Dialogare con l'altro testimoniando la propria fede

Si è concluso a Londra il 3° Incontro dei vescovi e delegati per le relazioni con i musulmani in Europa

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La testimonianza della fede passa necessariamente per il dialogo con tutti. In Europa oggi tanto ad oriente che ad occidente, a sud che a nord il dialogo tra cristiani e musulmani diventa un’esigenza ineluttabile. Questo passa necessariamente per una più profonda conoscenza reciproca. Solo lincontro e il dialogo permettono di accostarsi al credente musulmano in un contatto reale, privo di pregiudizi. In una società secolarizzata e pluralista, la sfida delleducazione alla diversità deve essere integrata con l’approfondimento della propria fede e identità. Allo stesso tempo una società plurale esiste solo a condizione di un rispetto reciproco, del desiderio di conoscere laltro e di un dialogo continuo. Queste sono alcune delle riflessioni svolte dai vescovi e delegati per le relazioni con i musulmani delle Conferenze episcopali, giunti a Londra per una tre giorni di lavoro.

Dialogo e annuncio, e la questione della costruzione dellidentità dei giovani cristiani e musulmani sono stati i due temi affrontati nell’incontro, guidato dal cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux, e che ha visto la partecipazione di  vescovi e delegati per le relazioni con i musulmani di 20 Conferenze episcopali, delegati di organismi ecclesiali o culturali continentali.

Don Andrea Pacini, Coordinatore per il CCEE dell’incontro e segretario della commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della conferenza episcopale regionale Piemonte-Valle d’Aosta, ha affrontato la questione del rapporto tra dialogo e annuncio mettendo in rilievo come la testimonianza di vita costituisce la migliore sintesi e risposta a queste due esigenze pastorali. La riflessione sulla costruzione dell’identità dei giovani cristiani e musulmani è stata invece presentata dalla prof.ssa Brigitte Maréchal, docente presso l’Università di Lovanio e dal dr. Erwin Tanner, segretario generale della Conferenza episcopale svizzera.

L’incontro ha visto la partecipazione del Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il cardinale Jean-Louis Tauran, e del Presidente della Conferenza episcopale d’Inghilterra e del Galles, mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster.

Particolarmente apprezzata è stata la visita molto cordiale, svolta in un clima informale, della la Baronessa Sayeeda Hussain Warsi, Ministro per la fede e le Comunità – Ufficio Estero e Commonwealth, che testimonia l’impegno del Governo britannico per le varie comunità religiose.

Nei tre giorni di Londra, i partecipanti si sono interrogati, presentando la situazione nel loro rispettivo paese, sul fenomeno dei giovani cristiani in situazione di minoranza; sulle difficoltà che una simile situazione recava; se portava eventualmente ad una loro conversione all’islam; se i giovani cristiani fossero meno coinvolti nella loro fede rispetto ai giovani musulmani e, infine, quali sono state le nuove iniziative messe in campo dalla Chiesa in Europa in risposta all’esigenza di nuove forme di presenza tra i giovani.

Nel corso dell’incontro, sono stati ascoltati i rapporti dei delegati dell’Albania, Francia, Germania e Inghilterra. 

Si presentano di seguito alcuni risultati delle riflessioni, dello scambio e delle testimonianze svolte durante l’incontro.

1. Le varie presentazioni hanno confermato l’estrema diversità della realtà musulmana. Non solo l’intervento della prof.ssa Maréchal ma anche lo scambio di esperienze dei diversi paesi, hanno descritto con grande precisione questa diversità (di origine, di correnti spirituali, di proposte, e di offerte che vengono rivolte in particolare ai giovani musulmani). Non esiste quindi un islam uniforme, ma piuttosto dei musulmani diversi.

2. E’ emerso con forza l’importanza di fare dialogare insieme delle persone, dei giovani e meno giovani, che si posizionano in modo diverso nell’Islam con altri membri non musulmani della società. E’ apparso interessante l’esperienza dei forum in atti in alcuni paesi, in particolare in Belgio, per la loro esperienza umana e anche religiosa. Infatti vi è sempre il rischio di avvicinare l’altro e gli altri con un a priori immaginario, mentre di fatto l’incontro e il dialogo permettono il contatto con la realtà. E’ da questi incontri reali che trae vantaggio la convivenza tra persone di religione diversa e la collaborazione in tanti campi della vita sociale.

