“Sì, la gloria di Gesù è la sua croce. Ma può essere la croce – simbolo di sofferenza e di morte – può essere gloria, simbolo di vittoria, gioia e pace?”. Questa la domanda che il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale italiana e vice-presidente del Ccee (Consiglio Conferenze Episcopale Europee) ha rivolto ieri a vescovi, frati francescani e giornalisti presenti ai Vespri celebrati nella cappella del Santo Sepolcro a Gerusalemme.
Nel corso di una breve riflessione, il porporato ha evidenziato che la croce è “l’albero che dà la vita, quella eterna, quella dell’anima”. Il pensiero dominante “individualista e liberista” – ha aggiunto – individua il male assoluto nella morte corporale, tanto che si cerca in ogni modo di emarginarla dall’orizzonte esistenziale, o di abbellirla, o di deciderla per sé, da qui “il suicidio assistito e l’eutanasia”, “quasi per affermare illusoriamente il proprio dominio su di lei”.
Invece, “la fede cristiana – ha sottolineato il numero uno della Cei – ci rivela che il vero male dei mali, alla radice di ogni violenza, è la morte della vita spirituale, dell’anima. Il vero male è l’allontanarsi dalla Sorgente della vita che è il Signore”, tanto che – come afferma il Vaticano II – “senza il Creatore, la creatura si oscura”.
“La croce – ha aggiunto Bagnasco – è la parola piena e definitiva di Dio al mondo, è la parola estrema dell’amore che si dona. Cristo dà la sua vita perché noi, redenti dai peccati, viviamo nell’amore”. Questo è il mistero della croce che “da patibolo diventa trono, da ignominia diventa gloria, da legno secco e sterile diventa grembo fecondo che genera l’uomo nuovo”.
Secondo il porporato, la croce “non solo ci commuove e ci attira, ma ci rende capaci di pensare, amare e vivere con Gesù”, al punto che l’apostolo Paolo ha scritto: “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. La croce, quindi “non ci informa soltanto dell’amore che dà la vita, ma ci rende capaci di amare”.
Pertanto, di fronte ad un mondo che appare “indifferente e a volte ostile”, e che sembra “vivere di illusioni e di paure”, noi – ha concluso il cardinale – “siamo depositari di un segreto, una buona notizia da consegnare”. Si tratta “di una notizia cominciata in questa terra martoriata e benedetta, in questo luogo santo e santificante”, e vogliamo diffonderla “con gioia e convinzione”.