Healing of a deaf-mute

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Una parola creatrice, la Parola di Dio

Commento al Vangelo della XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) —  6 settembre 2015

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La bellezza è ascoltare e parlare, la bellezza è comunicare, comunione, accogliere e dare, amare. Gesù ha fatto bene ogni cosa, ma la traduzione più fedele del greco originale rimanda alla bellezza per cui sarebbe meglio tradurre con “Ha fatto bella ogni cosa…”.

La bellezza appare così legata al miracolo che oggi contempliamo nel Vangelo. Un uomo guarito, capace di ascoltare e parlare. Erano soli, in disparte lontano dalla folla, Gesù e il sordomuto. La prima voce che questi ha potuto ascoltare è stata quella di Gesù. 

“Effatà”, “Apriti”, la prima parola udita. Una parola creatrice, la Parola di Dio. Una parola subito incarnata nell’esperienza della sua autenticità. Contenuto, parola ed effetto indissolubilmente legati. Dio parla così, creando. Che è come dire perdonando: “Attraverso le dita di carne il sordomuto ha sentito che gli si toccavano la lingua. Attraverso le dita palpabili, ha percepito la divinità intoccabile quando il nodo della sua lingua venne sciolto. Infatti l’architetto e l’artigiano del corpo è venuto fino a lui e, con una parola dolce, ha creato senza dolore, delle aperture nei suoi orecchi sordi; allora, anche questa bocca chiusa, finora incapace di dare alla luce la parola, ha messo al mondo la lode di colui che ha fatto portare frutto alla sua sterilità” (Sant’Efrem Siro, Discorso «Sul Signore», 10-11).

La Parola di Dio è la sua stessa misericordia, le sue stesse viscere capaci di generare la vita laddove non ve n’è traccia. La stessa parola di Gesù “apriti!” evoca il seno di una donna dinanzi all’ultimo dolore del parto. La Parola di Dio partorisce quel che annunzia.

E ciò che il dito di Dio disegna è tutto bello, perché tutto gli assomiglia. Le dita di Gesù si avvicinano agli orecchi e alla lingua del sordomuto e fanno di organi inservibili un prodigio capace di ascoltare e comunicare. Non basta avere orecchie e lingua, occorre che il dito di Dio, vi tracci il segno “bello” del suo amore.

“Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. L’espressione di Dostoevskij è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”. La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza” (Benedetto XVI agli artisti, 21 novembre 2009).

Senza la bellezza di Cristo, il più bello tra i figli di Adamo, senza questa sua bellezza che ferisce per sanare, non si può vivere, non vi è parola, non vi è relazione, non vi è amore, l’unica cosa da fare al mondo.

L’amore del Signore infatti rompe il muro di menzogna che ci impedisce di ascoltare, lo stesso dito che ha scritto sulla sabbia il cumulo di peccati della peccatrice perché il vento se li portasse via, con un tocco di misericordia cancella inganni e peccati dalle nostre orecchie. 

La sua carne trafitta trafigge la corazza d’orgoglio che ci fa sordi al suo amore. E la sua saliva, che reca impresse le parole della sua stessa bocca, scioglie la nostra lingua come rugiada del mattino. Quasi come in un bacio il Signore ci trasmette se stesso, e depone con tenerezza sulla nostra lingua le sue parole, la sua stessa Vita, e scioglie quel nodo che ci ha legati ad un mutismo fatto di mormorazioni, insulti, improperi, giudizi e lamenti.

Gesù anche questa Domenica scioglie Il nodo che il demonio ha stretto sui sentieri delle nostre esistenze, inchiodandoci alla tristezza diluita in parole vuote, scomposte, ovvie. Il mutismo figlio di orecchie sorde alla Verità, all’amore infinito di Dio.

S. Agostino scriveva: “Ciascuno è ciò che ama. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Che cosa devo dire? Che tu sarai Dio? Io non oso dirlo per conto mio. Ascoltiamo piuttosto le Scritture: Io ho detto: “voi siete dèi, e figli tutti dell’Altissimo”. Se, dunque, volete essere dèi e figli dell’Altissimo, non amate il mondo, né le cose che sono nel mondo”.

La bellezza perduta, la Grazia del Paradiso, l’ascolto docile e obbediente e il parlare correttamente, la comunione innocente, nuda e indifesa di Adamo ed Eva, l’intimità con Dio nella quale conoscevano solo il bene, tutto fu strappato per una parola di menzogna, per aver ascoltato e accolto una menzogna. Adamo ed Eva avevano amato la terra, e terra sono ritornati ad essere, sordi e muti, nudi e impauriti, isolati e soli. Avevano ascoltato la menzogna, vi avevano creduto e hanno conosciuto il male nel loro intimo, erano diventati come Dio senza essere Dio.

