ROMA, martedì, 5 dicembre 2006 (ZENIT.org).- A conclusione della Conferenza Internazionale su “Gli aspetti pastorali della cura delle malattie infettive”, organizzata dal 23 al 25 novembre dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, ZENIT ha intervistato il dottor Paolo Gulisano, scrittore e medico epidemiologo, autore di un volume di recente pubblicazione dal titolo “Pandemie. Dalla peste all’aviaria: storia, letteratura, medicina” (Editrice Ancora, pag. 130, Euro 9).
Dottor Gulisano, cosa sono le epidemie?
Gulisano: Si definisce epidemia una malattia contagiosa che colpisce quasi simultaneamente una collettività di individui con una ben delimitata diffusione nello spazio e nel tempo. Affinché si sviluppi un’epidemia è necessario che il processo di contagio tra le persone sia abbastanza facile. Epidemie e pandemie sono dunque manifestazioni collettive di una determinata malattia, con implicazioni sociali significative.
Il sottotitolo del suo volume, “dalla peste all’aviaria: storia, letteratura e medicina”, ci dà l’idea di un lungo percorso storico, culturale e perfino psicologico dell’uomo nel suo rapporto con le malattie infettive…
Gulisano: Nel corso della sua storia, l’umanità ha dovuto affrontare più volte la minaccia delle infezioni, delle stragi causate da un responsabile microscopico e sconosciuto, e la nostra memoria ancestrale conserva forse ancora tracce del terrore antico delle pestilenze. Dalle citazioni della Bibbia alle descrizioni di Tucidide e Lucrezio, dalla “Morte nera” medievale fino alla peste del ‘600, per giungere infine al ‘900 con le speranze suscitate da una scienza medica che sembrava destinata a trionfare su virus e batteri grazie a farmaci e vaccini, ma che si ritrova oggi ad affrontare nuovi ed inquietanti pericoli, la storia delle pandemie ci racconta della difficile coesistenza tra l’uomo e i virus.
Nell’Occidente contemporaneo la mortalità dovuta a malattie infettive, ossia trasmissibili, è in percentuale meno dell’uno per cento. Di fatto si muore per malattie cronico-degenerative, come i disturbi cardiocircolatori, le malattie respiratorie, i tumori. Una importante causa di morte è rappresentata anche dagli incidenti, che costituiscono la prima causa di morte nei giovani al di sotto dei venticinque anni, seguita al secondo posto – è triste dirlo – dai suicidi. Questo è ciò per cui si muore oggi in Italia, in Europa e nel mondo occidentale. Eppure nessun dato sulla mortalità da tumori, da infarti, da ischemie cerebrali o da incidenti del traffico è in grado di determinare il panico collettivo suscitato dalla sola possibilità che ci si possa ammalare di influenza (non di peste o di AIDS, si badi bene) mangiando del pollo.
Perché l’uomo teme tanto le malattie trasmesse dai virus? Cosa rappresenta il timore del contagio? Cosa realmente è accaduto nella storia, e perché ai giorni nostri le malattie trasmissibili rappresentano ancora una minaccia così sconvolgente?
Gulisano: Sono interrogativi che ci si deve porre, che è inevitabile porsi in particolare quando ci si ricorda che nella storia si sono verificate numerose pandemie, dagli esiti culturali e sociali spesso gravi e imprevedibili. Non parliamo solo delle memorabili pestilenze dell’antichità, ma anche di eventi molto vicini a noi, fra cui la citata “spagnola”, e di minacce recentissime se non addirittura ancora incombenti, come l’AIDS, la tubercolosi, i virus africani. Oggi è l’influenza aviaria che ha scatenato un’autentica psicosi collettiva, ma domani potremmo confrontarci con altre minacce, ipotetiche o reali..
Ma ci sarà davvero la paventata grande pandemia prossima ventura? Perché se ne è parlato tanto? E’ il frutto delle pessimistiche previsioni di profeti di sventura, che di tanto in tanto paventano scenari apocalittici con un’umanità dimezzata da un virus sconosciuto, o sono coinvolti nell’affaire pandemie anche interessi molto concreti e poco nobili?
Gulisano: La malattia nella nostra civiltà è solitamente avvertita come un problema individuale, personale, un confronto tra una persona e un evento negativo che viene a turbarne l’equilibrio, la quotidianità, a minacciare la vita stessa. Per questo fa tanta paura la malattia trasmissibile e facendo leva su queste paure è possibile indurre vere e proprie psicosi collettive. Ma accanto alle pandemie-fantasma non bisogna dimenticare quelle piaghe che realmente affliggono l’umanità e che il Convegno Vaticano ha sottolineato: tubercolosi, malaria, AIDS.
Quali sono le grandi sfide della medicina contemporanea?
Gulisano: Il compito del curare ha ogni giorno a che fare con il singolo segnato dalla malattia nel suo corpo e nel suo spirito. Attraverso il ricorso a tutte le scienze e le tecniche di cui – con genialità – la moderna medicina ha saputo appropriarsi, il lavoro quotidiano in questo ambito mette, anzitutto, in campo il rapporto di un io con un tu. Poche professioni si trovano al centro della realtà e al cuore dell’io, come quelle legate al mondo della medicina, e la sua ragion d’essere è dunque il paziente, con la sua domanda di salute.
Cosa c’è al cuore di questa domanda, come interpretarla? Senza raccogliere per intero la domanda del paziente non si può porre un atto terapeutico adeguato, e ciò con tutte le conseguenze relative; ciò era ben noto nella tradizione in cui nacque e si sviluppò l’Hospitale cristiano, dove la pratica terapeutica era il risultato di una fusione di scienza e saggezza. E’ lecito chiedersi se questo valga anche oggi, se sia cioè possibile curare con una simile prospettiva, e la risposta è un importante elemento di riflessione, specialmente alla luce di recenti episodi in cui la medicina sperimentale sembra arrogarsi diritti e pretese assoluti sulla vita e sulla morte, che si vorrebbe definitivamente sconfitta, e che è sentita come un incidente di percorso che si può e si deve correggere. Questa deriva utopica è nello stesso tempo madre e figlia dell’ideologia salutista oggi dominante, e che trova la sua antitesi nel ruolo del medico che si prende cura del malato, un ruolo importante e fondamentale.