Ci sono film che lasciano indifferenti, altri che stupiscono per la forza delle immagini, altri ancora che fanno ridere, o piangere, dal primo all’ultimo minuto… Poi ci sono quei film, pochi ultimamente, che spezzano il fiato, che colpiscono come un pugno alla bocca dello stomaco, film che disarmano per la loro forza irriverente e fanno passare la voglia di chiacchierare in sala, tale è la tensione emotiva che riescono a creare.
Non essere cattivo, film postumo di Claudio Caligari presentato fuori concorso alla 72. Mostra del Cinema di Venezia, è uno di questi. “Quando sai comunicare sei pericoloso. Questa cosa l’ho sempre pensata”. Con questa frase Caligari riassumeva, ormai un anno fa, il principale motivo della sua scomparsa dalla scena cinematografica.
Nonostante infatti i due film precedenti, Amore Tossico (1983) e L’odore della notte (1998), siano stati dei veri e propri cult acclamati dalla critica nazionale ed internazionale, Caligari ha sempre trovato porte chiuse e freddi rifiuti. Il cinismo, il dolore e la crudezza con cui solo lui ha saputo descrivere la borgata e la periferia romana, uniti alla peculiare sincerità con cui rappresentava il degrado di una gioventù che, persa ogni speranza, trova consolazione solo nelle droghe e nella dissolutezza: tutto ciò ha rappresentato tanto la sua cifra stilistica quanto il primo ostacolo verso una brillante carriera. Ma forse a Caligari la carriera non è mai interessata: ciò che contava era appunto comunicare, senza filtri e retorica. Lui, nonostante abbia realizzato solo tre film, è riuscito a farlo.
Fondamentale è stato l’aiuto di Valerio Mastrandrea, produttore e aiuto regista del film che, scrivendo anche una lettera a Martin Scorsese per chiedere un aiuto affinché Caligari tornasse a girare, è riuscito a smuovere le barriere culturali createsi attorno al regista, oltre che a terminare il film dopo la morte dello stesso Caligari.
Il film inizia con Caligari che cita se stesso: stessa scena d’apertura di Amore tossico, con uguale inquadratura e movimento di macchina. Chiaro riferimento ideologico alla sua poetica dunque, come a dire che lui non è cambiato, così come non sono cambiati il suo modo di fare cinema e le sue tematiche.
Ostia, 1995. Vittorio e Cesare sono cresciuti in un quartiere povero e avvilito, vivendo di piccoli furti, di risse con ragazzi che hanno il loro stesso destino, assumendo droghe e alcool senza freni, come fossero l’unica fuga possibile da una vita troppo ingiusta con loro. Non sono semplici amici, sono fratelli… Quei fratelli a cui non serve un legame sanguigno per definirsi tali, basta la strada, basta la vita. Vivono in simbiosi, frequentano le stesse discoteche, guidano le stesse macchine, spacciano la stessa cocaina… Nonostante ciò, nel profondo, hanno due anime diverse. Vittorio inizia a sognare una vita diversa, un futuro migliore: conosce Linda, trova lavoro e per cambiare rotta decide di staccarsi da Cesare, che invece sprofonda sempre più nell’abisso. Qualche tempo dopo Vittorio cerca di coinvolgere Cesare nel lavoro. Non vuole fare questo cambiamento da solo, vuole che anche il suo amico, suo “fratello” riscriva il proprio futuro. Entrambi cercano e vogliono diventare protagonisti della loro vita, ma il richiamo della strada non tarderà a farsi sentire.
Coerenza, rigore, autenticità… Queste tre parole sembrano costituire le fondamenta di Non essere cattivo, ultima vera “ballata di borgata” che non cerca mezzi termini per comunicare i propri messaggi, il proprio punto di vista. Ancora una volta Caligari dimostra, ed è in grado, di non volere e non accettare compromessi.
Il viaggio dentro la periferia romana, iniziato da Pasolini con Accattone e proseguito da Caligari con Amore tossico, volge ora al termine. La borgata non esiste più, la droga e il denaro che essa muove hanno spazzato via tutto, portandosi con se speranze e sogni, anche quello di un lavoro onesto, in grado di far “cambiare rotta”. E allora non resta che bersi la vita tutta d’un fiato, così come viene. Paradossalmente, non resta altro che drogarsi, cadere vittima di allucinazioni che sì sono inquietanti ma che, tutto sommato, lo sono meno della vita quotidiana.
Ma quella di Caligari non è un’esaltazione, né tanto meno una condanna. Quella di Caligari è pura denuncia, denuncia di un mondo che esiste e che troppo spesso non viene raccontato perché scomodo, perché difficile da trattare senza cadere nella tentazione della retorica o del perbenismo. Nella decadenza di una periferia corrotta e non in grado di risollevarsi, sopravvive solo l’amicizia, la fraternità, quel sentimento unico e genuino fatto di condivisione e ancora, forse, di speranza. La speranza di farcela insieme, la speranza di trovare una vita normale, la speranza di cambiare.
I due attori principali, Luca Marinelli (Cesare) e Alessandro Borghi (Vittorio), hanno avuto il grande merito di rendere visivamente ed emotivamente questo straordinario legame, costituendo con la loro complicità la struttura portante del film. Ecco che allora Non essere cattivo coinvolge lo spettatore senza concedere possibilità di tirarsi indietro: l’immediatezza della forma, l’efficacia dello stile e il realismo con cui è trattato il tema, ne fanno un film che aggredisce, che provoca e suscita domande ma che allo stesso tempo pone un punto di vista lucido ed autentico.
Unica nota dolente del film è la consapevolezza di assistere ad un’opera crepuscolare, l’amarezza di guardare l’ultima pellicola del grande cantatore della borgata, Claudio Caligari.