Luci ed ombre di una società che invecchia

L’aumento della popolazione anziana comporta un grosso impegno per il sistema sanitario ma spinge anche a riscoprire la solidarietà tra le generazioni. Se n’è discusso ad un convegno al Divino Amore

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In Italia la media della vita di una persona è di circa 87 anni, una delle più alte al mondo, gli ultrasessantacinquenni sono quattordici milioni, ma i numeri sono destinati a crescere nel tempo. Per questo diventa necessaria una rinnovata cura della terza età.

Queste alcune delle riflessioni del primo convegno regionale promosso dalla Conferenza Episcopale del Lazio e dalla Consulta di Pastorale della Salute, che si è svolto sabato a Roma al santuario del Divino Amore.

Tema dell’incontro L’alleanza tra le generazioni per un nuovo umanesimo. “Scegliere di parlare dell’invecchiamento – ha spiegato il vescovo ausiliare Lorenzo Leuzzi presidente della Commissione della Salute della CEL – ci permette di entrare nel vivo del Giubileo della Misericordia. Infatti papa Francesco ci invita continuamente a superare la cultura dello scarto, e a favorire la cultura dell’incontro tra generazioni, ed è il cuore del Vangelo della Misericordia”.

Diventa importante il coinvolgimento delle nuove generazioni in questa riflessione, e riprendendo ancora le parole di papa Francesco, monsignor Leuzzi ha ricordato: “L’uomo non è una monade, ma vive in una comunità che gli conferisce dignità e stabilità. La pastorale della salute deve farsi carico di garantire nella Chiesa e nella società la dignità della persona umana promuovendo la sua salute come manifestazione di una appartenenza generazionale che precede ogni giudizio funzionale”.

Infatti spesso l’anziano viene lasciato solo, e considerato solo un peso economico: “Oggi siamo di fronte ad una società dove le persone sono considerate quasi come dei “beni di consumo – ha sottolineato Giovanni Salmeri, docente all’ Università di Tor Vergata -.  Diventa fondamentale allora educare ad andare oltre questi concetti, si parla di sacralità della persona, perché in ogni vita c’è il soffio dell’Infinito”.

All’incontro ha partecipato anche il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, che ha messo in evidenza come i tagli al settore sanitario diventano un rischio per la vita dei più deboli: “La situazione nel nostro paese è precaria – ha spiegato Ricciardi –. Il numero degli anziani è destinato ad aumentare nel tempo, e con questo tutti i problemi che ne conseguono. Ad esempio poter essere in grado di affrontare quelle malattie croniche che sono tipiche della terza età, come il diabete o le cardiopatie”.

Ma a volte a causa della crisi che ha toccato anche il settore sanitario, causando tagli nella distribuzione di farmaci o difficoltà nel fare esami medici, non sempre è possibile. “Se continua così – ha sottolineato il presidente Ricciardi – nei prossimi cinque anni si avrà un aumento della disabilità senile del 50%, Se vogliamo evitare questo dobbiamo allora lavorare tutti insieme, e garantire non solo agli anziani di oggi, ma anche a quelli del futuro, una vita dignitosa in tutti i suoi aspetti”.

<p>E importante diventa allora anche incoraggiare la ricerca sulle malattie senili come l’Alzheimer.  “Nel mondo sono 44 milioni di persone colpite dal morbo di Alzheimer – ha spiegato Mario Alì direttore presso il Ministero dell’ istruzione dell’ università e della ricerca – di cui circa 1 milione e 200 in Italia. Attualmente si stanno facendo studi per rallentare sempre di più l’avanzamento della malattia, e questo vorrebbe dire tutta una serie di risvolti positivi per il malato, per la sua famiglia e non ultime per le strutture sanitarie. Andiamo verso una società che invecchia purtroppo, quindi diventa fondamentale trovare dei percorsi di uscita e potenziare la ricerca è fondamentale”.

E di fronte a queste nuove sfide, forte è la risposta da parte della Pastorale della Salute “Nessuno oggi può fare tutto da solo – ha concluso monsignor Andrea Manto direttore dell’Ufficio Diocesano della Pastorale della Salute – per questo diventa importante lavorare tutti insieme. Se io ho una buona idea, per realizzarla la devo condividere con gli altri, solo così diventerà realtà. Quindi diventa importante metterci all’ascolto dell’altro, creare una cultura della comunità, solo così ci arricchiremo vicendevolmente e costruiremo ponti nuovi per raggiungere chi soffre”.

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Marina Tomarro

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