Prima dell’inizio della Messa di Santa Marta del 22 gennaio, papa Francesco ha voluto esprimere vicinanza e sostegno a “quella Chiesa slovacca coraggiosa che in questo momento, in questo tempo, lotta per difendere la famiglia”. Rivolgendosi poi a un gruppetto di pellegrini provenienti dalla Slovacchia, il Pontefice li ha esortati così: “Avanti e coraggio!”.
In effetti, il Paese est-europeo sta per affrontare uno snodo cruciale della sua storia. Il prossimo 7 febbraio si svolgerà un referendum, indetto dal presidente Andrej Kiska, che includerà tre quesiti sulla protezione della famiglia e del matrimonio tradizionale.
Questa espressione di democrazia diretta su temi alquanto delicati e di rilevanza sociale è stata resa possibile dall’impegno dell’Alleanza per la famiglia (Azr), la quale nei mesi scorsi ha presentato 408.322 firme (su una popolazione di 5,5milioni di abitanti) per chiedere l’istituzione del referendum, per cui ne bastavano 350mila.
Precisamente, le domande a cui gli slovacchi dovranno rispondere sono eloquenti: siete d’accordo nel definire matrimonio unicamente la convivenza basata sull’unione di un uomo e di una donna? Siete d’accordo che a gruppi o a coppie omosessuali sia impedita l’adozione e la conseguente educazione di minori? Siete d’accordo nel concedere la possibilità ai genitori di escludere i propri figli minori da corsi scolastici sull’educazione sessuale o sull’eutanasia?
Il profilarsi di questo referendum ha acceso gli animi nel Paese. Uno spot realizzato dall’Azr a favore della famiglia tradizionale e per la libertà d’educazione dei genitori ha trovato l’opposizione dei maggiori canali televisivi slovacchi, che si sono rifiutati di mandarlo in onda malgrado si tratti di una libera indicazione di voto in clima di campagna elettorale.
Altro episodio di censura ha riguardato un sacerdote. Don Ratislav, parroco di una chiesa di rito greco-cattolico, nel corso di un’omelia domenicale ha difeso la famiglia e ha invitato i fedeli a partecipare al referendum. L’intera Messa è stata trasmessa da Radio-Tv Slovacchia, che ha però tagliato il pezzo in cui il prete si esprime in questi termini. L’episodio ha suscitato il disappunto di mons. Ján Babjak, arcivescovo di Prešov, che non ha esitato ha parlare di violazione del diritto di professare la propria religione.
“Dopo 25 anni dalla caduta del Muro, dobbiamo tornare in piazza a manifestare?”, si è chiesto polemicamente il presule, come riporta Tempi. L’arcivescovo ha ricevuto il sostegno di Erika Jurínová, vicepresidente del Parlamento appartenente al partito conservatore Obycajni Ludia, che si è pubblicamente schierato riguardo il referendum. Scelta che non accomuna tutti i partiti di ispirazione cristiana slovacchi, diffusa è infatti la propensione al “voto secondo coscienza”.
Coscienza che il popolo slovacco sembra aver ben salda nei valori tradizionali. Un recente sondaggio ha mostrato che tra il 70 e il 90% dei cittadini sono a favore della famiglia e della libertà d’educazione dei genitori. Però non è affatto scontato che tutte queste persone si recheranno al seggio per votare. Quello del 7 febbraio prossimo sarà l’ottavo referendum nei 22 anni di indipendenza della Slovacchia. Ebbene, solo uno dei sette precedenti, quello sull’ingresso nell’Unione europea, raggiunse il quorum e fu dichiarato valido.
<p>L’astensione è dunque il pericolo numero uno dei sostenitori della famiglia slovacchi. I quali nel giugno scorso accolsero con pacato entusiasmo la decisione del Parlamento di inserire nella Costituzione un passo che definisce il matrimonio “come unione di un uomo e di una donna”.
Quell’evento era sembrato la pietra tombale sopra i tentativi di introdurre stravaganti concetti di matrimonio. Tuttavia il problema è rientrato dalla finestra pochi mesi dopo, quando il Ministero del Lavoro ha deciso di adottare una “Strategia” quinquennale basata sull’uguaglianza e sulla non discriminazione che introduce il concetto di gender. La trovata del Ministero ha incontrato la strenua opposizione non solo dell’associazionismo familiare, ma anche di mons. Stanislav Zvolenský, che ha bollato l’iniziativa come uno sperpero di denaro pubblico e ha invitato i cristiani a esprimere “con forza la loro opinione in pubblico, per attirare l’attenzione sulle verità fondamentali riguardanti la vita umana, la sua dignità, la famiglia e il matrimonio”.
A contestare la “Strategia” anche alcuni intellettuali slovacchi, che si sono rivolti al presidente con una lettera nella quale definiscono il progetto “un’ideologia contro la famiglia” di stampo “antinazionale”. Quella stessa “ideologia” che si sta insinuando ovunque, in Occidente e non solo, e di cui il Papa ha invitato a diffidare parlando di “colonizzazione ideologica” nel corso del suo viaggio aereo di ritorno da Manila. Il 7 febbraio prossimo il popolo della Slovacchia avrà l’opportunità storica di esprimere il suo parere in proposito.