità ed integrazione”.
È, pertanto, essenziale che ai potenti Stati Uniti d’America venga offerto “l’umile e potente lievito della comunione”, quale “faro” nel denso buio della vita della gente che non può spegnersi. Il Papa sollecita quindi i vescovi ad “affrontare le sfide del nostro tempo”. Che non sono poche: “Le vittime innocenti dell’aborto, i bambini che muoiono di fame o sotto le bombe, gli immigrati che annegano alla ricerca di un domani, gli anziani o i malati dei quali si vorrebbe far a meno, le vittime del terrorismo, delle guerre, della violenza e del narcotraffico, l’ambiente devastato da una predatoria relazione dell’uomo con la natura”. In tutto ciò, afferma, “è sempre in gioco il dono di Dio, del quale siamo amministratori nobili, ma non padroni….”.
“Non è lecito – sottolinea infatti Bergoglio – evadere da tali questioni o metterle a tacere”. Perché sono essi “aspetti irrinunciabili della missione della Chiesa”. Specie quella degli Stati Uniti, che il Papa esorta ad essere “un focolare umile che attira gli uomini mediante il fascino della luce e il calore dell’amore”. “Come Pastori – soggiunge – ben conosciamo il buio e il freddo che ancora c’è in questo mondo, la solitudine e l’abbandono di tanti – anche dove abbondano le risorse comunicative e le ricchezze materiali -, la paura di fronte alla vita, le disperazioni e le molteplici fughe”. Perciò, “solo una Chiesa che sa radunare attorno al ‘fuoco’ resta capace di attirare”. Altrimenti ci si riduce ad essere solo “cultori di cenere e non custodi e dispensatori della vera luce e di quel calore che è capace di riscaldare il cuore”.
Due raccomandazioni, infine, prima di concludere la riflessione. La prima è sulla vicinanza ai sacerdoti. “Accompagnateli – raccomanda il Papa – affinché continuino a servire Cristo con cuore indiviso”; “non lasciate che si accontentino delle mezze misure. Curate le loro sorgenti spirituali affinché non cadano nella tentazione di diventare notai e burocrati, ma siano espressione della maternità della Chiesa”.
La seconda raccomandazione è invece per gli immigrati. “La Chiesa statunitense – dice – conosce come poche le speranze dei cuori dei migranti”, avendo da sempre difeso i loro diritti e continuando tuttora ad accoglierli e assisterli. Ora che questa lunga ondata d’immigrazione latina investe tante diocesi americane, Francesco, “non soltanto come Vescovo di Roma, ma anche come Pastore venuto dal sud”, sente il bisogno di incoraggiare a proseguire questo impegno. “Forse non sarà facile per voi leggere la loro anima; forse sarete messi alla prova dalla loro diversità – ammette -. Sappiate, comunque, che possiedono anche risorse da condividere. Perciò accoglieteli senza paura. Sono certo che, ancora una volta, questa gente arricchirà l’America e la sua Chiesa”.