«No, dico, ha presente lei che cosa vuol dire spiegare a papa Benedetto XVI che ero incavoleto?».
Sì, certo, me lo immagino… Ma, scusi: perché era incavoleto? E, soprattutto, perché lo doveva spiegare al Papa?
«Una storia lunga… Se vuole, gliela racconto».
Inizia così un’esilarante intervista-confessione a Lino Banfi, uno degli attori più amati e conosciuti grazie anche alla fiction televisiva Un medico in famiglia. Nei panni di nonno Libero, Banfi ci si trova così bene che, per la decima stagione, non nasconde un colpo di scena: «Nonno Libero si convertirà e tornerà in chiesa», ci dice.
Ma andiamo con ordine: perché ha spiegato al Papa che era incavoleto?
«Ho avuto – e ho tuttora – un ottimo rapporto con Benedetto XVI. L’ho incontrato diverse volte e ho fortemente desiderato che benedisse le mie nozze d’oro. Era il primo marzo 2012. Lui ci ha ricevuto e ha chiesto a mia moglie: “Suo marito è sempre così simpatico come nei personaggi che interpreta?”. E io, rispondendo per lei, dissi: “Santo Padre, non sempre… a volte sono incavoleto…”. Mi sono accorto che non aveva capito il significato del termine mentre tutti i sacerdoti accanto a lui sono scoppiati in un’enorme, fragorosa risata…».
Però l’idea della benedizione del Papa per i 50 anni di matrimonio è stata davvero romantica…
«Era una promessa fatta a mia moglie, quando ci siamo sposati. Allora io ero poverissimo e, per di più, la sua famiglia non voleva che la frequentassi, perché fare l’attore era considerato un mestiere poco serio. Così scappammo di casa: fu la classica fuitina, che presupponeva, a quei tempi, un matrimonio “di riparazione”. Però, nel mio paese, era consuetudine che questi matrimoni fossero celebrati in “tono minore”: ci sposammo senza invitati, in sacrestia, una mattina alle 6. Mia moglie, pur nella felicità del momento, soffrì molto per come si svolse quella cerimonia. Per questo le promisi che sarei diventato ricco e famoso e che, per i nostri 50 anni di matrimonio, le avrei regalato una festa da principi, con tanto di benedizione papale».
Lei ha incontrato il Papa emerito anche di recente, vero?
«Sì, mi ha fatto il grande onore di ricevermi nell’ottobre del 2013. Abbiamo parlato per oltre mezz’ora ed è stata per me un’esperienza bellissima. Quando mi sono congedato, però, gli ho detto: “Santità, mi lasci una prova di questa visita! Io sono un comico, se racconto in giro che l’ho incontrata, tutti crederanno che sono un cialtrone…”. Dopo qualche settimana da quell’incontro, mi è arrivata a casa una foto di Benedetto XVI con la sua dedica».
Lei ha avuto una formazione cattolica: da piccolo ha frequentato il seminario. Come ricorda quegli anni?
«Come un bellissimo momento della mia vita. Ma non ero portato per diventare prete. Tuttavia, il vescovo di allora mi disse una frase molto bella, che non dimenticherò mai: anche se non come sacerdote, il Signore mi aveva comunque chiamato, e aveva bisogno di me».
In che senso?
«Fin da piccolo, avevo un carattere esuberante. Pensi che quando c’erano le sacre rappresentazioni in seminario, io recitavo sempre. Eppure, anche quelli che dovevano essere momenti di riflessione e di tristezza, raccontati da me diventavano comici: facevo ridere tutti, di continuo. Così, il vescovo mi chiamò e mi disse: “Lino, anche quella di portare buonumore alle persone è una vocazione. Il Signore ti chiama perché tu adempia questa missione”».
E lei c’è riuscito.
«Ci ho sempre provato. I miei personaggi cercano sempre di comunicare la speranza, di portare il sorriso: anche se vivono situazioni difficili, non perdono mai la voglia di andare avanti, di sognare».
È un po’ questo il motivo per cui, in tutti questi anni, nonno Libero continua a essere così amato dal pubblico…
«Ormai siamo alla vigilia della decima stagione: un traguardo importante, soprattutto se si pensa che, quando iniziammo, le fiction italiane come le nostre non esistevano».
È molto devoto a padre Pio, vero?
«Sì, porto sempre con me una sua immagine. Si tratta di una foto molto rara, che lo ritrae mentre dorme e che siamo in pochi ad avere in tutto il mondo».
Lei prega?
«Spesso, e ho stupito molti sacerdoti perché recito tutte le preghiere in latino: addirittura, del Requiem conosco due versioni, quella al singolare e quella al plurale! Invece, faccio fatica ad andare a Messa, perché mi accorgo che ogni volta che entro in una chiesa la gente si distrae, non segue più la celebrazione e inizia a fissarmi. Sono atteggiamenti che mi rattristano molto, per questo spesso io e mia moglie entriamo in parrocchia “fuori orario”».