La prosecuzione del viaggio di papa Francesco a Cuba porta con sé l’inevitabile confronto con le realtà sociali del paese, viste alla luce del Vangelo, che oggi domanda all’umanità intera chi sia veramente “il più importante”.
Presiedendo la messa a Plaza de la Revolucion a L’Avana, il Santo Padre ha ricordato come nella lettura odierna i discepoli discutano tra loro su chi detenga il primato (cfr Mc 9,33). “Chi è il più importante” è una domanda “che ci accompagnerà per tutta la vita e alla quale saremo chiamati a rispondere nelle diverse fasi dell’esistenza”, ha commentato il Pontefice.
Si tratta di una domanda che segna “la storia dell’umanità” e alla quale Gesù non ha paura di rispondere. “Al contrario – ha proseguito il Papa -. Egli conosce i ‘recessi’ del cuore umano, e come buon pedagogo è sempre disposto ad accompagnarci”.
Ai nostri “interrogativi” ed “aspirazioni”, Gesù conferisce sempre “un nuovo orizzonte”, spiazzando le “risposte attese” o “ciò che era apparentemente già stabilito”: lo fa ponendo sempre in atto “la logica dell’amore”, una logica “capace di essere vissuta da tutti, perché è per tutti”.
Lontanissimo da “ogni tipo di elitarismo”, Gesù ci rivolge una “proposta che fa sempre sì che la quotidianità abbia il sapore dell’eternità”.
Alla domanda su chi sia il più importante, Lui risponde: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mc 9,35)”. In altre parole, ha commentato Francesco, “chi vuole essere grande, serva gli altri, e non si serva degli altri!”.
I discepoli, al contrario, ragionano secondo le logiche del mondo e si preoccupano di chi sia il “privilegiato”, per “mettersi in risalto con un desiderio di superiorità sugli altri”, con la speranza di “occupare incarichi che avrebbero dato certi vantaggi”.
Il servizio di cui parla Gesù riguarda una vita che “si vive nell’impegno concreto con il prossimo”, avendo cura delle “fragilità” presenti “nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo”.
Vi sono “volti sofferenti, indifesi e afflitti”, che Gesù ci chiede di guardare e di amare, perché “essere cristiano comporta servire la dignità dei fratelli, lottare per la dignità dei fratelli e vivere per la dignità dei fratelli”, mettendo da parte le proprie “esigenze” ed “aspettative” davanti allo “sguardo concreto dei più fragili”.
Il vero servizio, dunque, è quello che “serve”, tuttavia, ha ammonito Bergoglio, “dobbiamo guardarci dall’altro servizio, dalla tentazione del servizio che si serve”.
C’è quindi il rischio di avere un interesse di “beneficiare i miei, in nome del nostro”, lasciando sempre i “tuoi” e generando così “una dinamica di esclusione”.
Evitando le tentazioni del “servizio che si serve”, siamo chiamati da Gesù a “farci carico gli uni degli altri per amore”, evitando di “guardare accanto per vedere che cosa il vicino fa o non fa”.
Questo spirito di servizio, non è “servilismo” bensì un modo di porre “al centro della questione il fratello”: si guarda il “volto del fratello”, si “tocca la sua carne”, si “sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”. Nel servizio non c’è mai nulla di “ideologico”, perché rivolto alle “persone” e non alle “idee”.
Il Papa ha poi descritto il “santo popolo fedele a Dio che vive a Cuba”, come “un popolo che ama la festa, l’amicizia, le cose belle”.
Nonostante le “ferite”, il popolo cubano “ sa stare con le braccia aperte” e “cammina con speranza, perché la sua vocazione è di grandezza”.
Francesco ha quindi invitato i cubani a prendersi cura di questa “vocazione” e dei “doni che Dio vi ha regalato” ma, in particolare, a prendersi cura della “fragilità dei vostri fratelli”, evitando di trascurarli “a causa di progetti che possono apparire seducenti, ma che si disinteressano del volto di chi ti sta accanto”.
La “grandezza” di un “popolo”, di una “nazione”, di un “popolo” si misurano sempre nel modo in cui esso “serve la fragilità dei suoi fratelli. In questo troviamo uno dei frutti di una vera umanità”, ha poi concluso il Santo Padre.
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