La religiosità laica di Maria Luisa Spaziani

Un ricordo della poetessa piemontese, ultima grande “icona” della letteratura lirica del ‘900

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Maria Luisa Spaziani. La poetessa per eccellenza. L’ultima grande “icona” della letteratura lirica del ‘900 che concentrava nella sua persona testimonianza storica, talento e capacità d’intessere una rete internazionale di relazioni: da Bonnefoy a Takano, da Picasso a Batur.

La conobbi in un momento di crisi del suo Centro Montale, per lunghi anni faro della poesia in Italia. Insieme ad altri sostenitori ed amici, l’aiutai a rilanciare l’iniziativa e a dare vita alla Universitas Montaliana di Poesia che, per sei anni, tenne una rassegna di alto livello culturale. Poi il silenzio. Alcuni anni di operosa vecchiaia e quindi l’abbandono tra le braccia di una “vecchia amica” che il 30 giugno di un anno fa venne ad accoglierla:

Lasciatemi sola con la mia morte.

Deve dirmi parole in re minore

che non conoscono i vostri dizionari.

Parole d’amore ignote anche a Petrarca

dove l’amore è un oro sopraffino

inadatto a bracciali per polsi umani.

Io e la mia morte parliamo da vecchie amiche

perché dalla nascita l’ho avuta vicina.

Siamo state compagne di giochi e di letture

e abbiamo accarezzato  gli stessi uomini.

Come un’aquila ebbra dall’alto dei cieli,

solo lei mi svelava le misure umane.

Ora m’insegnerà altre misure

che stretta nella gabbia dei sei sensi

invano interrogavo sbattendo la testa alle sbarre.

È triste lasciare mia figlia e il libro da finire,

ma lei mi consola e ridendo mi giura

che quanto è da salvare si salverà.

***

Mi riesce difficile scrivere di Maria Luisa Spaziani. Devo al suo insegnamento, alle lunghe serate di conversazioni poetiche, ciò che ho appreso sul significato della poesia. E dunque la commozione tende facilmente a prevalere sulla parola. Ma questo mio ricordo affettuoso vuol essere non tanto un contributo letterario, che poco aggiungerebbe alla sua già sterminata bibliografia, bensì un sottile “filo d’Arianna” per aiutare il lettore a cogliere, nell’opera della Spaziani, una manifesta istanza di tipo religioso:

Monotonia di un lungo Te Deum.

Dall’altra parte, dicono, c’è Dio.

Da due millenni ce lo ripetono

e in certo senso ci crediamo.

Il canto gregoriano ci avviluppa.

Le parole svaniscono.

Si scende nel profondo: un sacro vuoto

è l’approdo sognato.

***

Maria Luisa Spaziani descriveva così la sua concezione della poesia: “La poesia svolge un ruolo analogo a quello della preghiera: un momento di solitudine con se stessi, con lo sguardo proiettato oltre la quotidianità, che ha bisogno di un luogo (la Chiesa) dove sussiste una delimitazione spazio-temporale rispetto al quotidiano. Con la poesia succede la stessa cosa. La poesia è contemplazione”.

Sono in una moschea e prego. Dio

mi sta ascoltando, io lo so. L’omaggio

gli è comunque gradito purché venga

da un cuore puro.

Mi capita di leggere un romanzo

cinese e russo in traduzione. Eppure

il messaggio essenziale dell’autore,

intatto mi raggiunge.

***

La conquista della fede non è mai un percorso agevole. Ce lo insegnano i grandi santi, il cui esempio di vita costituisce talvolta una sorta di drammatizzazione della vicenda umana. Basti pensare a Santa Teresa di Lisieux che, nell’ultima parte della sua esperienza terrena, visse una tormentosa “notte della fede”; oppure a Madre Teresa di Calcutta che, per lunghi anni, soffrì del “silenzio di Dio”. E giova ricordare, a tale proposito, una bella tesi di padre Raniero Cantalamessa che identificava in Madre Teresa l’ideale compagna di viaggio dei tanti “atei in buona fede” che popolano il mondo d’oggi: i più amati da Gesù che sulla croce sperimentò più di tutti l’abbandono di Dio.

La spontanea aspirazione spirituale di Maria Luisa Spaziani difficilmente avrebbe potuto riconoscersi in un’ortodossia dichiarata. La sua era piuttosto una “religiosità laica” che traeva linfa dall’attitudine a proiettare la vicenda umana in una dimensione universale e collettiva della quale siamo tutti partecipi:

Da laica adoro Dio. Non chiedetemi

il suo nome preciso, la sua forma.

Leggo spesso la Bibbia e i Vangeli,

umani vertici del genio.

E mi piacciono i riti popolari,

Sabato Santo, Natale, Epifania.

Mi aiutano a orientarmi verso l’alto,

misteriosa energia.

Talvolta prego, e dialogo con Dio.

Non lo chiamo per nome. Mi perdona.

Lo sa che non è colpa mia se

quel gradino essenziale mi manca.

***

Anche nel campo del teatro, l’opera più originale e potente di Maria Luisa Spaziani è dedicata a una figura di santa: Giovanna D’Arco. “A distanza di cinquecento anni – dichiarò la poetessa – ritengo che siano molti i misteri insoluti di quella fanciulla sedicenne che è stata in grado di rivoluzionare l’Europa. Ci sono troppe cose che appaiono inaccettabili, per chi abbia una visione laica. Il mio testo dà una chiave di lettura per cercare di comprendere il mistero di questo personaggio”. Ecco dunque un brano tratto dall’opera:

Forse un angelo parla a tutti, eppure

in quel supremo istante pochi ascoltano,

pochi hanno l’orecchio e l’ubbidienza

delle radici che a gennaio dormono.

Dal profondo una voce bisbiglia,

giunge un brivido ai rami più lontani.

Nessuno se ne accorge ma è partita

a buie ondate un’altra primavera.

***

Bianca Maria Simeoni, una giovane autrice molto apprezzata dalla Spaziani, chiese alla grande poetessa nel corso di un’intervista: “Ci sarà ancora spazio per la poesia nel Terzo millennio?”. “Ci sarà sempre – rispose la Spaziani – siamo talmente storditi dal ritmo di vita che è cambiato, intossicati dalle parole e dalla tecnologia, che abbiamo bisogno di riscoprire la parola pura, la necessità che la parola dica ciò che desidera dire, che sia una specie di verità. L’amore, la religione e la poesia sono le tre cose che non moriranno mai”.

Per concludere questo breve florilegio di quella che potremmo definire la “poesia d’ispirazione religiosa” di Maria Luisa Spaziani, pubblichiamo ancora un brano che si chiude con un verso di rara potenza immaginifica: Ribattezzati dall’eternità.

 

Sulle ondate dello Stabat Mater

si apre il mio mattino delle Palme.

Ecco il tunnel fiorito di asfodeli.

Mamma e nonni puntuali vi morirono.

A mia volta lasciatemi fissare

la mia data futura. In compagnia

così dolce varcare quella porta

che, dicono, non è che un’illusione.

Prendetemi per mano. Avremo mille

cose da raccontarci. Il film si snoda

a ritroso, saremo veri e giovani,

ribattezzati dall’eternità.

***

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Massimo Nardi

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