Dignità umana antidoto ai fanatismi

Editoriale dell’arcivescovo di Chieti-Vasto su Il Sole 24 Ore, di domenica 6 Settembre 2015 

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All’Angelus di domenica 30 agosto Papa Francesco ha ricordato la beatificazione, avvenuta il sabato precedente ad Harissa in Libano, del vescovo siro-cattolico Flaviano Michele Melki, morto martire, esattamente un secolo fa, delle persecuzioni anticristiane avvenute sotto l’Impero Ottomano. Ha quindi aggiunto: “Anche oggi, in Medio Oriente e in altre parti del mondo, i cristiani sono perseguitati. La beatificazione di questo Vescovo martire infonda in loro consolazione, coraggio e speranza”. Il Papa ha quindi lanciato un appello accorato: “Ci sono più martiri oggi di quelli che c’erano nei primi secoli. Questo sia anche di stimolo ai legislatori e ai governanti perché ovunque sia assicurata la libertà religiosa; e alla comunità internazionale chiedo di fare qualcosa perché si ponga fine alle violenze e ai soprusi”.

Molte altre volte Papa Francesco era intervenuto su questo dramma, richiamando – ad esempio nell’omelia del 29 giugno scorso – “le atroci, disumane e inspiegabili persecuzioni, purtroppo ancora oggi presenti in tante parti del mondo, spesso sotto gli occhi e nel silenzio di tutti”. I dati – raccolti da centri specializzati come World Watch List, Minority Rights Group, Fides, Open Doors, Aiuto alla Chiesa che soffre – sono impressionanti: una fonte autorevole – l’Institute for Religious Freedom – sostiene che 116 paesi del mondo su 196 impongono limiti alla libertà religiosa e in almeno venti è in atto l’esercizio effettivo della violenza contro le espressioni della fede. Le vittime uccise da questa violenza sono ormai parecchie migliaia. Una riflessione su questo fenomeno drammatico s’impone alla coscienza di tutti, non solo dei credenti, perché la persecuzione anticristiana, e in generale antireligiosa, è un cancro che minaccia la dignità e la libertà di ogni persona umana, oltre che la convivenza democratica di tutti. Ecco perché mi sembra utile ritornare su questo tema, la cui attualità si dimostra purtroppo sempre più bruciante, e chiedersi: quali sono le cause dell’attuale crescita delle forze che attuano persecuzioni e delle loro vittime? quali antidoti è possibile – e risulta necessario e urgente – adottare per prevenire e contrastare un simile processo di barbarie?

La causa che ispira e sostiene gli atteggiamenti persecutori può essere ricondotta a un atteggiamento che sta dilagando in molti ambiti sociali, culturali e pseudoreligiosi del “villaggio globale”: il fanatismo. Etimologicamente il termine deriva da “fanum”, “luogo sacro, tempio”, e da “fanaticum”, espressione riferita a chi si ritiene ispirato dalla divinità e invasato dal suo potere, fino a considerarsi arbitro della libertà altrui e padrone dispotico della vita e della morte del diverso. Se la diffusione del fanatismo pesca nell’ignoranza e nell’indottrinamento delle masse, essa è progettata e promossa da precisi interessi di dominio politico-sociale: coagulare interi strati sociali contro qualcuno è molto più facile che soddisfarne i bisogni reali di giustizia e di promozione umana. Ecco perché da sempre l’arma del fanatismo serve ai poteri forti a nascondere le loro deficienze in termini di servizio al bene comune e a produrre il consenso verso le proprie politiche di sopraffazione e di manipolazione del pensiero. Questo spiega perché la motivazione religiosa, così frequentemente usata dai promotori di movimenti fanatici, sia in realtà soltanto una maschera, che nulla ha a che vedere col messaggio di fraternità universale che accomuna le grandi religioni, nella coscienza che esse hanno del riferimento al Trascendente come sorgente e misura della dignità dell’umano. Motivare la violenza contro l’altro in nome di Dio è insomma una vera e propria falsificazione della fede religiosa, e lungi dall’onorare il Creatore, lo offende proprio ferendo e annientando la creatura fatta a Sua immagine e somiglianza.

In questa luce si comprende come l’antidoto alle logiche persecutorie e al fanatismo che le ispira non possa essere un esercizio di violenza uguale e contrario: se in alcuni casi esso si ritiene giustificato in nome della legittima difesa, non può esserci dubbio che opporre violenza a violenza scatena soltanto un processo legato alla legge del più forte e a lungo andare produce ferite difficilmente rimarginabili in tempi brevi. Sono insomma soltanto l’educazione al rispetto e l’impegno per la tutela di ogni vita il vero antidoto su cui puntare per sradicare il fanatismo e la violenza persecutoria che esso produce. Occorre mettere capillarmente al centro di ogni progetto educativo, specialmente di quello rivolto alle nuove generazioni, il senso della dignità assoluta della persona umana, di ogni persona umana; occorre formare al rispetto di tutto l’uomo in ogni uomo, senza opzioni parziali, sempre strumentali e falsificanti, motivate come sono da interessi ideologici o di ricerca del potere. È questa centralità della persona umana, peraltro, il grande apporto che il cristianesimo ha offerto alle culture umane a partire dal messaggio chiave dell’incarnazione del Figlio di Dio. E se nella storia l’anima cristiana ha a volte smarrito se stessa, lasciando spazio a logiche di violenza e di persecuzione dell’altro e del diverso, la richiesta di perdono avanzata dagli ultimi Pontefici rispetto a queste colpe mostra chiaramente come esse contraddicano la genuina ispirazione della sequela di Gesù. Proprio per questo valore attribuito alla persona umana, il cristianesimo è forse più oggetto di persecuzione antireligiosa: ed esattamente per questo, rifiutare il fanatismo e promuovere la libertà religiosa è una causa cui i cristiani devono tenere in modo peculiare, come testimonianza alla loro fede e servizio alla causa della dignità e della libertà di tutto l’uomo in ogni uomo.

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Bruno Forte

Arcivescovo di Chieti-Vasto

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