Nonostante nella storia l’umanità abbia conosciuto i tanti mali e le milioni di vittime generate da ideologie, dittature, sistemi politici, che hanno disprezzato e discriminato la fragilità umana, sembrano ancora oggi dominanti le idee secondo cui non abbia senso una vita vissuta nella fragilità.
La fragilità, soprattutto quando è causata da malattie, sofferenze, disagio psichico e mentale fa ancora paura e genera rifiuto, rigetto, discriminazione.
L’egoismo e utilitarismo dominante fa sì che i beni materiali, il possesso del denaro, il potere di riuscire a far soldi, sono considerati valori assoluti, supervalori che decidono il senso della vita.
In questo contesto, se sei fragile, debole, malato, sofferente, sensibile, vali poco o nulla.
Se si guarda alla realtà dal punto di vista umano, però, si comprende che è esattamente il contrario. Cioè la forza vera di una civiltà non si misura sulle forze armate, nella polizia o sulla propria economia, né su ideologie che esaltano superuomini senza emozioni. In realtà, la grandezza di una civiltà è dimostrata dal modo in cui le persone e la comunità sociale trattano, curano, accudiscono, confortano e accolgono i deboli, i fragili, i poveri, i bisognosi.
Sono il cuore, la sensibilità, la bellezza che salvano l’umano.
A questo proposito, è un vero gioiello il saggio La fragilità che è in noi, edito da Einaudi e scritto dal noto psichiatra e scrittore Eugenio Borgna
In qualità di libero docente alla Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Milano, primario emerito di psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, autore di numerosi libri di successo, il prof. Borgna contesta l’interpretazione naturalistica e riduzionistica delle patologie mentali e critica la cura che utilizza farmaci inibenti e terapia elettroconvulsivante.
Il noto psichiatra fa un’analisi delle emozioni e dei comportamenti umani, scoprendo in quelle che sembrano debolezze, le caratteristiche fondamentali che caratterizzano le più grandi virtù dell’umanità.
Nel libro La fragilità che è in noi Borgna ha scritto: “Negli slogan mondani dominanti la fragilità, è l’immagine della debolezza inutile e antiquata, immatura e malata, inconsistente e destituita di senso; e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell’indicibile e dell’invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione negli stati d’animo e nelle emozioni, nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi”.
Ed ancora: “Le emozioni fragili, come le virtù deboli, hanno in sé stimmate lucenti e dolorose dell’umanità ferita, ed è questa a renderle così umane e così arcane”.
Secondo l’autore, la fragilità “è ombra, smarrita stanchezza del vivere, notte oscura dell’anima (il dolore, la depressione, la follia)” ma una fragilità “è anche grazia, linea luminosa della vita, destino comune che, in quanto tale, ci avvicina agli altri”.
Per Borgna fragili sono gli stati d’animo cruciali della nostra esistenza, quali la gioia, l’amicizia e la speranza.
Descritti nel libro come “i cieli stellati dello stupore amoroso e della gioia ma anche i frantumi stellari dell’amicizia e quelli più nebbiosi della timidezza, o ancora il cosmo fiammeggiante della speranza”.
La gioia è descritta come “un destino insondabile che consente di intravedere la luce anche nelle tenebre dei campi di concentramento”, indicata come testimone di “un’arcana nostalgia di infinito, di un infinito che non si spegne nemmeno nelle condizioni di straziato dolore e di quotidiana attesa della morte”.
Per questi motivi Borgna propone di “cercare le orme della gioia della sua estrema fragilità nei volti, negli occhi, nel sorriso e negli sguardi di chiunque incontriamo in vita”.
In merito alle relazioni amichevoli, il noto psichiatra ha scritto: “L’amicizia, quando si sta scendendo lungo la china del dolore e della tristezza, è zattera che ci consente di salvarci”.
“L’amicizia – ha ribadito – come ogni cosa essenziale della vita, può essere solo donata”.
Sulla speranza, Borgna cita addirittura il padre del superomismo, Friedrich Nietzsche, il quale ha scritto: “La speranza è l’arcobaleno gettato al di sopra del ruscello precipitoso e repentino della vita, inghiottito centinaia di volte dalla spuma e sempre di nuovo ricomponentesi: continuamente lo supera con delicata bella temerarietà, proprio là dove rumoreggia più selvaggiamente e pericolosamente”.
“Che cosa sarebbe proprio la speranza – chiede il professore – se non fosse nutrita di fragilità?”.
Eugène Minkowski, psichiatra del novecento ha sostenuto: “La speranza va più lontano nell’avvenire dell’attesa. (…) Io vivo nella speranza un avvenire più lontano più ampio pieno di promesse”.
“Le emozioni – continua Borgna – sono oggi considerate non solo dalla psichiatria ma dalla filosofia, sempre più importanti nella valutazione degli orizzonti di senso di un’esistenza che voglia essere dialogica, e aperta all’umana solidarietà e ai valori della comunità di destino; e le emozioni, quanto più sono fragili e deboli, tanto più sono portatrici di comunicazione e di speranza”.
È nella parte centrale del libro che Borgna sembra trovare soluzione e sostegno alla apparente contraddizione che oppone ragioni ad emozioni.
Ha scritto San Paolo nella seconda lettera ai Corinti: “Ed egli mi ha detto: ‘Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.
Come si fa ad essere forti quando si è deboli?
Commenta Borgna: “C’è la fragilità di chi si ammala, la fragilità di chi cura, che giunge così a una più profonda comprensione del senso del dolore e della sofferenza, e c’è la fragilità che è il nostro destino” e “quella che agli occhi del mondo, appare come fragilità, come insicurezza o come ricerca di un infinito irraggiungibile, è il riverbero della luce ardente della speranza, di una speranza che rinasce dall’angoscia e dalla disperazione, negli orizzonti inconoscibili del mistero”.
L’autore racconta anche di Teresa di Lisieux, vissuta in un monastero carmelitano e spezzata dalla malattia mortale in giovane età.
“Un’esperienza religiosa e mistica di inesprimibile profondità ma anche un’esperienza umanissima di fragilità e di inquietudine dell’anima, che ci aiuta a cogliere le ultime dimensioni della vita”
“Le parole di questa giovane carmelitana ci dicono come da un’adolescenza incrinata dalla fragilità e dalle ferite dell’anima dall’angoscia e dal silenzio di Dio, possa rinascere un morire trasfigurato dalla speranza e dall’amore”.
Per l’autore non c’è esperienza mistica che non sia sgorgata da una vita sigillata della fragilità e dal dolore.
“Esperienze – ha aggiunto – che ci portano a cogliere le tracce dell’indicibile e dell’invisibile: dell’infinito che è immagine insondabile di Dio”
“È così – conclude Borgna – non ci possono essere relazioni autentiche con gli altri se non quando ci sia in noi la percezione radente della natura profonda delle nostre emozioni che si rivela nella loro fragilità; e questa da una parte ci induce a nasconderle, a proteggerle, a difenderle, a farle crescere e a farle maturare nella solitudine dell’incontro con la nostra anima, e dall’altra ci porta a riconoscere le fragilità degli altri, a sentirle come nostre, a sorreggerle, a creare ponti che trascend
ano la nostra individualità, e ci immergano nella infinitudine dell’intersoggettività”.