E il male li ha schiacciati, e le orecchie si sono chiuse, e la lingua è stata stretta in un nodo di paura. La bellezza del Paradiso era ormai perduta, rimaneva solo la tragica realtà di un mondo ostile, della concupiscenza accovacciata accanto a loro, e quell’incapacità di comunicare, di ascoltarsi e parlarsi, di amare, che faceva brutta la loro vita.

Brutta come appare la nostra quando I fatti divengono occasioni di mormorazioni, nervosismi, depressioni. Fatti brutti ai nostri occhi perché avvelenati dalla menzogna. Brutti per un’esistenza brutta, cioè sorda e muta. La nostra vita perduta nella Decapoli, territorio pagano come le nostre giornate scivolate senza senso, graffiate dal destino sempre avverso, anche una fila di troppo sulla strada che ci conduce ogni mattina al lavoro….

Chi non si sente amato da Dio si vede brutto, sempre. E chi si vede brutto può fare qualunque cosa, trascinando gli altri nel buio della propria vita ormai senza valore. Ad esempio, anche la concupiscenza che tuo figlio non riesce a frenare nasce dal disprezzo di se stesso che intorbidisce i pensieri del suo cuore.

E non possiamo farci nulla, serve un miracolo, di quelli che solo Gesù può fare. Non illudiamoci, è inutile esigere perché un sordomuto è isolato dal mondo e ha perciò bisogno di qualcuno che lo “conduca” a Gesù e lo “preghi” a suo nome.

Non dimenticare che tuo figlio è già da tanto che non ascolta Dio, per questo non ha parole da rivolgergli. Devi parlare tu per lui, pregare Gesù prestandogli le tue labbra e il tuo cuore. Ma non disperare, puoi pregare e condurre a Cristo tuo figlio che forse non ne vuol sapere accogliendolo nelle tue suppliche.

Come Adamo ed Eva, come il sordomuto del Vangelo, anche lui e ciascuno di noi abbiamo bisogno di ascoltare un’altra parola, perché solo l’ascolto della Verità può salvare. E passa il Signore, anche oggi, mosso dal suo invincibile amore per ciascuno di noi.

La Chiesa nostra Madre ci conduce anche oggi, misteriosamente, a Lui. Forse attraverso un fratello, una parola, la preghiera nascosta di qualche vedova, di qualche suora sepolta in un monastero, i dolori lancinanti di qualche malato che, solo in un letto d’ospedale, li offre quotidianamente per noi. La preghiera feconda dei nostri cari che ci hanno preceduto, dei Santi che intercedono senza sosta. E Maria, mediatrice d’ogni Grazia, sollecita per ogni suo figlio.

E ci troviamo, inaspettatamente, gratuitamente, dinanzi al Signore. E’ il suo amore chino su di noi a farci belli, a fare bella la nostra vita. Non ne cambia una virgola, solo ci apre orecchi e lingua, per ascoltare e parlare.

Lui fa tutto perché possiamo ascoltarne la voce. L’ascolto di Lui ci fa come Lui: “Ciò fa l’amore, rende l’amante simile all’amato” (Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Pratica di amar
Gesù Cristo). Effatà, apriti! Ecco la Parola, ecco la bellezza: apriti, ama, vieni fuori Lazzaro, esci da te stesso, ascolta e parla, lasciati amare e donati nello stesso amore. 

Perché, come accade nella natura, si parla ciò che si è ascoltato. Se si ascolta amore si parlerà con amore, se si ascolta Cristo si parlerà come Cristo. Scriveva uno psicologo che “Per far si ché un bambino gitano diventi musicista, si è stabilito che durante le ultime sei settimane prima della nascita e le prime sei settimane di vita, ogni giorno, il miglior musicista di un determinato strumento vada a suonare per lui presso la madre incinta, mentre partorisce e durante l’allattamento: e sembra che il bambino, più tardi, manifesterà il desiderio di suonare proprio quello strumento, eccellendovi” (Dolto, 1985).

Per questo ascoltare Gesù, dopo tanti frastuoni e menzogne, ci fa come Lui. Ascoltare le Sue Parole ci fa desiderare di “suonare” il suo stesso amore. Eccellendovi… Che miracolo! A noi che balbettiamo suoni senza contenuti, parole vuote di senso come cembali che tintinnano, segno dell’ipocrisia del dire e del non fare perché non si è, Dio dona la sua Parola, il suo Figlio, consistenza e contenuto per le nostre vite, e per le nostre parole.

E’ per noi dunque quest’opera “bella” di Gesù; nell’intimità dell’incontro con Lui sui passi di questa Domenica, le sue mani ci cercano, per farci belli, uomini veri, dentro una vita bella, piena, dove tutto è Grazia.

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Antonello Iapicca

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