Marco Balzano, nato nel 1978 a Milano, dove vive e lavora come insegnante di Liceo, ha esordito nel 2007 con una raccolta di poesie. Ne L’ultimo arrivato (1) emerge l’antica passione, non solo per i continui riferimenti a Giovanni Pascoli (2) ma soprattutto perché il sogno da bambino del protagonista Ninetto Giacalone, confidato durante un colloquio notturno ad uno dei suoi compagni di cella qualche decennio dopo, sarebbe stato proprio quello di fare il poeta.
E’ in questo scambio di battute, il senso di un percorso di vita impervio che nel racconto di Balzano prende spunto da una indagine sul campo, fatta intervistando decine di uomini che nell’immediato dopoguerra, ancora in età scolare, sono stati mandati dalle loro famiglie, dal profondo sud, a lavorare nelle città del triangolo industriale del nord (“il lavoro, in quegli anni, e anche in quelli dopo, non mancava mai. Potevi permetterti di mandare pure il padrone a farsi fottere, lui e tutta la sua razza, che uscivi disoccupato il venerdì e il lunedì avevi rimediato da un’altra parte”, così il pensiero di Giacalone).
Il protagonista lascia a dieci anni la Sicilia, con una madre inferma e un padre ormai perso in una quotidiana sopravvivenza e con un unico vero rimpianto affettivo, il suo maestro elementare Vincenzo. A Milano, prima facchino in bicicletta presso una lavanderia, poi muratore, le serate in una zona ghetto dove vivevano solo meridionali (denominato l’alveare), riesce a trovare una via d’uscita prima, con l’amore per una sua coetanea calabrese che avrebbe sposato e poi diventando operaio all’Alfa Romeo di Arese all’età di quindici anni.
Una moglie (che lo ha comunque aspettato e apparentemente perdonato dopo la detenzione), una figlia, una nipote e una dottoressa che ne segue il reinserimento nella società, dopo il carcere: questo l’universo, tutto al femminile, che troverà dopo gli anni in cella (“entrare e uscire è sempre un attimo. E’ il tempo in mezzo quello senza fine”, così fa dire Balzano a Giacalone).
La difficoltà di trovare – e anche cercare – un qualsiasi lavoro lo porterà a ripercorrere e riconsiderare le scelte avvenute in quei decenni, trascorsi come operaio della catena di montaggio, con una scarsa identità civile ed una ancor meno integrazione sociale. I suoi colloqui fuori casa dopo il carcere, si svolgono quasi sempre con stranieri, quegli stessi stranieri che ora vivono nelle case popolari da lui abitate non appena arrivato a Milano, e che sono gli unici che in qualche modo sembrano ridargli una parvenza di identità pubblica.
La trama narrativa con l’uso sapiente di qualche termine dialettale si dispiega in un continuo andirivieni tra il passato ed il presente, con quelle brevi apnee che il lettore prova, per collocarsi nel corretto asse temporale mentre, nei particolari della descrizione della periferia milanese, nei riferimenti carcerari, nella narrazione degli incontri con gli extracomunitari, si ritrova la prosa di un altro giovane brillante scrittore, Giorgio Fontana (3).
Ninetto Giacalone, prova a lasciare in eredità la sua sofferta esperienza in una prima e forse conclusiva passeggiata in bicicletta con la nipotina, mettendo in pratica quanto sussurrato durante uno dei suoi periodici colloqui con la dottoressa: “I nonni possono riscattare coi nipoti gli errori fatti coi figli”.
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NOTE
1) E’ al suo terzo romanzo, pubblicato nel settembre 2014, dopo Il figlio del figlio del 2010 edito da Avagliano e Pronti a tutte le partenze del 2013 edito da Sellerio.
2) Ad onore del vero, si trovano citati anche Dante e Leopardi, come già nella precedente opera Pronti a tutte le partenze.
3) Con Per legge superiore Fontana descrive anche la Milano degli extracomunitari ed il turbamento di un uomo, in questo caso di giustizia, nelle fasi conclusive del suo percorso lavorativo.