ROMA, sabato, 16 dicembre 2006 (ZENIT.org).- Il discorso pronunciato il 6 novembre da Benedetto XVI ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze ha suscitato un approfondito dibattito.
 
A questo proposito in una intervista rilasciata a ZENIT, il professor Enzo Casolino, già Direttore della Biblioteca Centrale e attuale Dirigente di ricerca del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), ha sostenuto che fede e carità sono decisive per sostenere e alimentare la ricerca scientifica.
 
In merito all’invito del Pontefice, affinché filosofia e la teologia possano fornire un contributo alla risoluzione dei problemi epistemologici della scienza, il professor Casolino ha affermato che: “L’apertura della scienza ai profili metafisici della realtà non può che essere benefica per la scienza stessa”.

E allo stesso tempo, ha aggiunto, “una più stretta frequentazione tra scienza e fede è suscettibile di portare frutto alla stessa fede, soprattutto per gli aspetti in cui il pensiero scientifico può aprire più vasti orizzonti alla riflessione teologica”.
 
Il già Direttore della Biblioteca del CNR ha precisato che: “Restando inteso che l’illuminazione della mente umana per via della scienza, della filosofia, come pure per via della stessa teologia non può sostituire ciò che dall’Alto proviene mediante la fede, pur tuttavia molte acquisizioni del pensiero scientifico – così come arricchiscono l’ambito della speculazione filosofica – arricchiscono parimenti  i profili della necessaria coerenza tra il concetto partorito dalla ragione e il Mistero, anche se, ovviamente, non possono spiegarlo appieno”.
 
“Per citare qualche esempio – ha continuato il professor Casolino – le implicazioni spazio-temporali della teoria della relatività risultano indubbiamente più convincenti per la conciliabilità tra 'libero arbitrio dell’uomo e predestinazione'. Come pure la fisica atomica contribuisce ad adombrare razionalmente il mistero della 'transustanziazione' forse meglio dell’ilemorfismo di Aristotele e Tommaso”.

“Indubbiamente questi spunti richiedono ben altri approfondimenti, ma convergono  tutti a far ritenere che una più stretta frequentazione tra pensiero scientifico e speculazione teologica [Veritatis splendor, 109] – entrambi illuminati dalla Fede – porterebbe frutti per tutti i settori e livelli della conoscenza umana, anche quella più prossima al Sacro”, ha aggiunto. 
 
E' opinione comune che la Chiesa sia contro le innovazioni scientifiche. Lei che ne pensa?

Casolino: Riguardo all’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle attività  scientifiche non sembra che si registri un’opinione comune circa una presunta opposizione della Chiesa riguardo alla scienza e alla tecnologia. E’ questa piuttosto la tesi di alcuni diffusi quotidiani nazionali – e non quindi di tutti i settori della stampa – che tentano di accreditare, in particolare in questi ultimi tempi, l’idea che la Chiesa tema il progresso scientifico in quanto elemento potenziale di scardinamento della fede. Ma questo fenomeno, a ben guardare – dopo le esasperazioni razionalistiche di due secoli or sono – si è accentuato solo da qualche anno allorquando – con il progredire della genetica – si sono consolidate le linee di un poderoso mercato farmaceutico-sanitario legato alla commercializzazione delle cellule staminali, delle clonazioni di embrioni a scopo terapeutico, e così via.
 
Cosa pensano i ricercatori del modo in cui la Chiesa promuove la ricerca scientifica?

Casolino: All’interno del mondo scientifico invece le atmosfere sono molto più tranquille dato che nessuno scienziato crede in buona fede che il suo prodotto scientifico – e tutto il patrimonio mondiale della ricerca scientifica – possa dare risposte esaustive e/o definitive all’uomo. E’ comune opinione invece, proprio grazie al progresso della scienza, che – secondo quanto intuì Popper – l’interpretazione degli eventi naturali è veramente scientifica solo in quanto è intrinsecamente non definitiva in quanto essenzialmente “falsificabile”. Su tale base, anche lo scienziato più fideista riguardo al contributo della scienza e alla superiorità culturale del metodo scientifico è portato a ritenere che tale caratteristica non possa mutare neppure per il futuro, per cui anche tutta la ricerca futura non potrà mutare questa sua connotazione di relatività.
 
In questo contesto lo scienziato – che per sua natura possiede una personalità indotta a documentarsi riguardo a fatti e concetti, eventi e teorie – non può non rinvenire nei numerosi documenti del Magistero [Fides et ratio, ad esempio, per non risalire alla Ecclesiam suam, alla Gaudium et spes e alla Pacem in terris] un fondamentale rispetto e apprezzamento da parte della Chiesa e del suo Magistero per la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica, apprezzamento determinato dalla constatazione che esse sono di per sé espressioni nobili dell’immagine divina trasmessa da Dio all’uomo.
 