3. Cristiani e musulmani guadagnerebbero molto nel riflettere insieme sulle sfide di una educazione dei credenti, e in particolare dei giovani credenti, in una società allo stesso tempo secolarizzata e pluralista. Una società dove internet, i social media, e tutt’un modo di guardare diversamente alla realtà diventa una sfida per i giovani –musulmani e cristiani – a pensare dentro il loro mondo la questione del senso della vita. Un’educazione di questo genere implica allo stesso tempo una convinzione personale profonda (incontro personale con Dio, l’intelligenza della propria fede, una vita spirituale…) ma implica anche la coscienza di appartenenza ad una comunità che sostiene la fede e la vita. Quindi, è attraverso una forte convinzione personale, il sostegno della comunità e l’apertura agli altri, che è possibile lasciarsi forgiare nel dialogo.

4. Riguardo all’educazione, è importante sviluppare anche un’educazione alla diversità e un apprendimento di questa diversità. E’ vitale vivere la diversità non in modo inquieto e difensivo ma in modo sereno e aperto al mutuo arricchimento. Questo non è un dato acquisito: bisogna famigliarizzarsi anche alla diversità dell’altro, soltanto in questo modo uno può crescere senza cadere nel relativismo o nel fondamentalismo.

5. Tra le varie questioni che la presenza dell’islam nell’attuale contesto europeo pone, alcune sono legate al ruolo delle religioni nella società. I partecipanti si sono chiesti se l’apparizione dell’islam sulla scena sociale dei rispettivi paesi e le questioni poste dai musulmani, non obbligasse forse le società dell’occidente europeo a riconsiderare l’ideologia o la mentalità dell’uomo moderno a cui finora si eravamo abituate. E questa presenza non ripropone forse la questione dell’importanza della fede e della trascendenza in una società di consumo? Allorché ci muoviamo in una società dell’aver e del fare, del consumare, siamo rinviati dalla società stessa all’importanza dell’essere e della relazione con Dio. A livello ecclesiale, non sarebbe il caso riconsiderare quanto finora è percepito un po’ come la vulgata comune del dialogo interreligioso, ossia il rifiuto del proselitismo? Certo siamo tutti d’accordo che la libertà dell’altro deve essere non soltanto rispettata ma anche promossa, ma se questo viene capito e vissuto in un certo senso come un modo per censurare la propria convinzione e non condividerla con l’altro è più problematico. Dall’altra parte, si nota la tentazione in certi paesi di ridurre il religioso allo spazio privato escludendolo da quello che è definito come spazio pubblico (che è in realtà più grande rispetto quanto dipende realmente dalla Repubblica o dallo Stato). Bisognerebbe invece riflettere sulla dimensione personale della cittadinanza. L’Europa ha ereditato dalla rivoluzione francese una concezione dell’uomo visto nella sua individualità, tagliato dalle sue relazioni con la famiglia, con un gruppo …: insomma era l’uomo solo! Appare piuttosto come forse oggi bisogna ripensare questa visione individualista dell’uomo senza cadere in una forma di comunitarismo chiuso.

6. Infine, i delegati hanno ricordato come l’impegno nel dialogo interreligioso, non è solo un’esigenza etica che permette di vivere meglio insieme, ma è un esigenza spirituale e teologale. In questo momento in cui il di
alogo non è particolarmente sostenuto, è importante ricordarselo, per non cadere nella trappola di pensare che il dialogo sia una opzione, o che esiga un riscontro immediato… E allora perché investire nel dialogo? Semplicemente perché per i cristiani il dialogo è una delle dimensioni o delle conseguenze della fede in un Dio che dialoga con l’uomo e che è sempre il primo a fare i primi passi verso l’uomo. Allora dunque i cristiani sono chiamati ad un impegno forse più gratuito, più generoso che sappia affrontare alle volte anche la non risposta nel dialogo. 

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ZENIT Staff

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