Caravaggio a Malta. La misericordia, lo zelo e il castigo (Prima parte)

Viaggio tra le opere del grande artista nel suo periodo di permanenza nell’isola mediterranea

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“Acconsentii io (di sposarmi), per trovar quiete ai furori della gioventù che in Malta, per le soverchie occasioni, si sta sempre in procinto di rendersi male, da buon francese”. Questo passo tratto da una delle opere più interessanti della narrativa maltese di epoca barocca, ovvero il romanzo di Fabrizio Cagliola Disavventure marinaresche, o sia Gabriello disavventurato, del 1660, che narra delle avventure occorse al popolano maltese Gabriello Pulis nei mari del Mediterraneo, probabilmente ci trasmette una veloce immagine dei pericoli nei quali un “valentuomo” poteva incorrere in un’isola abitata da cavalieri provenienti da tutta Europa. Lo scrittore, infatti, colloca questa frase proprio in una parte del testo nel quale il protagonista racconta le varie tensioni e scontri, che spesso finivano in omicidi ed incarceramenti, tra i vari cavalieri e soldati che si trovavano in città. Caravaggio, notoriamente filo francese e con un temperamento non certo accomodante, probabilmente proprio in una di tali occasioni era caduto in disgrazia: era l’ottobre del 1608, tre mesi dopo la sua solenne investitura a Cavaliere di Obbedienza, quando fu arrestato per un duro scontro, forse un duello, con un cavaliere di rango superiore. Eppure i mesi precedenti erano stati tra i periodi più tranquilli del pittore dopo la tragica uccisione di Ranuccio Tomassoni e la fuga da Roma.

La chiesa di San Giovanni, quartiere generale religioso dei Cavalieri Ospitalieri, era stata eretta a partire dal 1571 e consacrata nel 1578. Il complesso era stato ampliato negli anni e nel 1603 vi era stato aggiunto un Oratorio dedicato a San Giovanni Decollato il quale, prima delle modifiche settecentesche di Mattia Preti, era distaccato dalla chiesa ed estremamente spoglio e spartano. L’oratorio accoglieva la Confraternita di San Giovanni che offriva conforto spirituale ai condannati a morte e ai prigionieri, fungeva da sala assembleare per l’Ordine e ospitava i novizi.

Dopo il Grande Assedio del 1565 e la costruzione, ex-novo, di una nuova capitale, Valletta, o meglio Humilissima Civitas Valettae, con l’arrivo della più ricca nobiltà d’arme europea, c’era la necessità per l’Ordine di un patrimonio artistico di spessore e della presenza di un artista rinomato, in pianta stabile. La permanenza a Malta di Michelangelo Merisi, circa un anno e quattro mesi, ha ancora molte questioni aperte, di certo però si può convenire sulle motivazioni del suo arrivo. Il Gran Maestro Alof de Wignacourt aveva bisogno di un’artista di fama per il nuovo Oratorio, la chiesa e, soprattutto, per il Palazzo del Grande Maestro pertanto in contatto con Fra Ippolito Malaspina, personaggio eminente dell’Ordine imparentato con i Doria e con Ottavio Costa entrambi committenti del pittore, e Fabrizio Sforza Colonna, in quel periodo entrambi a Napoli, aveva di certo saputo della presenza e della condizione dell’artista. Caravaggio, dopo la fuga dall’Urbe, aveva bisogno invece della protezione dal bando capitale che solo l’appartenenza ai Cavalieri poteva garantire. Il suo approdo nell’isola, probabilmente sulle navi di Fabrizio Colonna, dovette dipendere dall’arrivo di un invito ufficiale e da una commissione di spessore da parte dello stesso Gran Maestro. Michelangelo è già a Malta il 26 luglio 1607 dato che il suo nome compare tra i testimoni in un processo per bigamia a carico di un pittore greco incontrato a casa del cavaliere siciliano Giacomo Marchese. A distanza di quasi un anno, esattamente il 14 luglio 1608, avverrà la promulgazione della Bulla Receptionis e la sua ammissione all’Ordine come Cavaliere di Obbedienza Magistrale (e non di Grazia come sovente viene scritto), dato che il regolamento imponeva un anno “in convento” e la presenza sull’isola; era stato condonato invece l’obbligo delle “carovane”, ovvero il periodo di esperienza sulle navi dei Cavalieri che ogni aspirante novizio doveva compiere. Tale particolare è un altro dettaglio che confermerebbe come il suo arrivo doveva dipendere da un invito ufficiale di alto livello e per una precisa commessione. Verosimilmente, dopo essere giunto a Valletta, il pittore non iniziò subito con la grande tela dell’Oratorio ma, stabilito uno studio, dovette realizzare una sorta di “prova”, o opera di bravura, per il marchese Malaspina.

Si tratta del celebre San Girolamo scrivente, esposto al museo della Cattedrale di Valletta di fronte alla Decollazione e passato prima per la Cattedrale nella Cappella d’Italia, un soggetto che aveva realizzato per Scipione Borghese solo due anni prima. Il santo era ora riproposto con tinte più cupe ed una pennellata sottile e attenta, in posizione profilata e con un crocifisso e un teschio fortemente scorciati i quali non facevano che ampliare la vertigine di una posizione, quella della figura, in bilico tra tensione e ispirazione. Alcuni hanno notato una certa somiglianza tra Girolamo e il Gran Maestro de Wignacourt che riceverà comunque dal pittore due ritratti, come ci ricorda anche Bellori, uno seduto, oggi disperso, e un altro in piedi seguito da un paggio, esposto al Louvre. Altre opere maltesi sono il San Giovannino alla fonte, l’Amorino dormiente, una Maddalena e un San Francesco oggi dispersi e forse l’Annunciazione di Nancy. Il 7 febbraio 1608 il Gran Maestro scrive al Papa una lettera allo scopo di ottenere “per non perderlo” l’autorizzazione alla nomina di un cavaliere non menzionato “non ostante abbia altre volte in rissa commesso l’homicidio”, dato che l’omicidio, per regola, non avrebbe consentito l’ingresso nell’Ordine. La dispensa eccezionale, un “fecit placet”, arriverà una settimana dopo. E’ chiaro che de Wignacourt, già al corrente del delitto, si stava riferendo a Caravaggio il quale in quel mese, quasi certamente, aveva iniziato a realizzare la grande tela del martirio del santo dei Cavalieri.

La Decollazione del Battista oltre ad essere l’opera più grande di Caravaggio (misura 360×520 centimetri) è di certo da annoverare tra i suoi capolavori per la perfetta tensione narrativa ottenuta in uno spazio scenico ampliato a dismisura nella tela e che sovrasta quasi l’agire delle figure. Berenson scriveva “Salvo la Vocazione di Matteo questo è il solo Caravaggio a me noto in cui so dove mi trovo” ed effettivamente l’uso dello spazio e della luce conferiscono all’opera una forte illusione teatrale amplificata dalla presenza, anticamente, di una finestra nella parete sud dell’Oratorio e da una semplice cornice in pietra che trasfigurava il luogo aprendo verso il martirio. Il rapporto tra figure e spazio è ampliato, la luce si irrigidisce sui corpi mentre il silenzio del carcere comprime le masse in un angolo preciso dove la lentezza e la solennità dei movimenti ricordano quasi l’orrido delle tragedie antiche: si tratta appunto dell’apice dello “stile tragico” del Merisi il quale, con poche figure disposte a semicerchio intorno alla figura distesa del santo, è riuscito a creare simmetrie e contrappunti emotivi di una solennità monumentale.

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Tommaso Evangelista

Tommaso Evangelista è Storico dell’arte

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