Provare a fare un discorso sull’arte è, come abbiamo visto più volte in questa rubrica, molto complesso, parlare poi dell’arte cristiana in questo momento storico, sembra quasi impossibile, perché tra le pieghe della nostra contemporaneità aleggia un senso di disfatta, come se tutto ciò che ha una storia sia superato, passato e quindi “inattuale”. Il Cristianesimo stesso viene accusato di essere inattuale e superato, non solo la sua arte, e questo è facilmente riscontrabile nei fatti di cronaca e di politica nazionale ed internazionale che costantemente vengono diffusi dai mezzi d’informazione. Ma ciò che accade ora, nei nostri tempi, è realmente così radicalmente diverso da cinquanta o cento anni orsono? C’è qualcosa di utile che possiamo rintracciare per definire la condizione moderna e post-moderna, in modo tale da operare distinzioni per ripensare l’arte?
Non si può ignorare che tutti i Pontefici a partire dal secolo scorso, ci stanno invitando a riprendere a fare arte sacra. Gli artisti sono invitati, noi artisti siamo invitati a lavorare per la Chiesa. Molti di noi hanno seguito fin da giovani questo invito, come vocazione, ma comunque l’arte sta vivendo un lungo periodo di passione, anche all’interno della cultura cattolica.
Per affrontare ancora una volta il discorso delle arti da una nuova angolatura, possiamo prendere a prestito una considerazione di filosofia della politica del filosofo bulgaro Tzvetan Todorov, il quale propone una relazione profonda tra l’eresia pelagiana e l’idea stessa di politica moderna. Egli afferma che l’uomo, nel fondare la modernità, si pone in una posizione atea e rifiutando Dio, ipotizza un nuovo mondo capace di salvezza con la sola forza del progresso: «spostandosi dall’ambito dell’individuo a quello della collettività e liberandosi del quadro religioso anteriore, il progetto pelagiano si è radicalizzato. Ora s’impone l’idea che la volontà umana, ammesso che diventi comune, può far regnare il bene e portare a tutti la salvezza; e questo felice evento non si verificherà in cielo, dopo la nostra morte, ma qui e ora. […] Se esiste un messia, si tratta di un personaggio collettivo, il popolo, un’astrazione che consente ad alcuni individui di presentarsi come la sua incarnazione. La rinuncia a ogni sacralità di origine soprannaturale favorisce la diffusione di una nuova speranza. Gli uomini ipotizzano che il nuovo mondo possa trasformarsi secondo i loro desideri e la loro volontà di agire ne risulta amplificata: ormai, tutto è permesso e tutto è possibile. Come i pelagiani, i rivoluzionai pensano che al progresso infinito dell’umanità non debba essere opposto alcun ostacolo; il peccato originale è la superstizione di cui occorre sbarazzarsi [1].
Secondo questa lettura, la religione è realmente l’obiettivo da eliminare, e non tanto gli epifenomeni ad essa correlati, come appunto l’arte. Con violenza si afferma che Dio non è interessante, che si può vivere senza e quindi che tutto ciò che lo riguarda è inattuale; in questa prospettiva, l’arte sacra cristiana non è più attraente proprio perché parla di Dio. Di fatto, nel pensiero moderno si vuole superare l’elemento religioso e quindi tutte le sue manifestazioni. Il Sistema d’Arte Cristiano non è, dunque, aggredito e abbandonato in maniera sistematica per la sola volontà di superare queste forme artistiche, ma per quello che queste forme artistiche rappresentano, ovvero la religione, la “fede cristiana”. Qui troviamo spiegata la ragione dello strano percorso che compiono i manuali di storia dell’arte: giunti alle soglie del XVIII secolo, si impennano in una iperbole spasmodica tutta tesa a elogiare la rivoluzione, l’originalità e la discontinuità, come valori assoluti nella ricerca artistica, riducendo a poche cose, forse banali, la critica d’arte.
Sembrerebbe che questa ormai permanente condizione di liquidità antistorica -dove il passato è ricostruito in chiave anacronistica e il presente è il luogo di concretizzazione di tutti i desideri senza limiti-, sia permanente e immodificabile, ma seguendo i ragionamenti di un altro filosofo politico quale Augusto Del Noce è possibile pensare qualcosa di interessante per uscire dalla crisi. Al proposito è utile citare Massimo Borghesi che, in uno dei suoi ultimi lavori su Del Noce, scrive: «l’uscita dalla crisi conseguente al nichilismo positivistico, post-rivoluzionario, richiede l’opzione religiosa. Su questo punto Del Noce non si è mai smentito. […] In seguito osserverà come i “pericoli della società permissiva non possono essere vinti per semplice via politica. Occorre un risveglio religioso”. Il dato nuovo era il tramonto della rivoluzione come sostituzione della politica alla religione nella liberazione dell’uomo»[2]. Il risveglio religioso è la risposta agli eventi degli ultimi secoli, ovvero proprio quegli eventi che ormai sembrerebbe stiano giungendo al compimento della sostituzione rivoluzionaria della religione con la politica.
Applicando l’analisi di Del Noce per spiegare eventi storici che sono avvenuti dopo la sua morte nel 1989 e che ancora stiamo vivendo, comprendiamo che «quest’essenza ha avuto il suo ultimo atto nel marxismo, che realizzandosi storicamente ha dato luogo al suo opposto, la società del benessere: che non è possibile oltrepassare per la via della rivoluzione, ma soltanto per quella della restaurazione della dimensione religiosa e dell’autorità dei valori»[3].
