C’è un tema affrontato dal Papa durante la sua visita a Cuba che è passato, forse, un po’ in sordina. Francesco, con la delicatezza che gli è propria, non lo ha citato espressamente – l’aborto – ma l’argomento ha rappresentato uno dei passaggi più intensi della sua omelia dei Vespri celebrati con i religiosi nella Cattedrale dell’Avana.
Rivolgendosi all’assemblea, ha detto: “Quante religiose, e quanti religiosi, bruciano – e ripeto il verbo: bruciano – la loro vita accarezzando ‘materiale’ di scarto, accarezzando quelli che il mondo scarta, quelli che il mondo disprezza, che il mondo preferisce non ci siano; quello che il mondo oggi, con metodi di analisi nuovi che esistono, quando si prevede che può venire con una malattia degenerativa, si propone di mandarlo indietro, prima che nasca”.
Oggi il Santo Padre è arrivato negli Stati Uniti, dove ogni anno si registrano oltre un milione di interruzioni di gravidanze e dove, dal 1973, esiste una legislazione sull’aborto che è tra le più flessibili al mondo. Sospinta dai venti della rivoluzione sessuale di quegli anni, la Corte Suprema stabilì che si potesse fermare una gravidanza sino alla 24esima settimana.
Il dibattito su questo tema, Oltreoceano, è sempre stato incandescente, a tal punto da creare una larga frattura in seno alla società tra pro-life e i cosiddetti pro-choice, ossia i sostenitori dell’aborto. I primi, che hanno tra le proprie fila diversi agguerriti deputati e senatori del Partito Repubblicano, è da anni che provano a correggere in termini più restrittivi l’attuale legge.
Un grande risultato è stato ottenuto grazie anche all’impegno di associazioni nate dal basso come il comitato organizzatore della March for Life, che dal 1974 porta nelle strade di Washington una moltitudine di persone. Il risultato ha un nome lungo, come lunga è la discussione che gli sta facendo da cornice: Pain Capable Unborn Child Protection Act.
Si tratta di una legge, presentata da alcuni deputati repubblicani, che ha lo scopo di proteggere i bambini non nati capaci di sentire dolore. La comunità scientifica, infatti, è unanimemente d’accordo sul fatto che i bambini avvertano il dolore almeno dalla 20esima settimana dal concepimento. Pertanto, praticare l’aborto oltre le 20 settimane di gestazione, come la legge americana consente, significa far soffrire fisicamente il piccolo che si sta sopprimendo. Altro obiettivo della legge è la richiesta della presenza di un secondo medico che, in caso di aborto tardivo, se il bambino dovesse nascere vivo, deve curarlo come si curano i bambini nati prematuri.
Il progetto di legge in questione passò al Congresso nel maggio 2013, ma si arenò poi al Senato, che allora, prima delle elezioni di midterm, era ancora a maggioranza democratica. Nel maggio scorso, poi, un nuovo tentativo e una nuova parziale vittoria dei prolife: con 242 voti favorevoli e 184 contrari, il testo è stato nuovamente approvato al Congresso.
Sembrava fosse il preludio di una svolta, dopo che le elezioni del midterm avevano colorato il Senato americano del rosso del Grand Old Party (storico nomignolo del Partito Repubblicano). Svolta che sarebbe coincisa, del resto, con le aspettative della maggioranza degli americani: un’indagine della Polling Company ha rilevato che il 64% degli intervistati appoggia questa legge.
Tra loro, tuttavia, pur essendoci tanti elettori democratici, non ci sono né il presidente Barack Obama né la maggior parte dei suoi colleghi di partito. La dimostrazione è arrivata ieri, quando al Senato si è registrato il voto contrario a questa legge di 39 senatori democratici, contro i 54 voti a favore. La legge ha quindi ottenuto la maggioranza, ma per arrivare al voto finale sarebbe stato necessario raggiungere le 60 preferenze. L’ostruzionismo dei democratici è riuscito dunque a bloccare questa riforma. Almeno per ora.
La battaglia è infatti destinata a proseguire. Come sta proseguendo la battaglia su un altro campo. Dopo lo scandalo che ha coperto di disonore la Planned Parenthood, i repubblicani hanno presentato due proposte di legge, una al Congresso e una al Senato, per tagliare i finanziamenti federali alla grande industria abortista.
Anche su questo tema, è caparbio l’ostruzionismo del presidente Obama e dei suoi sodali per difendere i commercianti di feti. Lo stesso Obama che proprio ieri, all’aeroporto Joint Base Andrews, ha accolto con un sorriso a trentaquattro denti papa Francesco. Dietro le formalità diplomatiche, si celano però profonde divergenze tra i due.