Esercizi spirituali, mass media e società

Volume sugli esercizi di Sant’Ignazio di Loyola e la comunicazione

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di Miriam Díez i Bosch

ROMA, martedì, 12 maggio 2009 (ZENIT.org).- Gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio “sono un potente antidoto contro il logorio della fretta, del materialismo, della superficialità, dei rapporti ‘liquidi’”. È quanto afferma in questa intervista il gesuita p. Tiziano Repetto, confessore presso il santuario del Divino Amore a Roma e in altre Basiliche pontificie e autore di un nuovo libro sugli esercizi spirituali nell’età dei media. E’ anche un sacerdote esorcista della Diocesi di Roma.

P. Repetto, che insegna Sociologia della Comunicazione e Omiletica presso l’Istituto Teologico San Pietro di Viterbo, scrive abitualmente su vari blog e forum cattolici. Ha studiato comunicazione alla Pontificia Università Gregoriana, presso il Centro Interdisciplinare sulle Comunicazioni Sociali (www.unigre.it).

Nel volume cerca di proporre gli Esercizi Spirituali Ignaziani (ESI) come una scuola di vita in alternativa alle correnti gnostiche new age.

Il libro “Esercizi spirituali, mass media e società. Questioni socio-comunicative nel testo di Sant’Ignazio di Loyola” è stato pubblicato da www.santuariodivinoamore.it.

Gli Esercizi Spirituali Ignaziani sono un patrimonio spirituale dell’umanità, ma hanno concorrenza: new age, altre pratiche… Perché la gente non li preferisce rispetto ad altre vie?

P. Repetto: Diciamo che è lo stesso motivo per cui un concerto, per esempio, di Carmen Consoli attira più giovani della Messa domenicale… Ambedue gli eventi parlano di argomenti importanti: amore, vita, morte, speranza, etc., ma mentre il concerto parla di questi argomenti in una prospettiva terrena, spettacolare, la S. Messa li tratta in una prospettiva spirituale e religiosa. Si può pensare che quanto è terreno, materiale, legato alla corporeità sia di fatto più attraente di quello che riguarda l’anima, lo spirito, che non si vedono. Attira di più quello che si può annoverare tra il materiale di quello che è ascritto allo spirituale.

La new age, le altre pratiche pseudo-spirituali sono più attraenti perché destrutturate, informali; ciascuno nella new age si fa la religione che vuole, non vi sono dogmi, non è richiesto alcuno “sforzo” di fede, e sono legate alla materia, all’universo. Il dio della new age è gassoso e invertebrato, rispetto invece a una religione con verità forti e dogmi come quella cattolica.

Credere allo Spirito Santo è più difficile che non credere che un albero sia lo “spirito guida” di qualcuno, o che un sasso sia l’amuleto della fortuna, come afferma la new age, perché l’albero e il sasso possono essere visti e toccati.

Allo stesso modo, gli esercizi di ascesi cristiana alla maniera di Ignazio di Loyola sono più spirituali di quelli che potrebbero essere proposti da altre religioni. A questo si aggiunge il fatto che il cristianesimo fu visto come la religione antimoderna, retriva, conservatrice, antiscientifica. Ma non è così ovviamente. Quello che fecero i Papi per la ricerca culturale non fu fatto da altri sovrani europei: l’università La Sapienza di Roma, per esempio, fu fondata dai Pontefici. E recentemente, Papa Benedetto non ha potuto entrarvi…

Infine, gli ESI si fanno in silenzio e restare in silenzio per diversi giorni è estraniante, può essere insopportabile perché si sta da soli con se stessi e con Dio, ci si trova davanti a se stessi completamente e senza giustificazione, si pensa, si riflette, si prega

Come si rileggono gli Esercizi Spirituali Ignaziani alla luce della postmodernità?

P. Repetto: A mio parere sono un potente antidoto contro il logorio della fretta, del materialismo, della superficialità, dei rapporti “liquidi”.

