ROMA, venerdì, 17 febbraio 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa OFM Cap – predicatore della Casa Pontificia – alle letture della Messa di domenica prossima.
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VII Domenica del Tempo ordinario B (Isaia 43, 18-19.21-22.24b-25; 2 Corinzi 1, 18-22; Marco 2, 1-12)
Ti sono rimessi i tuoi peccati
Un giorno che Gesù era in casa (forse la casa di Simon Pietro, a Cafarnao), si radunò tanta folla che non si poteva in alcun modo entrare dalla porta. Un gruppetto di persone che aveva un parente o amico paralitico pensò di aggirare l’ostacolo scoperchiando il tetto e calando il malato, per i lembi di un lenzuolo, davanti a Gesù. Gesù, vista la loro fede, dice al paralitico: “Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati”.
Alcuni scribi presenti pensano in cuor loro: “Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?”. Gesù non smentisce la loro affermazione, ma dimostra coi fatti di avere sulla terra il potere stesso di Dio: “Perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino – disse al paralitico – àlzati prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”.
Quello che avvenne quel giorno in casa di Simone è quello che Gesù continua a fare oggi nella Chiesa. Noi siamo quel paralitico, ogni volta che ci presentiamo, schiavi del peccato, per ricevere il perdono di Dio.
Un’immagine tratta dalla natura ci aiuterà (per lo meno ha aiutato me) a capire perché solo Dio può rimettere i peccati. Si tratta dell’immagine della stalagmite. La stalagmite è una di quelle colonne di calcare che si formano nel fondo di certe grotte millenarie per la caduta di gocce d’acqua calcarea dal tetto della grotta. La colonna che pende dal tetto della grotta si chiama stalattite, quella che si forma in basso, nel punto in cui la goccia cade, stalagmite. Il più non è che acqua e defluisce all’esterno, ma in ogni goccia d’acqua c’è una piccola percentuale di calcare che si deposita e fa massa con la precedente. È così che, col passare dei millenni, si formano quelle colonne dai riflessi iridati, belle a vedersi, ma che a guardarle meglio, somigliano a sbarre di una gabbia o a denti aguzzi di una belva dalle fauci spalancate.
Succede la stessa cosa nella nostra vita. I nostri peccati, nel corso degli anni, sono caduti nel fondo del nostro cuore come tante gocce d’acqua calcarea. Ognuno vi ha depositato un poco di calcare, cioè di opacità, di durezza e di resistenza a Dio, che andava a fare massa con quello lasciato dal peccato precedente. Come avviene in natura, il grosso scivolava via, grazie alle confessioni, alle eucaristie, alla preghiera.
Ma ogni volta rimaneva qualcosa di non dissolto, e questo perché il pentimento e il proposito non erano “perfetti”. E così la nostra personale stalagmite è cresciuta come una colonna di calcare, come un rigido busto di gesso che ingabbia la nostra volontà. Si capisce allora di colpo cos’è il famoso “cuore di pietra” di cui parla la Bibbia: è il cuore che ci siamo creati da soli, a forza di compromessi e di peccati.
Che fare in questa situazione? Non posso eliminare quella pietra con la mia sola volontà, perché essa è proprio nella mia volontà. Si capisce allora il dono che rappresenta la redenzione operata da Cristo. In molti modi Cristo continua la sua opera di rimettere i peccati. C’è però un modo specifico al quale è obbligatorio ricorrere quando si tratta di rotture gravi con Dio, ed è il sacramento della penitenza.
La cosa più importante che la Bibbia ha da dirci circa il peccato non è che noi siamo peccatori, ma che abbiamo un Dio che perdona il peccato e, una volta perdonato, lo dimentica, lo cancella, fa una cosa nuova.
Dobbiamo trasformare il rimorso in lode e ringraziamento, come fecero quel giorno, a Cafarnao, gli uomini che avevano assistito al miracolo del paralitico: “Tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: Non abbiamo mai visto nulla di simile”.