Immigrazione. L'immagine del piccolo Aylan: specchio del fallimento dell’Europa

Commozione e sdegno per la foto del bimbo di due anni che giace morto su una spiagga turca. Renzi: “Immagini che strapazzano l’anima, lo dico da padre…”. Save the Children lancia l’hashtag #whyagain

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Commozione, frustrazione, rabbia, indignazione. Sono i sentimenti che ha suscitato in ogni parte del mondo l’immagine – diffusa per prima dal quotidiano inglese The Indipendent – del piccolo Aylan, il bimbo siriano di soli tre anni che, ancora vestito e con le scarpe allacciate, giace morto a faccia in giù su una spiaggia di Bodrum, paradiso turistico della Turchia. Aylan proveniva dalla città curda di Kobane ed era diretto verso l’isola di Kos, in Grecia, prima di morire annegato insieme alla mamma e al fratellino Galip, di cinque anni. L’unico superstite è il padre che ha ora annunciato di voler tornare nel suo paese martoriato per seppellire i suoi cari.

La foto drammatica è stata pubblicata sulle prime pagine di diversi giornali e ha fatto subito il giro del web, divenendo virale soprattutto sul social network Twitter, dove è stata assunta a simbolo della tragedia dei migranti e dello sdegno del popolo del web (e non solo) di fronte alla indifferenza della comunità europea verso questa strage silenziosa. Insieme ad essa ha avuto grande diffusione anche l’immagine dell’agente turco che, con il volto tirato, solleva il piccolo corpicino per portarlo via dal mare.

Da ogni parte sono arrivati messaggi di cordoglio per il bambino, la sua famiglia, ma anche per i migliaia di minori morti in mare. “Le immagini che vediamo stringono il cuore e strapazzano l’anima. Lo dico da padre prima ancora che da primo ministro”, ha detto il premier Matteo Renzi nella conferenza stampa a Firenze col primo ministro di Malta, Joseph Muscat. “L’Europa non può perdere la faccia”, ha aggiunto, “bisogna recuperare un ideale europeo che non è dell’accogliere tutti indiscriminatamente, perché non è possibile, ma del tentare di salvare tutti, e questo è un dovere”.  

Da parte sua Valerio Neri, direttore generale di Save the Children, ha dichiarato: “Aylan, il bambino siriano annegato ed approdato sulle coste turche e quelli che sulle coste libiche sembrano dormire sull’acqua. I bambini ammassati al confine ungherese, con le vite bloccate da un muro e il filo spinato riflesso negli occhi. I bambini ‘segnati’ dalla guerra da cui scappano e da un pennarello indelebile al confine ceco e macedone. I bambini che vengono allontanati con i gas lacrimogeni, nonostante abbiano già pianto tanto durante le loro giovani vite. Sono fotogrammi che popolano le pagine dei giornali, i social media, che animano il dibattito di oggi. È la sofferenza silenziosa dei tanti piccoli e dei loro genitori che ogni giorno incontriamo sul campo, nelle aree di crisi”.

Secondo Neri, sono “immagini di inaccettabili violazioni dei più elementari diritti dei bambini che riflettono l’inadeguatezza e il fallimento degli interventi sino ad oggi messi in atto per rispondere ad una crisi umanitaria di così grandi dimensioni. È questa – aggiunge – la risposta che l’Europa è riuscita a dare a chi fugge da guerre, violenza e fame, una risposta tardiva ed inadeguata. Immagini che sono lo specchio della nostra coscienza”. L’Organizzazione internazionale – dedicata dal 1919 a salvare i bambini e  tutelarne i diritti – oggi più che mai chiede con forza una risposta politica strutturale che fermi questa escalation di violenza e disumanità. Save the Children ha rilanciato l’hashtag #whyagain, invitando tutti ad aderire e diffonderlo, “perché quello che sta accadendo è veramente troppo e non può essere più tollerato”.

Commentando la foto, il direttore del quotidiano La Stampa, Mario Calabresi, ha affermato invece: “…il rispetto per questo bambino, che scappava con i suoi fratelli e i suoi genitori da una guerra che si svolge alle porte di casa nostra, pretende che tutti sappiano. Pretende che ognuno di noi si fermi un momento e sia cosciente di cosa sta accadendo sulle spiagge del mare in cui siamo andati in vacanza. Poi potrete riprendere la vostra vita, magari indignati da questa scelta, ma consapevoli”. “Non si può più balbettare – ha soggiunto – fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci, questa foto farà la Storia come è accaduto ad una bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o a un bambino con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia. È l’ultima occasione per vedere se i governanti europei saranno all’altezza della Storia. E l’occasione per ognuno di noi di fare i conti con il senso ultimo dell’esistenza”. 

Infine padre Bernardo Cervellera, sulle pagine di AsiaNews di cui è direttore, scrive: “È tempo che si dica basta ai finanziamenti allo Stato islamico da parte dei governi del Medio Oriente; che si attui una pace negoziata in Siria e in Yemen, che il Consiglio di sicurezza dell’Onu faccia il lavoro per cui è stato fondato: lavorare per la pace delle nazioni, non per la supremazia dell’uno o dell’altro”. “Qualche giornale, commentando la foto-simbolo del piccolo Aylan ha gridato: ‘Adesso basta!’. Ben venga questa decisione – ha aggiunto Cervellera -. Ma cosa dire delle decine di migliaia di bambini che in questi quattro e più anni di guerra sono morti in Siria? E quelli morti in Iraq? Se non c’è un impegno contro le cause di tutte queste morti, quella di piegarsi sul dolore dei profughi in Europa rischia di apparire come un volersi nascondere da responsabilità mondiali. Ma intanto tutto il Medio oriente rischia di deflagrare, producendo non 200mila, ma 100 milioni di probabili profughi. E se il Medio Oriente deflagra, né l’Europa, né tutto il mondo potrebbero salvare se stessi”.

[S.C]

 

 
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ZENIT Staff

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