Si tratta di un patrimonio derivante da pratiche antichissime e rilette e codificate in chiave cristiana da Ignazio di Loyola, un modo per ricercare e affermare una verità assoluta, che di questi tempi risulta scomodo e marginale, ma si sa, oggi la Verità non è più di moda, contano molto di più le opinioni, magari rubate, e ciascuna di esse viene assurta a verità, il cellulare in mano ci fa sentire padroni dell’universo perché premendo un tasto possiamo raggiungere chiunque.

Ora, gli ESI sono una forma efficace di “digiuno dei sensi”, obnubilati, ipertrofizzati dai mass media: l’immaginazione applicata alla meditazione, il silenzio, etc.; sono un modo di riequilibrare la nostra percezione spesso distorta. Gli ESI possono diventare una filosofia di vita, il che per noi cristiani non è inaudito perché i primi cristiani venivano chiamati proprio “filosofi”.

Se mi è consentita una metafora, gli ESI sono come un’icona bizantina, che con le forme sobrie e nessuna concessione alla sensualità costituiscono un metodo di preghiera e digiuno della sensualità. Sono anche, a mio parere, una forma di iniziazione cristiana, per le caratteristiche di silenzio, di svolgimento in un luogo appartato, per il contatto con la divinità, che si accompagna con l’iniziazione cristiana tradizionale che è la Cresima.

Cosa hanno in comune i mass media e la sobrietà del linguaggio ignaziano?

P. Repetto: Penso nulla, se ci fermiamo alle modalità dei linguaggi. Ma molto, invece, se pensiamo che i moderni media stanno conducendo a una sorta di oralità secondaria come sosteneva McLuhan e prima di lui Ong. Ossia i nuovi media, per le loro caratteristiche di elevata interattività, hanno molte delle caratteristiche della comunicazione orale, come avveniva prima, molto prima, che si inventasse la stampa a caratteri mobili.

Il testo ignaziano in sé è squisitamente orale, sopravvive oralmente pur essendo codificato in forma scritta – perché all’esercitante viene sconsigliato di leggerlo – e vive e si propaga in colui che dà gli ESI.

Questo, a mio parere, spiegherebbe anche il successo che hanno gli ESI dati attraverso proprio i nuovi media: meditazioni date tramite skype, o mediante I-pod, siti web per condividere le esperienze degli esercitanti, e simili. Un mio confratello, tramite skype, dà regolarmente con buoni risultati esercizi a esercitanti che risiedono in Romania e la domanda è sempre crescente.

Come si può parlare oggi di consolazione e desolazione con metafore mediatiche?

P. Repetto: La consolazione, dal latino “cum solus” significa essenzialmente “stare assieme”, ossia io mio trovo assieme ad altri, ma cambia la modalità del nostro essere “ekklesia” ossia “assemblea”. In una chat, il mio corpo sta nella mia stanza, ma la mia mente, la mia coscienza, dove stanno? In un luogo virtuale assieme ad altre menti ad altre coscienze. Quindi, che tipo di essere si sta formando? Un essere virtuale? Questo tipo di scrittura interattiva inoltre supplisce all’annosa questione posta da Platone: la scrittura impediva la ricerca della verità con la discussione. Ma ora in un qualsiasi forum o chat si può cercare la verità scrivendo e ribattendo in tempo reale.

La desolazione è l’altra faccia della medaglia, indissolubilmente legata alla consolazione, è lo stare solo, de-solato. Desolazione oggi è dipendenza da un monitor, da un sito pornografico, da un videogame. Come prete, incontro diversi giovani che hanno queste forme di moderna dipendenza che vivono come peccato.

I nuovi media forse non producono solitudine, ma la rendono assai gradevole. In questo senso si parla di desolazione, desolazione come solitudine piacevolizzata e teorizzata.

Quindi, ogni consolazione virtuale dovrebbe avere come logica conseguenza l’incontro reale, dovrebbe avere come modello il Verbo, in questo caso il verbo virtuale, che si fa carne, il “nickname” che assume la forma di un essere umano, un altro da me, una virtualità virtuosa.

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ZENIT Staff

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