C’è quindi un interesse da parte degli scienziati nei confronti della visione del mondo dei cristiani?

Casolino: Lo scienziato, anche quello ateo, è per sua formazione aperto al mistero (vale a dire aperto sia all’ignoto che al non conoscibile), a quel mistero a cui – al termine del suo percorso scientifico - amava riferirsi Einstein: "The most beautiful thing we can experience is the mysterious – it is the source of all true art and science" [Nature, 9.4.2005].  Semmai, lo scienziato – miscredente rispetto alle sue stesse “certezze scientifiche” – è portato a confrontarsi con ogni apporto culturale, compreso quello che gli proviene dalla Rivelazione, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, pur non riconoscendo ad esso carattere di assolutezza, in quanto è portato ad attribuire carattere di relatività anche all’universo metafisico e a quello religioso. E su questo punto richiede rispetto della sua posizione.
 
La Chiesa, da parte sua dice a tutti, anche allo scienziato non cristiano, che “la scienza, la tecnica e specialmente il lavoro umano si fanno per noi oggetto di vivissimo interesse; e il pane che ne risulta diventa sacro per la mensa e per l'altare [Ecclesiam suam]. Per lo scienziato credente la fede invece contribuisce ad arricchire e a consolidare la stessa prospettiva scientifica, evitando di farla debordare nello scientismo – con tutti i danni conseguenti per il progresso scientifico stesso (come avvenne, ad esempio, nel periodo del positivismo conclamato) creando confusione tra i “due ordini di conoscenza” [De Filius, IV DS 3015; Fides et ratio, 9], ma acquisendo da essa le direttrici fondamentali per interpretare nell’ordine naturale la mano del suo Ordinatore.
 
Ma in più, lo scienziato cristiano sa bene che “la scienza senza la carità, inorgoglisce, e distrugge, mentre la scienza unita alla carità, costruisce” [Cor, I, 8, 2].
 
Cosa c’entra la carità con la scienza?

Casolino: Il necessario rapporto tra “scienza e carità” o, in ottica laica, il rapporto tra “ricerca e società” induce ad approfondire il discorso sull’etica dello scienziato, andando così ad allargare – senza contraddirle – le analisi sulle relazioni esistenti tra scienza e fede. E a questo proposito c’è da dire che la purezza della scienza non purifica di per sé gli scienziati: e ciò trova riscontro anche alla luce di un mero criterio di etica laica.
 
Oggi la modalità ordinaria di fare ricerca non è più quella ideale, ottocentesca, quella che voleva lo scienziato singolo posto di fronte alla sua idea, al suo esperimento. La ricerca oggi ordinariamente viene svolta in gruppo, con ambiti decisionali ripartiti tra soggetti diversi spesso fisicamente lo calizzati in punti svariati del globo; il suo finanziamento risponde a logiche imprenditoriali, e sempre più spesso a mere logiche di mercato, non solo quando viene svolta presso le imprese ma ormai anche presso le istituzioni pubbliche di ricerca e universitarie.
 
Questo tipo di organizzazione, stante la mancanza quasi assoluta di correttivi (del tipo dei comitati di bioetica, ad esempio) produce oggettivamente la deresponsabilizzazione dello scienziato sotto il profilo etico e ancor più sotto quello morale. Sta il fatto che, anche in termini di mera etica laica, il progetto di ricerca  non viene di norma sottoposto a verifica preventiva né successiva di compatibilità ambientale, ad esempio, oppure di ecosolidarietà con i paesi in via di sviluppo, o di responsabilità transgenerazionale, e così via. Né la situazione è sostanzialmente differente quando la sua ricerca verte sui confini della vita (l’embrione e il malato terminale) vale a dire a cospetto delle espressioni più deboli della sacralità umana [Evangelium Vitae, 81].
 
Cosa accade alla ricerca che manca di etica?

Casolino: In assenza di una forte componente etica, il ricercatore è portato a privilegiare il potere forte che finanzia la ricerca il quale tende a inoculargli il convincimento che le manipolazioni estreme vanno realizzate principalmente per motivi umanitari. E, di fronte alle resipiscenze di una coscienza più rigorosa, ormai c’è sempre un altro scienziato o tecnologo pronto ad andare oltre.
 
Quindi al di là del richiamo del Magistero per il rispetto della vita, cresce l’obbligo per gli stessi scienziati laici di creare le condizioni culturali e organizzative per sviluppare le articolazioni concrete della valutazione etica, della ricerca scientifica e  individuare gli snodi cruciali per evidenziare la responsabilità dello scienziato: tutto questo nell’interesse della stessa scienza e della sua integrità intellettuale.