L’America scende in strada per difendere la vita. E lo fa (ieri, 22 gennaio 2015) proprio nel giorno in cui si diffonde l’eco di una sentenza destinata a far discutere a lungo: l’Alta corte dello Stato del North Carolina ha stabilito che fare un’ecografia alle donne che intendono abortire è contrario alla loro libertà di scelta, in quanto la visione del bimbo che portano in grembo potrebbe scoraggiarle dall’effettuare l’interruzione di gravidanza. La decisione verrà ora portata davanti alla Corte suprema degli Stati Uniti.
Ma non sono le pur desolanti sentenze come queste a scoraggiare i pro-life d’Oltreoceano, i quali ricevono ogni anno nuova linfa grazie alla crescente adesione alle loro battaglie da parte delle nuove generazioni. È questo il tema che ha contraddistinto l’intervento introduttivo alla March for Life di ieri, che si è svolta nella sua 42esima edizione lungo il National Mall di Washington.
In una calda atmosfera tutt’altro che invernale, le centinaia di partecipanti, dopo la benedizione elargita da mons. Joseph Kurtz, arcivescovo di Louisville, hanno ascoltato le parole di Patrick Kelly, portavoce della March for Life, il quale ha sottolineato l’impronta giovanile che ha ormai assunto la manifestazione che si tiene ogni anno dal 1974, quando la Corte suprema di Giustizia approvò la legge Roe v. Wade, con la quale si legalizzò l’aborto negli Stati Uniti.
“Quando guardo questa enorme folla, vedo una svolta in America”, ha detto Kelly. Che ha poi aggiunto: “La March for Life è sempre più grande e più giovane ogni anno”. Un motivo valido per poter affermare che “la storia è dalla nostra parte”. Del resto - ha aggiunto il portavoce - “la storia è sempre dalla parte di coloro che lottano per la dignità umana e per la vita umana”. Dopo quattro decenni dal suo avvio - ha concluso con compiacimento - “la March for Life è diventata la più grande marcia per i diritti umani nel mondo”.
Lo stesso entusiasmo mostrato da Kelly ha contraddistinto l’intervento di Jeanne Monahan Mancini, presidentessa della March for Life. Accolta sul palco da scroscianti applausi, ha voluto in primo luogo condividere con i partecipanti l’incanto e la gratitudine per le condizioni climatiche benevole. Basti pensare che l’anno scorso - e la marcia si svolge nel mese di marzo - le temperature erano vicine allo zero, soffiava un vento gelido e il freddo estremo procurò persino un blocco agli apparecchi elettronici.
La Monahan, parlando poi del tema della Marcia di quest’anno, ha detto che lo slogan “Ogni vita è un dono” (ripreso con un tweet di sostegno alla manifestazione da papa Francesco) si riferisce soprattutto ai bambini abortiti a seguito di diagnosi prenatale di condizioni potenzialmente invalidanti come la sindrome di Down.
L’aborto in America riguarda - ha detto - “oltre un milione di bambini ogni anno, un quinto delle gravidanze”. Ebbene, nel caso di bambini con diagnosi prenatale che evidenziano anomalie, “il tasso di aborti sale all’85%”. Una cosa che la Monahan considera “sbagliata” poiché, appunto, “ogni vita è un dono, a prescindere se abbiamo un handicap o meno”. “Alcuni ne hanno di più evidenti - ha poi aggiunto - ma nessuno di noi è perfetto”. E poi, sottolineando l’importanza dei social network nel veicolare un messaggio pro-life, la Monahan ha chiesto a tutti i partecipanti di rispondere al tweet del Papa ringraziandolo del suo sostegno.
Dopo di che, la presidentessa della Marcia ha lasciato palco e parola ad alcuni rappresentanti politici. Tra questi il membro della Camera dei Rappresentanti Chris Smith, che ha ripreso il tema della March for Life di quest’anno affermando: “Abbiamo il dovere impellente di proteggere i più vulnerabili dalla violenza dell’aborto”. Ed ha poi ammonito coloro che consigliano l’aborto a genitori che scoprono un handicap del proprio figlio: “La diagnosi prenatale di disabilità dovrebbe far scaturire empatia, preoccupazione e amore per il bambino, non una condanna a morte”.
Parlando di politica, Smith ha poi accusato il presidente Barack Obama di aver mentito quando ha detto che l’aborto non sarebbe stato finanziato dai contribuenti statunitensi. E ha quindi aggiunto che la schiera di pro-life presenti tra i due rami del Parlamento non desisteranno finché “l’aborto non sarà tolto dalla Obamacare (la riforma sanitaria fortemente voluta dall’Esecutivo, ndr)”.
Altra questione affrontata da vari politici che si sono alternati sul palco, la discussione della legge Pain Capable Unborn Child Protection Act, ancora ferma al Senato, la quale - basandosi su alcuni studi scientifici riguardo il dolore fetale - modificherebbe il codice penale per sancire il divieto d’aborto oltre le 20 settimane contro le 24 dell’attuale legislazione. La repubblicana Cathy McMorris Rodgers, madre di un bimbo Down, ha detto che questa legge è “importante perché sposta il dibattito” dall’aborto al dolore che i bambini non nati possono sentire, una cosa che ha definito “reale e molto sbagliata”.
Voci a favore della vita anche dal Partito democratico. A rappresentarlo sul palco della Marcia, Dan Lipinski, il quale ha precisato che la difesa della vita umana è un’istanza che deve unire le persone di tutte le convinzioni politiche e religiose. “Le donne meritano di meglio dell’aborto!”, ha dunque esclamato Lipinski.
Di questo avviso è anche Kathleen Wilson, che gestisce la Mary’s Shelter, una catena di circa 400 case che accolgono donne senzatetto che hanno una gravidanza indesiderata. “Noi esistiamo per aiutare le donne in stato di bisogno, che hanno una bassa autostima, che hanno perso la speranza”, ha detto la Wilson. Il numero di donne aiutate e di bambini fatti nascere da queste strutture è crescente. E i loro volti sorridenti sono uno dei simboli dell’America pro-life che guarda con speranza al futuro.