“Seguo con viva preoccupazione quanto sta accadendo in Medio Oriente, dove a spiragli di soluzione delle crisi che travagliano la regione si alternano tensioni e difficoltà che fanno temere nuove violenze”, ha detto di fronte a più di 40.000 pellegrini presenti in piazza San Pietro in Vaticano dopo aver recitato l’Angelus questa domenica.

“Una speciale menzione merita il Libano – ha sottolineato –, sul cui suolo, oggi come ieri, sono chiamati a vivere insieme uomini differenti sul piano culturale e religioso, per edificare una nazione di dialogo e di convivenza e per concorrere al bene comune”.

“Condivido perciò, di fronte ai recenti avvenimenti, le forti apprensioni espresse dal Patriarca [di Antiochia dei Maroniti, ndr.], Sua Beatitudine il Sig. Cardinale Nasrallah Boutros Sfeir, e dai Vescovi maroniti nel Comunicato che hanno reso pubblico mercoledì scorso”, ha proseguito.

“Insieme a loro, chiedo ai libanesi e ai loro responsabili politici di avere a cuore esclusivamente il bene del Paese e l’armonia tra le sue comunità, ispirando il loro impegno a quell’unità che è responsabilità di tutti e di ciascuno e richiede sforzi pazienti e perseveranti, insieme a un dialogo fiducioso e permanente”, ha detto il Papa.

Benedetto XVI ha anche auspicato che “la Comunità internazionale aiuti ad individuare le urgenti soluzioni pacifiche ed eque necessarie per il Libano e per l’intero Medio Oriente, mentre invito tutti alla preghiera in questo grave momento”.

In un messaggio letto alle esequie di Pierre Gemayel, Ministro libanese dell’Industria – cristiano maronita di 34 anni – ucciso a Beirut il 21 novembre, il Papa ha chiesto un Libano “autonomo e sempre più fraterno” e ha confessato il suo turbamento per quell’“atto inqualificabile”.

“Di fronte alle forze oscure che cercano di distruggere il Paese – ha detto il Pontefice nell’udienza generale del 22 novembre –, invito tutti i Libanesi a non lasciarsi vincere dall'odio bensì a rinsaldare l'unità nazionale, la giustizia e la riconciliazione, e a lavorare insieme per costruire un futuro di pace”.

Il perché dell’appello maronita

Nel Paese proseguono le tensioni politiche e, come avvertiva giovedì scorso l’emittente pontificia, l’opposizione filo-siriana e Hezbollah [movimento armato – fondamentalista – sciita libanese], già scesi in strada nei giorni precedenti, hanno convocato una nuova manifestazione questa domenica a Beirut contro il Governo del Primo Ministro Fouad Siniora, sostenuto dall’Occidente e dai Paesi arabi moderati.

In questo contesto, i presuli maroniti hanno lanciato mercoledì un nuovo appello per la pacificazione del Paese.

“Non vediamo altra soluzione che tornare alle istituzioni costituzionali, e per queste intendiamo il Parlamento, il quale dovrebbe risolvere la crisi di governo”, ha spiegato giovedì alla “Radio Vaticana” il Vescovo di Byblos dei maroniti, monsignor Béchara Raϊ.

“Non possiamo lasciare che siano le manifestazioni di piazza a risolvere i nostri problemi. Bisogna agire attraverso le istituzioni”, ha aggiunto. “Le manifestazioni servono per esprimere opinioni; in ambito democratico, però, le soluzioni devono essere prese attraverso le istituzioni”.

“Temiamo una guerra tra sunniti e sciiti, a causa di una ripercussione del conflitto in Iraq – ha sottolineato il presule –. Abbiamo quindi lanciato questo appello, perché se le manifestazioni continueranno c’è questo pericolo di scontro tra sunniti e sciiti”.

Monsignor Raϊ ha affermato che la difficile situazione del Libano subisce ripercussioni esterne legate alla complessità delle condizioni dell’intera regione. “Si dice che Hezbollah è legato, nelle sue decisioni, alla Siria e all’Iran; loro negano. Ma non basta negare con le parole, bisogna negare con i fatti”.

“I fatti sono quelli di non continuare l’opposizione nelle strade, distruggendo tutto. Si tratta di una distruzione economica, sociale e politica, non solo di manifestazioni. Le ripercussioni e le conseguenze sono nefaste”.

Per questo “bisogna tornare tutti alle istituzioni costituzionali, dove ciascuno è rappresentato e non provocare la paralisi completa della vita economica, politica e sociale del Paese”, ha indicato.

Da parte sua, la Chiesa si sta impegnando in questo momento, “e tramite la buona volontà, che non manca, cerca di creare una corrente di unità e di comprensione”.

L'ultima scintilla

Il Presidente libanese Emile Lahoud ha lanciato accuse di mancanza di legittimità al Governo del Primo Ministro Siniora.

Lahoud ha deciso di non ratificare l’approvazione da parte del Governo di Siniora della bozza di statuto per il Tribunale di carattere internazionale chiamato a giudicare i responsabili dell’assassinio dell’ex Primo Ministro Rafic Hariri nel 2005, secondo quanto ha riferito l’agenzia ufficiale libanese “Nna”, la cui nota è stata raccolta questa domenica dal quotidiano “Avvenire”.

In una lettera al Segretario Generale dell’ONU, il filo-siriano Lahoud definisce “incostituzionale” e quindi “priva di ogni valore” la decisione adottata il 25 novembre dal Governo di Siniora, espressione della maggioranza parlamentare anti-siriana.

Lahoud sostiene che il Governo non abbia legittimità dopo le dimissioni dell’11 novembre dei cinque Ministri dei movimenti sciiti Hezbollah e Amal, e di un sesto Ministro greco-ortodosso, e ritiene che solo un nuovo Governo “legittimo e costituzionale” potrà adottare una decisione sulla bozza di statuto del Tribunale Hariri.

Seguendo la Costituzione libanese, il disegno di legge per la formazione del Tribunale Hariri – sottolinea “Avvenire” – può tornare all’esame del Parlamento, che potrebbe approvarlo nonostante la mancanza di ratifica di Lahoud.

Divide tuttavia i costituzionalisti il tipo di maggioranza che sarebbe necessaria per un atto simile. Nel frattempo, la crisi che affronta l’opposizione guidata da Hezbollah e la maggioranza parlamentare anti-siriana rende, almeno per il momento, improbabile la convocazione del Parlamento, e prosegue la pressione nelle strade sul Governo di Siniora.

L’opposizione libanese reclama nelle manifestazioni – chiedendo le dimissioni di Siniora – la formazione di un Governo di unità nazionale con un numero di Ministri che le permetta di avere il potere di veto. Da parte sua, il Primo Ministro accusa Hezbollah di preparare un colpo di Stato.