Sembrerebbe, a stare a questa affermazione, che sia possibile restaurare facilmente e per via politica la dimensione religiosa e valoriale, ma lo stesso Massimo Borghesi spiega più chiaramente la posizione di Del Noce: «si trattava di un’affermazione consapevolmente antitradizionalista, diretta contro i “vari movimenti di restaurazione cattolica dell’Ottocento che ebbero il torto comune di partire dalla politica. Dalla restaurazione politica alla religione non c’è passaggio, e l’impossibilità del passaggio alla seconda determina il fallimento della prima”»[4].
Credo che questo sia veramente il nodo della questione religiosa e di conseguenza di quella artistica. Infatti non è la dimensione politica ha porre resilienza religiosa ad una conquista totale nella sovversione rivoluzionaria dei valori, infatti laddove questa sia stata perpetrata non ha avuto un buon esito nella conservazione morale dei comportamenti, ma solo una banale adesione convenzionale, di etichetta non convinta.
L’ateismo totalitario si manifesta in tutte le sue possibili forme politiche e non ha ostacoli in posizioni politiche alternative, giacché «l’alternativa configura, in qualche modo, il doppio volto del moderno, quello razionalistico-totalitario e quello liberal-religioso. “Ateismo e totalitarismo formano una unità indissolubile […] Da ciò il nesso che si pone oggi tra la riaffermazione religiosa e la riaffermazione liberale”»[5]. Per certi versi, la lettura di Todorov, che abbiamo posto all’inizio del ragionamento, mostra come la “riaffermazione liberale” sia divenuta essa stessa portatrice di quegli elementi ateisti elaborati dal marxismo, tanto da rischiare di modificare la democrazia in una “dittatura del relativismo” come ebbe ad affermare Benedetto XVI.
Borghesi continua affermando che «la posizione religiosa non porta la democrazia a farsi evangelica – questo è l’integrismo del modernismo- ma alla sua apertura, ad essere autenticamente liberale. Nondimeno questa presenza del religioso non può essere dedotta. Ciò che la filosofia può fare è solo diagnosticare il suo possibile ritorno nel momento stesso in cui l’era rivoluzionaria, come tempo prometeico della costruz
ione della città degli atei, volge alla fine»[6].
Quindi è necessario, anche parlando di arte, non cadere nel tranello dell’integrismo modernista, che liberalmente concede un piccolo spazio alla religione, anche se vuole superarla e se possibile, annientarla definitivamente. Se la dimensione artistica non può essere costruita a tavolino, con parti e pezzi non vagliati del modernismo liberale, prendendo forme che nascono non per sviluppo del Sistema d’Arte Cristiano, ma per l’annientamento di esso, si compie di fatto una operazione “politica” che, come ci ha avvertito Augusto Del Noce, non produrrà altro che gli stessi risultati che il tradizionalismo ottocentesco. La soluzione è nella rinascita carismatica della fede nella popolazione, fondata nell’azione dello Spirito Santo e capace di produrre poi una dimensione politica, e quindi sistemica dell’arte. A noi il solo compito di vagliare, monitorare e studiare questi movimenti attendendo che l’arte risorga dal basso, appunto dalla rinascita religiosa. Il compito della comunità cristiana, in questa epoca di passaggio è quello di accogliere e coltivare le tante piccole piantine che qua e là spontaneamente stanno nascendo e se possibile portarle a maturazione, attraverso committenze illuminate dalla fede e non dal progetto “politico”. L’arte, infatti, si nutre di fede, prima che di forme, quelle seguono per conseguenza la fede, non è l’opzione integrista di utilizzare artisti ateisti e le loro forme alla moda a far rinascere l’arte cristiana. Non è selezionando oculatamente artisti alla moda, in piani strategici artificiosi e innaturali che si farà rinascere l’arte e da questa l’arte sacra. Perché come ci dice sempre Papa Francesco «C’è una strada contraria a quella di Cristo: la mondanità. La mondanità ci offre la via della vanità, dell’orgoglio, del successo… E’ l’altra via. Il maligno l’ha proposta anche a Gesù, durante i quaranta giorni nel deserto. Ma Gesù l’ha respinta senza esitazione. E con Lui, con la sua grazia soltanto, col suo aiuto, anche noi possiamo vincere questa tentazione della vanità, della mondanità, non solo nelle grandi occasioni, ma nelle comuni circostanze della vita»[7].
L’arte, dunque, per tornare a rivivere deve essere umile e paziente, sopportare tutto per amore di Cristo, e tanto più sarà umiliata e potata, tanto più darà fiori e frutti bellissimi quando si riprenderà a costruire la nuova città di Dio e ci saremo lasciati alle spalle le macerie della città degli atei. Tutto risorgerà dalla fede.
[1] Tzvetan Todorov, I nemici intimi della democrazia, Garzanti, Milano 2012, p. 45.
[2] Massimo Borghesi, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno, Marietti. Genova-Milano 2011, p. 343.
[3] Augusto Del Noce, Appunti per una filosofia dei giovani, Vita e Pensiero, Milano 1968, p. 36.
[4] Massimo Borghesi, Augusto Del Noce, cit., p.. 343.
[5] Ibid, p. 347.
[6] Ibid.
[7] Papa Francesco, Omelia. Celebrazione delle Palme e della Passione del Signore, 29 marzo 2015.