Lo slogan che avete scelto per questa vostra 36.a Convocazione nazionale non viene da un’agenzia pubblicitaria, né da un centro studi della comunicazione. Viene da lontano, addirittura da san Paolo – è firmato proprio di suo pugno – ma viene ancora da più lontano, anzi da più vicino… Viene dallo Spirito Santo in persona. In verità riporta alla lettera un mezzo versetto della Prima Lettera ai Tessalonicesi: “Accogliamo la Parola con la gioia dello Spirito Santo” (1,6). Questa è parola di Paolo e, insieme, parola di Dio!
Lasciatemi definire questo versetto come un piccolo catechismo sulla gioia cristiana. Infatti i tre vocaboli fondamentali del tema della convocazione – Parola, gioia, Spirito Santo – disegnano il ‘triangolo’ della gioia cristiana: al vertice svetta lo Spirito Santo e ai due angoli di base ci sono la Parola e la gioia. Data la mancanza di tempo mi limito a perlustrare brevemente un solo lato di questo triangolo ‘magico’: quello che unisce il vertice – lo Spirito Santo – alla gioia.
Nel Nuovo Testamento Spirito Santo e gioia formano una combinazione fortunata, compongono un binomio indissolubile. Ecco una striscia di citazioni: “Il frutto dello Spirito è gioia e pace” (Gal 5,22). “Il regno di Dio è… gioia e pace dello Spirito” (Rm 14,17). “I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo” (At 13,52). Questa gioia può tracimare al punto da far sospettare che i discepoli, a Pentecoste, siano ubriachi fradici (At 2,13). Prima ancora, Gesù stesso aveva trasalito di gioia nello Spirito Santo (Lc 10,21). Spirito, gioia, parola: ecco tre nomi diversi di un unico dono.
Quando comparve il cristianesimo nel bacino del Mediterraneo, il mondo romano stava paurosamente rotolando sulla china di un precipizio spaventoso. Fu il cristianesimo a salvare quel mondo ormai decrepito. E il vangelo rappresentò una ondata irrefrenabile di giovinezza e di incontenibile letizia. Oggi noi viviamo in un’epoca definita “delle passioni tristi”. Ma lo Spirito Santo non si è reso latitante, non se ne è andato in pensione. Anzi ci sta facendo vivere i sussulti di una nuova primavera. Quanti di noi, dopo il gesto profetico di papa Benedetto, hanno sospirato: “Se il Signore ci desse un altro Francesco d’Assisi”. E, a sorpresa, ce l’ha dato! Cantiamo grazie allo Spirito Santo, e diciamo grazie a Benedetto, e, ancora, grazie al nuovo Francesco.
Questa convocazione ha luogo anche quest’anno a Rimini: siate i benvenuti! E anche quest’anno la vostra convocazione ha luogo nel tempo di Pasqua. In questi giorni, fateci sentire, fratelli e sorelle, le note effervescenti dell’alleluia pasquale. Nella nostra città passeggia la tristezza, imperversa la noia, dilaga l’angoscia. E l’alleluia della nostra Chiesa è troppo fiacco per rispondere alla sfida di tanta gente che ci domanda, con le parole riportate nel rotolo di Isaia: “Fateci vedere la vostra gioia!” (cfr 66,5).
Su un muro della nostra università ho trovato inciso un urlo disperato e raggelante: “Produci, consuma, crepa!”. Aiutateci, voi del RnS, a raccogliere urli e grida della nostra Città e a tradurli nell’alleluia della risurrezione. Sui nostri pentagrammi con tanti, troppi diesis in chiave, aiutateci collocare le note dell’exsultet pasquale. Ma prima ancora aiutateci a risorgere, noi cristiani, per primi.
A risorgere dal peccato alla vita nuova, dalla tristezza alla gioia. Nel cenacolo, la sera della sua passione, Gesù aveva detto ai suoi: “Voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà (più) togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). La Pasqua è un vero ‘passaggio’: non solo dalle tenebre alla luce, dalla schiavitù alla libertà. E’ un passaggio anche dalla tristezza alla gioia.
E’ vero: la tristezza non è un peccato, ma un errore certamente lo è. Comunque è un male che non perdona o, se non è un peccato ‘morale’, è senz’altro un peccato ‘teologico’. Voglio dire che la tristezza è una offesa alla verità, una eresia vera e propria, anzi l’eresia più nefasta, perché nega la verità più luminosa del cristianesimo: la risurrezione, una verità talmente ‘vera’ da non avere mai avuto bisogno di essere definita dogmaticamente in un concilio.
Ma la Parola – se noi l’accogliamo con la gioia dello Spirito Santo – ci dice che è vero per davvero che Dio è amore e che ci ha amato talmente tanto da consegnarci il suo Figlio unigenito. E’ vero per davvero che Gesù ci ha amato talmente tanto da dare la sua vita per noi, e ci ha fatti suoi fratelli e amici. E’ vero per davvero che l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Fratelli e Sorelle, accogliamo la Parola con la gioia dello Spirito Santo. Allora non faremo fatica a debellare il virus della tristezza. Allora non cadremo nella contraddizione di chi pretende di portare il messaggio della gioia con il linguaggio dell’angoscia, e non correremo il rischio del testacoda di chi presume di annunciare l’evento strabiliante della risurrezione con una patetica faccia da funerale. Allora non ci faremo vincere dal male, ma vinceremo il male con un bene più grande. Allora sapremo offrire speranza al nostro mondo postmoderno e riusciremo a superare la paura della crisi, senza sprofondare nelle sabbie mobili di miraggi frustranti, senza far precipitare i nostri sogni negli strapiombi di incubi paurosi.
Permettetemi di chiudere con un augurio un po’ strano. Vi auguro di essere ‘portatori sani’ del virus più potente, quello trasmesso sulla terra da un certo Gesù di Nazaret. E’ il virus della gioia. Ma non dimenticate mai che – lo diceva un mistico medievale mussulmano – “colui, del quale Gesù è la malattia, non guarirà mai”.