Fausto Bertinotti

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Bertinotti, il comunista affascinato dalla "rivoluzione della tenerezza"

L’ex leader di Rifondazione Comunista commenta l’incontro tra Fidel Castro e Papa Francesco, di cui apprezza l’umanità e l’apertura al dialogo

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È piaciuta a Fausto Bertinotti l’immagine di papa Francesco che a Cuba parla amabilmente con Fidel Castro. È piaciuta, allo storico segretario di Rifondazione Comunista ed ex presidente della Camera, che la “rivoluzione della tenerezza” proclamata e praticata da Bergoglio abbia contagiato anche la guida della Revolución. In un’intervista a ZENIT, Bertinotti si dice “positivamente colpito” che l’aspetto umano del líder máximo sia emerso nitidamente durante l’incontro a L’Avana.

È proprio l’umanità, del resto, la caratteristica che apprezza anche di papa Francesco, “le cui parole sanno interrogare le nostre coscienze”, dice. Parole che riescono a penetrare e scuotere allo stesso modo “sia il Congresso degli Stati Uniti sia l’animo candido di un’anziana sul sagrato di una chiesa”.

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Presidente, quali sensazioni Le ha suscitato l’immagine dell’incontro, molto informale, tra papa Francesco e Fidel Castro a Cuba?

Quell’immagine propone diversi piani di interpretazioni. Ci sono forse quelle più scontate, che appartengono al campo della storia e della politica. Si tratta del fatto che questo Pontefice, anche sulla scia dei suoi due ultimi predecessori, arriva a Cuba. È un itinerario per nulla ovvio, visto che Cuba era considerata dagli Stati Uniti, e a seguire da tutto l’Occidente, come un Paese trasgressore dell’ordine, dunque come una presenza non gradita. Il viaggio di un Papa a Cuba assume allora un forte significato. Lo assumeva prima e lo assume ancor più oggi, dato il contributo decisivo di papa Francesco allo sblocco dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba. C’è poi un altro piano, che a me ha colpito molto, forse persino di più, che è quello dei rapporti umani.

Come mai a Lei, leader politico di lunghissimo corso, l’ha colpita di più l’aspetto umano di questo incontro?

Mi spiego. Rispetto all’incontro tra Fidel Castro e Giovanni Paolo II, ora è avvenuto quasi un rovesciamento. Allora Fidel Castro, con la sua figura imponente sottolineata anche dall’abito borghese indossato al posto della sua famosa divisa verde, era trepidante. E aveva un atteggiamento quasi di sostegno nei confronti di Giovanni Paolo II che manifestava una fragilità fisica. Un’immagine inusuale: il leader rivoluzionario che si fa cura della fragilità del Pontefice. Oggi siamo invece in un rapporto rovesciato, appunto. Chi mostra la sua fragilità umana è Fidel Castro e chi si pone con attenzione e cura è il Pontefice. Queste immagini introducono l’elemento privato, le relazioni, la famiglia (con la moglie di Fidel al suo fianco). Vediamo in questo caso come emerga il carattere umano della persona Fidel Castro. Emerge la figura di un uomo vecchio e malato, eppure capace di dialogo. Di un uomo testimone della storia, che viene però portata in primo piano attraverso l’esperienza umana. E secondo me l’accesso e il riconoscimento della fragilità umana, che questo Papa ha riassunto con la formula “la rivoluzione della tenerezza”, è in effetti un’operazione rivoluzionaria.

Prima ha accennato al contributo decisivo di Francesco alla riapertura delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti…

È un evento che non sarebbe avvenuto senza l’intervento del Papa. Egli ha capito che se non c’è pacificazione tra Stati Uniti e Cuba, rimane impossibile il dialogo tra Occidente e continente latino-americano. E il Pontefice sa che l’America Latina rappresenta una grande risorsa strategica per l’umanità. Così si spiega, prima della sua visita a Cuba, il viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay, e la volontà di stabilire buoni rapporti con alcuni leader considerati in Occidente alla stregua di briganti. E questo, se posso azzardare, rappresenta un elemento di diversità con Giovanni Paolo II.

C’è qualche esempio in particolare che La porta a pensare questo?

C’è l’esempio della Teologia della Rivoluzione, che Giovanni Paolo II tentò di stroncare e che, invece, con papa Francesco viene implicitamente “riammessa”. Evidentemente non sono l’unico ad avere questa sensazione, basti vedere l’apprezzamento di Leonardo Boff nei confronti del percorso pastorale di papa Francesco…

Papa Francesco che ha rivolto un lungo e intenso discorso ai due rami del Parlamento Usa riuniti in sessione congiunta. C’è qualche parte della sua arringa che Le è rimasta più impressa?

Di questo Pontefice mi colpisce tutto, quindi non mi va di isolare un aspetto piuttosto di un altro perché sarebbe un’operazione strumentale. A me sembra che anche questo vibrante discorso – così come l’enciclica Laudato Si’ e gli innumerevoli interventi del Papa nei più diversi contesti – rompa le gerarchie del comunicare. Nel senso che con Francesco non c’è una “comunicazione alta” e una “comunicazione bassa”, ma c’è il comunicare e basta. E questa è secondo me l’espressione più evidente del primato dell’elemento pastorale. Quando il Papa parla ai parlamentari statunitensi, è come quando parla alla vecchietta sul sagrato di San Pietro o come quando va a comprarsi personalmente le lenti per gli occhiali nel negozio… Insomma, al Congresso ho trovato conferma nel Papa di un’autenticità del modo di porsi che a me colpisce molto.

Proprio negli Stati Uniti, negli ambienti repubblicani, da tempo si registra un vivace dibattito in merito alle presunte posizioni marxiste del Papa sui temi sociali. Cosa ne pensa?

Credo che questo dibattito ci sia stato non solo tra i repubblicani americani, ma anche nella Curia romana. Ritengo ci sia dietro queste accuse l’intento di resistere all’ingresso sulla scena di un Papa così straordinario, un Papa che – come dice lui stesso – “viene dalla fine del mondo”. E poi ritengo ci sia la difficoltà ad accettare una riproposizione del Vangelo con una intensità integrale, di cui sono testimonianza la centralità dell’aspetto della povertà e lo scandalo della diseguaglianza. Mi vengono in mente le parole del vescovo Helder Camara: “Quando do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista”. Ecco, papa Francesco risponde a queste ingiuste e incomprensibili accuse con l’integrità, la concretezza evangelica.

Rivolgendosi ai vescovi statunitensi, papa Francesco si è detto “lieto” per “l’indomito impegno” della Chiesa statunitense “per la causa della vita e della famiglia”. Come vede, da sinistra, quest’altro aspetto del Pontefice?

È il Papa! Non vorrà far recitare a me la parte dei repubblicani americani, non voglio certo “tirarlo per la tonaca”… Mi chiedo perché mai il Papa dovrebbe dismettere dei contenuti sulla concezione della vita che hanno animato tutta la tradizione cattolica. Non si può chiedere al Papa di non essere Papa. Mi pare tuttavia significativa la capacità di dare maggior spazio alla misericordia. E questo non evidenzia che il Papa accetta le posizioni altrui rinnegando il magistero cattolico, bensì evidenzia una grande apertura al dialogo.

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Federico Cenci

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